Daniela Cicioni, cuoca vegana crudista: "realizzare un piatto vegano non vuol dire solo togliere ma bisogna che piaccia a chi vegano non è!"
Intervista a Daniela Cicioni, cuoca vegana crudista: "Il gusto è al centro in ogni genere di cucina"
La cucina vegana è una delle tendenze alimentari in crescita negli ultimi anni, considerato più uno stile di vita che una dieta. Secondo l’ultima rilevazione Eurispes, il numero dei vegani è in costante aumento in Italia: questo gruppo infatti ha registrato una crescita costante negli ultimi anni ed anche nell’ultima raccolta dati di Ottobre 2019 in occasione dell’imminente World Vegan Day. La crescita è evidente in tutte le città italiane da Milano a Roma, da Napoli a Catania. Tutta la penisola, insomma, si avvicina se non proprio al completo stile di vita su cui il veganismo è fondato, quanto meno alle sue abitudini alimentari: sempre più persone provano cucina vegana, vegetariana o basata sui vegetali, sempre più alto è il numero di locali vegan friendly che appaiono sulle nostre strade o tra le nostre possibili scelte su app di prenotazione e servizio delivery, sempre in crescita è la quantità di consumatori che dichiara di volersi avvicinare a questo mondo.
Allo stato attuale delle cose, in questo panorama fatto di ambiente e sostenibilità, di emergenza e cura del corpo e dello spirito sembra proprio che la prossima ventata di marketing e storytelling nel mondo della ristorazione soffierà verso tutto ciò che è parte di una cucina vegetale e macrobiotica.
Bisogna, secondo questi stili di vita e le pratiche alimentari annesse, trovare un equilibrio volto ad una maggiore "armonia con il cosmo". In tale percorso, fondamentale è il ruolo svolto dall'alimentazione, la quale, costruendo e modificando il corpo fisico, interagisce anche con la mente e lo spirito. Secondo la macrobiotica sono molto importanti la qualità e la quantità del cibo e anche le modalità di consumo dello stesso, che dovrebbe essere masticato a lungo.
Daniela Cicioni è una cuoca free lance, consulente e insegnante di cucina a base vegetale e crudista. Collabora dal 2014 con Identità Golose ed ogni anno, da allora, è relatrice ad Identità Naturali.
Chi è Daniela Cicioni? Come è arrivata a essere la cuoca senza ristorante che oggi si definisce?
Milanese di nascita, ho vissuto in provincia fino alla laurea in Architettura e la successiva Specializzazione in Architettura del Paesaggio, poi mi trasferii in un piccolo paese sul Lago di Como.
Scoprii l’interesse professionale per la cucina di origine vegetale una sera del 1999. Ormai prossima alla laurea, venni invitata a cenare presso il Ristorante-scuola di cucina naturale La Sana Gola a Milano, trovando tutto ottimo, appagante e, cosa più stupefacente, senza alcuna traccia di ingredienti di origine animale. Durante la cena seguii una breve conferenza tenuta da Martin Halsey, biologo e fondatore della scuola, che spiegò come, secondo i principi della cucina naturale (intesa come vegana-macrobiotica), cucinare e mangiare costituissero il mezzo più diretto e potente per entrare in equilibrio (o in disequilibrio, a seconda delle scelte fatte) con l’ambiente. A partire da quel momento il mio sogno per il futuro diventò quello di trasformare in mestiere questa scoperta, cercando di coniugare piacere, salute e rispetto per la vita.
Raw vegan bites; macadamia cream, pumpkin, herbs.
Mi iscrissi alla scuola e mi diplomai come Cuoca Naturale nel 2008, nel frattempo lavoravo come Architetto e Architetto del Paesaggio, avendo la possibilità di studiare il mondo vegetale con tutte le sue potenzialità.
Nel 2006 lasciai il lavoro di Architetto del Paesaggio, mi specializzai in Catering e lavorai per un anno come organizzatrice di Catering Vegani. In seguito ottenni l’assunzione in un piccolo ristorante-gastronomia di Milano (Centro Botanico) come cuoca vegana-crudista. Imparai a conoscere esigenze, gusti, tendenze, capendo come e quanto le forme e i colori, oltre al gusto, influenzino le scelte sul cibo. Ebbi soprattutto la possibilità di sperimentare una materia nuova: il crudismo.
