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Pizza. Miglioratori? No, grazie

Le pizze che mangiamo spesso sono arricchite con miglioratori della lievitazione

Pizza. Miglioratori? No, grazie

di Tommaso Esposito

L’altra sera ho mangiato una pizza.

Tradizionale senza se e senza ma.

In una pizzeria verace.

Gorizia 1962.

Si affaccia dalla traversa di Via Albino Albini su Via Cilea al Vomero a Napoli.

Del pizzaiolo non conosco neanche il nome, e neppure gliel’ho chiesto.

Per rispetto.

Sta lì, dietro al bancone, forse da anni.

La pizza è sua, ma non è sua.

Appartiene alla storia dei Grasso, quelli che di pizza, per dirlo chiaramente, se ne intendono.

Dunque, era di bell’aspetto, profumata, un po’ tenace e un po’ scioglievole.

Boccone dal sapore unico e dagli aromi inconfondibili.

Oramai dispersi.

La farina?

Una 00 con un po' di 0, forse.

Il lievito?

Naturale, quello di birra insomma.

Poi acqua e sale

Lievitazione?

Una giornata, più o meno.

Pomodoro, fiordilatte, una manciata di cacio, olio e basilico.

Cottura?

A legno, perfetta.

Ma c’è proprio bisogno di miglioratori, di farine magiche per riuscire a fare, e quindi mangiare, una pizza così?

No, non c’è bisogno.

Ci vuole soltanto mestiere.

Per renderci felici e far bene alla salute.

Ecco, il futuro a tavola è questo.

Senza trucco e senza trucchi