Buttergate: perché gli italiani non si sono accorti che il burro non è più scioglievole?
Buttergate, burro con olio di palma non si scioglie ma in Italia si sceglie olio d'oliva e margarine
Aiuto, il burro non è più spalmabile come prima!
In Canada, appena apparsa sull’importante quotidiano “The Globe and Mail” due settimane fa, questa notizia è subito diventata virale e ha dato vita ad un caso nazionale, da qualcuno ridefinito “Buttergate”.
La spiegazione più accreditata è che, a seguito della eccessiva richiesta di burro del mercato in tempi di pandemia, che hanno stimolato la preparazione domestica di dolci e prodotti da forno proprio nel periodo invernale, quando i consumi di burro sono già al massimo stagionale, le aziende produttrici si siano date un po’ troppo da fare per ampliare la loro offerta. Come? Aumentando nella dieta delle vacche l’apporto di grassi attraverso gli oli di palma, che sono particolarmente ricchi di acido palmitico, il cui punto di fusione è più alto di altri acidi grassi alimentari, cioè si scioglie ad una temperatura molto più elevata (63°C a fronte dei 28-33°C a cui si scioglie il burro). È proprio per questa ragione, oltre che per il costo particolarmente basso, che questi oli trovano ampio utilizzo nelle ricette di tanti snack, creme e prodotti da forno industriali, dove è necessario che la frazione grassa assicuri una buona consistenza al prodotto finale.
È improbabile che una notizia come questa potesse essere pubblicata oggi su un giornale italiano, perché la sensibilità del consumatore italiano nei confronti di questo prodotto si è ridotta notevolmente negli ultimi decenni. Negli anni ’50, subito dopo le ristrettezze imposte dal conflitto mondiale, il burro era considerato un alimento nobile, ricco di virtù nutritive. Poi, negli anni 80, poi, con l’arrivo delle margarine e la forte pressione pubblicitaria su queste ultime, per il burro iniziò in Italia una fase di progressivo declino. La conseguenza è che il burro rappresenta forse oggi l’alimento che più di tutti mette in crisi la presunzione tipicamente italiana di disporre degli ingredienti migliori del mondo e di conoscerli più e meglio di chiunque altro.
Salvo rare eccezioni, il burro che si vende da noi è infatti solo una brutta copia del prodotto che si acquista all’estero. Le cause sono molteplici.
Le cause dello scarso interesse italiano verso il burro:
- La prima è che conosciamo davvero poco questo prodotto. In Italia il consumo di burro crudo è praticamente nullo, mentre in cucina (dove tutto sommato il burro non esprime il massimo di sé, a causa del suo basso punto di fumo, che si colloca fra i 120 e i 130°C appena) è l’olio d’oliva a farla da padrone incontrastato, e non solo nelle Regioni del Centro Sud. Il risultato è che la media nazionale del consumo, concentrato per oltre i 2/3 nelle Regioni del Nord, è di soli 2,4 kg a testa, a fronte degli oltre 8 kg dei Francesi.
- La seconda ragione è che da 100 kg di latte si ottengono solo 4,5 kg di burro e che da noi, che siamo modesti produttori di latte in paragone con Francesi, Tedeschi, Svizzeri o Olandesi, quasi il 70% del latte prodotto va alla trasformazione casearia. Il resto va quasi tutto alla produzione di panna fresca o da cucina. La conseguenza è che il nostro burro non deriva quasi mai direttamente dalla centrifugazione del latte fresco, come avviene altrove, ma è di fatto un sottoprodotto che si ricava per affioramento dal siero residuo della lavorazione del formaggio, le cui caratteristiche organolettiche (e anche microbiologiche, considerati i tempi lunghi di questo processo) sono tutt’altro che elevate. Ne deriva che ogni anno importiamo dagli altri Paesi UE qualcosa come 70.000 ton di burro e che lo standard qualitativo del burro che gli Italiani hanno in mente è piuttosto scadente, anche perché nessuna grande azienda ha mai avuto realmente interesse a spiegare al consumatore l’importanza delle paroline magiche “burro da centrifuga” in etichetta.
- La terza causa è che per molti anni il burro è stato oggetto di vere e proprie campagne diffamatorie, che hanno fatto credere alla gente che si trattasse di un prodotto ipercalorico, che aumentasse i rischi di natura cardiovascolare perché troppo ricco di colesterolo e persino che contenesse sostanze cancerogene. Tutte ipotesi basate sul nulla, che si sono però rivelate utilissime alle grandi multinazionali, che hanno sfruttato la tradizionale propensione degli Italiani verso l’olio d’oliva per colpevolizzare ingiustamente il burro e proporre come alternativa le famigerate margarine, prodotti chimici a basso prezzo ottenuti da grassi vegetali (e talvolta anche animali) estratti con solventi organici, idrogenati e poi raffinati.
La verità sul Burro, un alimento dalle straordinarie proprietà
La verità è invece che il burro è un grasso naturale, ricco fra l’altro di calcio, sali minerali, colesterolo buono (HDL), tocoferoli, carotenoidi e vitamine A, D e E, e che esso rappresenta la frazione più nobile del latte, la quale, come dimostra il caso canadese, è anche la più sensibile alla qualità dell’alimentazione zootecnica. Tanto per avere un’idea di quanto quest’ultima sia importante, si pensi per esempio al caso dell’americana Animal Farm, una piccola azienda del Vermont che alleva le proprie vacche allo stato brado e le alimenta con essenze vegetali di pregio, che le permettono di commercializzare tutto il burro che riesce a produrre ad un prezzo di oltre 130$/kg.
Gli ultimi dati sul consumo italiano di burro mostrano tuttavia segnali positivi, sia sul fronte dei consumi, con un incremento del 12,5%, sia su quello dell’offerta, grazie al crescente numero di aziende che hanno iniziato a presentare sul mercato prodotti realmente di qualità, ottenuti per centrifugazione del latte fresco.
Aumenta anche la voglia di conoscere meglio questo prodotto, come dimostra per esempio l’interesse crescente verso l’uso in cucina del burro chiarificato, nel quale l’eliminazione della parte acquosa per evaporazione e quella delle caseine e del lattosio residui per filtrazione consente di innalzare il punto di fumo fino a 200°C: è per questa ragione che una cotoletta alla milanese è molto più buona e la panatura risulta più croccante quando la cotoletta viene fritta in burro chiarificato, o che una salsa bernese, una pasta frolla o una torta risultano più soffici quando vengono realizzate con questa che non è altro che la pura e semplice frazione grassa del burro.
Un'altra variante che inizia ad essere utilizzata con una certa frequenza anche da noi è il burro salato, prodotto da sempre molto diffuso nel Nord Europa e soprattutto in Bretagna e in Normandia, dove in una versione leggermente fermentata ottenne persino il riconoscimento della DOP come Burro di Isigny e dove il maître chocolatier Henry Le Roux, aggiungendo caramello e frutta secca al burro salato, creò nel 1977 il Caramello al Burro Salato, divenuto oggi talmente famoso da essere commercializzato semplicemente con il marchio CBS®.
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