Dopo cinque anni decisi di lavorare autonomamente. Seguirono ancora studi, sperimentazioni, collaborazioni, fino alla cena vegana organizzata al Ristorante Ratanà dello Chef Cesare Battisti (Milano). In quella occasione conobbi personalmente Paolo Marchi (ideatore del Congresso Identità Golose). Arrivò qualche mese dopo l’invito a partecipare come relatrice al Congresso del 2014 (invito rinnovato fino a quest’anno).
Pochi mesi dopo un’altra grande esperienza positiva arrivò partecipando e vincendo alla prima edizione del Concorso internazionale di cucina vegana The Vegetarian Chance, organizzato dallo Chef Pietro Leemann e dal giornalista Gabriele Eschenazi.
Consapevole degli aspetti energetici e dinamici di ogni stile di cottura, utilizzo spesso tecniche che non superano i 42°C, in grado di mantenere inalterato il potenziale vitale degli ingredienti e in alcuni casi di accrescerlo (come nel caso della germinazione, della germogliazione e della fermentazione).
Alcune convinzioni che ho acquisito negli anni sono che:
- Al benessere ci si può arrivare per strade diverse, non esistono verità assolute.
- In ogni piatto Etica, Piacere ed Estetica devono potere coesistere. Per ottenere ciò la conoscenza, il confronto e il rispetto sono ingredienti imprescindibili.
Winter Garden: pomegranate semifreddo, cocoa and cinnamon truffles with fir buds powder, fermented fir buds and radicchio leaves .
Come nasce la sua spinta verso tutto ciò che è naturale, vegano e crudista?
In famiglia fin dall’adolescenza cominciai a documentarmi e a sperimentare la cucina vegetariana e poi vegana (con la complicità di mia madre e ad eccezione di mio padre, carnivoro convinto). La cucina così interpretata aveva forti valori etici e ambientali, non si limitava ad un discorso salutistico o puramente edonistico. Aveva un approccio globale, e questo aspetto fu ciò che mi convinse.
Roots spaghetti, red beet kimchi, tree nuts cheese inoculated with P. roqueforti.
Che sensazione le fa sapere che la prossima ondata di marketing e storytelling sarà proprio sulla cucina vegetale?
Mi fa molto piacere, oltretutto l’ondata è già in atto da qualche anno ed è inarrestabile. Ci sono diverse modalità di interpretazione e comunicazione, alcune molto positive e altre meno, ma tutto fa parte del processo di cambiamento del rapporto tra l’alimentazione, l’ambiente, l’economia e l’etica.
Summer Raw Vegan Dessert: Blackberry semifreddo, peach kanten, fermented blackberry, lemon verbena and orange pumpkin seeds crumble.
Dai suoi piatti emerge una particolare importanza data a colori e armonia. Quanto è importante l’estetica del piatto, dell’impiattamento per la psicologia del commensale?
L’impressione che si ha di un piatto coinvolge stimoli provenienti da tutti i sensi, non solo dal gusto. Il senso della vista ha un ruolo molto importante nell’esperienza con il cibo, perché anticipa e veicola messaggi al cervello in base alla sua apparenza (forma, dimensione, colore). L’apparenza influisce sul gusto del cibo creando aspettativa nei confronti del suo sapore. Di conseguenza curare l’aspetto estetico/visivo diventa importante tanto quanto il contenuto.
#Roquefort #fermentino eight weeks aged.
Tra fermentini, germogliazione e tecniche di “non cottura”, quanto costa mangiare sano?
Per mangiare “sano” è fondamentale partire dalla freschezza e dalla qualità delle materie prime, che nel caso di un’alimentazione a base vegetale sono: cereali (preferibilmente in chicco e integrali), legumi, verdura e frutta. Meglio se biologici e/o provenienti da medio-piccoli produttori affidabili.
Il costo economico di una cucina vegetale di questo tipo, in cui si è disposti a investire il giusto tempo per la preparazione dei piatti piuttosto che acquistare prodotti già pronti, non è maggiore rispetto ad una cucina che includa anche carne, latte e derivati.
