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WINE DISASTER No. 5 - La globalizzazione

Wine Disaster: Una raccolta di 10 casi eclatanti che dividono il mondo del vino.

WINE DISASTER No. 5 - La globalizzazione

Frammentata e confusionaria, l’Italia del vino rispecchia perfettamente la sua comunità. Fieri sostenitori delle proprie Regioni, o molto spesso, della propria micro-area, un aspetto fondamentale sfugge di proposito all’interlocutore medio italiano: la globalizzazione.

Un fenomeno che negli ultimi decenni ha indubbiamente intaccato anche il settore vitivinicolo, trascinandolo verso l’attuale successo ma anche responsabile di due particolari conseguenze: il massiccio utilizzo della tecnologia e la scissione tra vecchio e nuovo Mondo.

Cominciamo col discutere sugli affari di casa nostra, d’altronde i panni sporchi si lavano in famiglia.

Ai vertici mondiali dopo il crollo di credibilità dovuto allo scandalo dei vini al metanolo, l’Italia vanta attualmente diversi record ed una quota di mercato sicuramente lodevole. Ma come affronta oggigiorno il nostro Paese le nuove sfide del mercato? Semplice, non le affronta!

Troppo impegnati nello screditarsi a vicenda, incapaci nel generare una propria economia di scala e sprovvisti di un reale sistema di tutela e promozione, il popolo italiano della vigna appare non del tutto pronto all’avanzare dei “nuovi” Paesi e delle tendenze dettate dal mercato.

Perché proprio mentre tra economie mondiali si parla di blockchain, sostenibilità, digitalizzazione e filiera, il produttore dello Stivale è ancora alle prese con l’amico di famiglia impegnato a sviluppare il sito internet. Un ritardo che si paga caro anche in termini economici, dato che questo scatto digitale avrebbe potuto avvicinarci alla vendita online e B2C ben prima di una pandemia mondiale, tutelandoci parzialmente dal crollo dei canali tradizionali.

Mercati che cambiano e consumatori che mutano costantemente, tracciando le nuove mode ed esigenze di mercato. Ma cosa cerca il cliente del futuro?

La parola chiave è univoca: AMBIENTE.

Ecco perché spuntano di continuo sigle, loghi e certificazioni, ma anche qui la risposta tricolore è in ritardo o addirittura non pervenuta. Piuttosto reattivi nell’essere pionieri del biologico, ci siamo adagiati senza seguire l’evolversi del filone “green”, oggi incentrato su biodinamico e naturale.

A dimostrazione di ciò basta chiedersi, cos’è un vino naturale? Purtroppo l’unica risposta certa è quella dettata dalla Commissione Europea che ci bacchetta per tale dicitura in quanto “trae in inganno il consumatore”, mentre in Francia è stato definito il primo disciplinare per la produzione di “vin méthode nature”.

Scarsa propensione all’innovazione compensata da una reale tutela del Territorio? Eccetto alcuni casi, proprio no.

L’Italia solo all’apparenza mantiene ben salde le sue tradizioni, o meglio, ingrossa e specula su quel gigantesco brand denominato “Made in Italy” senza adeguarsi ai tempi che corrono, ritrovandosi comicamente a dover rincorrere gli altri Paesi, proprio lui che dovrebbe essere il genio indiscusso.

A titolo di esempio, non per compiere atto denigratorio ma a volerne evidenziare i controsensi, prendiamo il caso di uno dei vini del momento: il Prosecco.

L’imbarbarimento dell’area del Prosecco, dapprima estesa a tal punto da voler quasi ripercorrere i confini del Veneto asburgico, poi incalzata dalla fresca moda dell’estate in rosa, consentendo da disciplinare e soprattutto a discapito del super-autoctono Glera il Prosecco DOC rosè, sono chiari segnali di una politica meramente dettata dal business del momento. Meglio non pensare alla catastrofe che potrebbe crearsi quando smetterà di essere di moda.

Ma se è l’economia a muovere gli interessi, come facciamo a smuovere questo sistema? Semplice, basterebbe un po’ di interazione! Meccanismi moderni per poter fruire dei nostri territori e valorizzare i nostri artigiani; mai sentito parlare di enoturismo? Pensate al vortice economico se solo ci unissimo sotto l’egida del grappolo d’uva.

In Italia sono mancati i turisti quest’anno? Approfittiamone per riorganizzarci adesso, aprirci a nuove collaborazioni ed abbandonare i nostri preconcetti, d’altronde muore lentamente chi diventa schiavo dell’abitudine diceva Pablo Neruda, proprio colui che al vino dedicò una famosa ode!

WINE DISASTER No. 5 - La globalizzazione

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