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Storia del bignè che nacque in Italia e divenne pate à choux in Francia.

Le contaminazioni culinarie dell'Italia in Francia.

Storia del bignè che nacque in Italia e divenne pate à choux in Francia.

“La pate à choux” o “pasta per bigné” sono preparazioni di pasticceria francese ma pare che i nomi e le basi siano di provenienza italiana, scaturiti da preparazioni rinascimentali. L’antesignana fu la preparazione della “pasta a caldo” del XVI secolo, una creazione del pasticcere Italiano "Popelini”.

Storia del bignè che nacque in Italia e divenne pate à choux in Francia.

Successivamente la preparazione era stata tradotta in francese “la pate à chaud” e poi prese il nome “pate à choux”, o ”bigné”.

I bignè vengono usati anche, per preparare dolci assai più complessi, come i profiteroles, gli èclair o la torta Saint Honoré. Si racconta che le basi del bignè furono sperimentate in Toscana e che, con cuochi, ricette e provviste varie, seguirono Caterina de’ Medici, promessa sposa del futuro re di Francia Enrico II di Valois. La paternità della preparazione viene attribuita al pasticcere mediceo Penterelli, perfezionata dal suo successore Popelini nel 1540.

Storia del bignè che nacque in Italia e divenne pate à choux in Francia.

Seppur in pieno Rinascimento, non si trovano indicazioni o ricette di questi due cuochi.

Anche i francesi su Wikipedia scrivono:

"Popelini est un cuisinier italien de la reine Catherine de Médicis et est connu comme l'inventeur de la pâte à choux. "

Era un periodo in cui era in atto un gran fiorire in Italia di libri di cucina di grande successo:

Storia del bignè che nacque in Italia e divenne pate à choux in Francia.

-“Opera” del 1570, di Bartolomeo Scappi. Nel suo ricettario ritroviamo preparazioni vicine alla pasta per bignè: Per fare frittelle, dal vulgo romano dette zepolle, con ceci rossi lessati e pestati col mortaio, zucchero, cannella, chiodi di garofani e noci moscate, lievito stemperato con vin bianco. Se senza lievito, da usare chiare d’uova, fritte nello strutto;

-“Banchetti composizioni di vivande e apparecchio generale” del 1549, di Cristoforo da Messisbugo. Nel ricettario è citata la carabazada (la toscana carabaccia) che è l’antesignana della zuppa di cipolle francese soupe à l’oignon, portata da Caterina de’Medici;

- “La singolar dottrina” del 1560 del fiorentino Domenico Romoli. E ne suo ricettario riporta A far strufoli (o struffi) alla romanesca, con uova, farina, menata molto bene e cotte in strutto di porco.

Storia del bignè che nacque in Italia e divenne pate à choux in Francia.

Valga per tutti, compreso Denis Diderot, quello che scrive Marie Antonine Careme: “I cucinieri della seconda metà del Settecento avevano conosciuto il gusto della cucina italiana che Caterina de’ Medici aveva introdotto alla corte di Francia”.

In realtà, sul finire del Trecento, un Anonimo toscano, nel manoscritto ”Libro della cocina”, riporta diverse ricette che sono state adottate dalla cucina francese, ad esempio: paparo al melangolo, diventato poi canard à l’orange, cioè l’anatra all’arancia;

anche la ricetta De’ Crispelli (sorta di frittelle, così denominate dall’incresparsi della sostanza all’atto di cuocere), ovvero frittelle ubaldine (forse dal nome personale Ubaldo):

Togli farina netta, bianca, e distempera con uova e fermenta uno poco: mettivi zaffarano, e poi metti a cocere con lardo disfatto: da poi mettivi su zuccaro o mele, e mangia.

Storia del bignè che nacque in Italia e divenne pate à choux in Francia.

In territorio francese, nel XVII e XVIII secolo, la ricetta del bignè fu certamente rielaborata, ma l’attuale e raffinata versione fu frutto dell’intervento dello chef e pasticcere francese Marie-Antoine Carême (1784-1833), che ne codificò la ricetta nel suo trattato “La Patisserie Royal”. Carême, detto Antonin, è considerato uno dei più grandi pasticceri della storia. La sua intuizione fu quella di dare una forma allungata al bignè chiamandolo éclair, raffinato pasticcino ripieno di crema pasticcera o chantilly e ricoperto da una glassa.

Per realizzare il bignè è fondamentale utilizzare la “sac à poche” o “poche à douille”, che pare sia un’invenzione del VIII secolo. E’ pur vero che, da diverso tempo, era già in uso un altro strumento che serviva all’identico scopo: era una specie di “siringa” il cui pistone, premendolo verso la bocchetta conica, usciva un composto più o meno morbido e disegnava una forma determinata e precisa. La “siringa” è sovente rappresentata a partire dal XVI secolo, nell’iconografia degli utensili della cucina rinascimentale e barocca. Ancora oggi nella cucina familiare si usa la siringa per dare forma a composti di una certa consistenza, tipo pasta di mandorle, pasta frolla, petit fours, biscotti o pasticcini vari.

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