Fermentini e altri prodotti fermentati sono preparazioni “ricche” in termini di potenziale nutritivo, è sensato utilizzarle in quantità minore rispetto agli altri ingredienti di base come cereali, legumi e verdure. Incidono quindi economicamente in maniera relativa.
Lei ha sempre parlato di cucina naturale come unica risposta possibile all’impoverimento delle risorse del pianeta e addirittura come cura ad alcuni malanni. Quale cambiamento prevede o si immagina in questa fase di convivenza con il virus per la ristorazione?
Spero che ci si renda sempre più conto che la prima difesa del corpo dalle malattie sia un buon sistema immunitario, e che questo è strettamente legato al tipo di cibo che mangiamo, ai nostri pensieri e alla qualità dell’ambiente che ci circonda.
La ristorazione, attraverso il cibo che propone, ha il grande potere di favorire (o sfavorire) in maniera diretta il benessere fisico e psicologico delle persone. In questo momento e per il futuro occorrerà tenerne conto e in molti casi ripensare a ciò che si propone in carta alla luce di questa visione. La sfida sarà riuscire a coniugare piacere del palato, piacere degli occhi e salute.
Riso rosso germinato, crema di piselli con shio-koji, gel di limone sotto sale, cavolo rapa in osmosi con succo di mela, menta e zenzero, riduzione di kombucha.
C’è un ingrediente o un piatto che ha rivalutato o che è stato particolarmente presente in questo periodo per lei e sarà per sempre rappresentativo?
Si certamente, i cereali in chicco come il riso integrale e il miglio, preparati soprattutto in zuppa, con legumi, verdure di stagione, cipollotto, zenzero o peperoncino. Mi hanno aiutato a rinforzare il corpo e a darmi calore (quando ancora faceva freddo), forza e stabilità mentale. Un vero comfort food, ma anche una cura. Il vero lusso è questo, tutti dovremmo concedercelo almeno una volta a giorno. Sembra una banalità, ma non lo è.
Quanto cambierà il mondo del food nel più recente futuro sulla scia degli ultimi eventi?
Non ho un’idea precisa su quanto cambierà, per ora vedo che molti ristoratori stanno puntando ancora sull’asporto, semplificando le proposte rispetto ai menu destinati alla consumazione in loco. Spero che presto si ritorni a poter fare dell’esperienza al ristorante un’attività sociale e di relazione senza restrizioni, vincoli e distanziamenti più o meno sensati.
Fermented tree nut cheese (#Fermentino), pomegranate gel, romanesco broccoli, nasturtium oil.
Ha un consiglio, un suggerimento da dare ai suoi colleghi ed al mondo della ristorazione tutto?
Un consiglio che mi sento di dare è di puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità, sulla diversificazione e sull’ascolto del cliente.
Introdurre, inoltre, con coraggio e in modo accattivante cibi e ingredienti fino ad oggi relegati all’ambito della cucina “salutista”, “vegetale” (i cereali integrali, i legumi, le verdure fermentate, i semi oleosi) che invece dovrebbero essere a disposizione di tutti i cuochi. I cuochi dovrebbero imparare a conoscerli per poi interpretarli nella loro cucina. Per realizzare un piatto vegano non è sufficiente “togliere” adattando ricette onnivore, ma integrare ciò che si è tolto per raggiungere un nuovo equilibrio. Le proposte vegane dovrebbero essere buone in senso assoluto, per piacere anche a chi vegano non è.
Pappardelle di zucca, barbabietola, caviale di aglio nero.
Daniela Cicioni sembra essere esattamente tutto ciò che i suoi piatti dicono: sperimentazione, colore e rispetto ed in poche battute ci insegna non solo che il rispetto per noi stessi parte da ciò che ci circonda ma anche che il rispetto per noi stessi ha inizio nel momento in cui rispettiamo ciò che ci circonda. I suoi piatti non sono sostituzioni o rivisitazioni, sono vere opere d’arte originali nate dalla spinta più forte in assoluto (per me) che può smuovere un animo: la passione.
Photo credits @brambillaserrani