Il Carnevale in Sardegna, dalle origini pagane ai festeggiamenti odierni, l'apoteosi del fritto
Il Carnevale sardo, dalle origini pagane ai festeggiamenti odierni.
Siamo a Carnevale, “Ciascun apra ben gli orecchi, di doman nessun si paschi; oggi sian, giovani e vecchi, lieto ognun, femmine e maschi. Ogni tristo pensier caschi: facciam festa tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia, di doman non c'è certezza. Donne e giovinetti amanti, viva Bacco e viva Amore! Ciascun suoni, balli e canti, arda di dolcezza il core, non fatica, non dolore! Cioè c'ha esser, convien sia. Chi vuol essere lieto, sia, di doman non c'è certezza.” Bellissimo e ispirato sonetto di Lorenzo il Magnifico, che ben sintetizza anche lo spirito carnevalesco. A noi non resta che seguire i preziosi consigli e inseguire le località dove da tempo immemorabile si festeggia il Carnevale sardo: Mamoiada con i mamutones e issohadores, Aidomaggiore con sa maschera a lenzolu, Oristano con sa Sartiglia e su componidori, Neoneli con sos corriolos, Sarule con sa maschera a gatu, Orotelli con sos thurpos, Lula con su batileddu, Austis con s’urtzu e sos colonganos, Fonni con urthos e butudos, Santulussurgiu con le corse de sa correla de nanti, Seneghe con sos ballo del sa partza , Samugheo con su mamutzone, Ottana con sos boes, merdules e filonzana, Orani con su bundu, Bosa con Giolzi e sas atitadoras, Ulassai con su maimone, Lodine con sas cumpanzias.
E’ una festa dalle origini antiche molto simili ai festeggiamenti che si celebravano nell’antica Babilonia e nella Grecia con la finalità di festeggiare, a fine anno agrario, il termine dei lavori agricoli. I festeggiamenti erano organizzati in onore del dio Crono, che i Romani identificarono poi in Saturno. Per l’occasione, si ricordava la mitica età dell’oro, sotto il regno di Saturno, allorquando il mondo aveva vissuto in pace e abbondanza.
Le feste dei nostri predecessori contadini avevano soprattutto lo scopo di esorcizzare gli spiriti cattivi e di propiziarsi le divinità affinché il raccolto fosse ottimo e abbondante. La festa finisce abitualmente con il processo ad un fantoccio colpevole di tutte le malefatte, responsabile di tutte le accuse e condannato al rogo. Il fuoco che è simbolo di purificazione e di rinnovamento, veicolo di cancellazione di ogni negatività. Il travestimento a Carnevale è espressione di rabbia e di desiderio di giustizia i ruoli vengono invertiti e si sfogano repressioni e frustrazioni.
L’aggettivo “grasso” che qualifica i nomi dei giorni dell’ultima settimana di Carnevale sintetizza naturalmente l’usanza di mangiare gustosamente e saporitamente, perché i giorni a venire saranno quelli di Quaresima e si dovrà mangiare “di magro”.
Il Carnevale celebra l’apoteosi dei dolci fritti, principalmente a pasta fermentata, ma anche azzima e anche a base di sapa. Nelle cucine dei buongustai c’è perciò grande fermento per l’apoteosi della frittura. A Sedilo i bambini vanno in giro per le case a pedire sa fita, chiedere la fetta, e ricevono in dono dolci. A Dualchi i piccoli questuanti richiedono una fetta di panada con la formula: “A mi faghides bene a sa fita biarola” – Mi date in dono la fetta vivificante. Per Sant’Antonio de su fogu a Usini, i pastori portano nella bisaccia, un pezzetto di pane de saba e, per il santo, numerosi i dolci. A Lula si prepara s’aranzada dolcificato con la sapa, oppure su pistiddu, fatto con saba addensata con semola, A Bono, tutti indaffarati a preparare sos cogones e sas inghiriadas, da consumare attorno al fuoco. A Dualchi prendono forma sos tureddos, a base di semola, sapa e uva passa per offrirli al santo. A Dorgali si confeziona su pistiddu decorato con le rotelle de sa rosinita. A Macomer sos istratzos; a Thiesi sas catas e sas montegadas; a Sorso sa frisciolas; in tutto il Campidano is para frissus e tzipulas. Ogni paese ha la sua maschera e le sue frittelle tipiche, per godere a pieno in questo periodo di grande trasgressione generale.
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