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Domenico Stile e La Critica della Ristorazione Pura: "Manca la cultura del sacrificio, tutto è spettacolarizzato!"

L'intervista a Domenico Stile, executive chef gragnanese dell'Enoteca La Torre (2 stelle Michelin)

Domenico Stile e La Critica della Ristorazione Pura: "Manca la cultura del sacrificio, tutto è spettacolarizzato!"

Nell'ampio alveo dell'enogastronomia italiana, la Campania può considerarsi una delle regioni culturalmente più radicate, nella variegata vetrina culinaria nazionale ed internazionale.

Mettendo da parte i soliti ”sofismi” e le chiacchiere dedicate alle parafrasi di “Napoli della pizza, del sole e dell'amore”, provo a spingermi nella provincia e vado a fare due chiacchiere con uno degli chef stellati più giovane d'Italia sulla situazione che sta vivendo attualmente la ristorazione.

Un territorio come quello di Gragnano, ricco di risorse umane con altissimo profilo professionale nell'ambito della ristorazione e fucina di giovani talenti, fa da contr'altare alla ristorazione d'élite delle grandi metropoli, essendo la città, avviatasi già da anni a divenire una della più belle capitali enogastronomiche del nostro paese.

Domenico Stile, 33 anni, proveniente proprio da Gragnano, è l'executive chef dell'Enoteca La Torre,

ristorante à là carte con due stelle Michelin, dell'Hotel Villa Laetitia a Roma ed è stato veramente gentile e cortese nell'accettare il mio invito per saperne di più sulla sua cucina, sul come è riuscito ad arrivare così in alto e fare una riflessione di sorta sulla ristorazione d'élite attuale.

Ultimamente è balzato agli onori della cronaca per aversi guadagnato il podio per la 15esima edizione del “Personaggio dell’anno dell’enogastronomia e dell’accoglienza - Premio Italia a Tavola", ed essere eletto come i 6 migliori cuochi del sondaggio promosso da Italia a Tavola. Un’iniziativa che dà la possibilità al grande pubblico di eleggere i professionisti che si sono spesi al meglio nella valorizzazione dell’enogastronomia e dell’accoglienza made in Italy.

Domenico è un ragazzo che si è fatto da solo e questa sua ostinazione di fondo, nel voler dare a tutti i costi senso al suo impegno nell'arte culinaria, glielo leggo chiaramente negli occhi.

Alla mia domanda sul perché ha scelto questo mestiere e di impegnarsi così tanto, Domenico mi risponde che questo lavoro rappresenta una vocazione che è legata al suo essere “pignolo” e tecnicamente dotato, caratteristiche che gli sono valsi i “gradi sulle mostrine”.

Sin da ragazzo ha sempre approcciato a questa attività con grande impegno, voglia di fare e farlo bene.

Si diploma all'Istituto Alberghiero di Castellammare di Stabia F. De Gennaro con votazione 100/100, ed essendo alunno di Enrico Cosentino, grande professionista del settore enograstronomico nazionale ed internazionale, nonché creatore dello scialatiello, gli propone di continuare i suoi studi all'università di Portici come Tecnologo Alimentare.

Domenico però, nonostante la media alta dei voti, non è convinto, si sente costretto da un sistema che non gli permette di esprimere la sua libertà di apprendimento sul campo, perché è sul campo che può manipolare la materia ed il suo essere. Decide di lasciare il suo percorso di studi ed intraprendere la sua formazione di lavoro in giro per l'Italia.

Il suo percorso di formazione lavorativa è fatto di impegno, sacrifici ed abnegazione. Inizia a praticare cucine importanti di strutture rinomate da giovane: Palazzo Vialdo di Michele Di Leo a Torre del Greco, Hotel Ambasciatori di Sorrento, ristorante il Buco di Peppe Aversa, sempre a Sorrento e nel 2009 l'approdo a Casa Vissani a Terni, dove comincia a strutturare le sue competenze sulla preparazione di carne e cacciagione, uscendo da quel campanilismo che a Domenico stava un po' stretto.

Poi ancora Villa Crespi da Antonino Cannavacciuolo, Piazza Duomo con Enrico Crippa , Villa Verde a Capri e l'approdo, nel 2014, all'Osteria Francescana di Massimo Bottura. L'anno dopo arriva da Nino Di Costanzo nel suo Ristorante “Il Mosaico” con 2 stelle Michelin ad Ischia e dopo varie esperienze negli USA fra le quali al Alinea di Chicago, arriva a soli 26 anni all'Enoteca La Torre, 2 stelle Michelin a Roma.

L'excursus è stato d'obbligo, poiché una figura come Domenico ha potuto trasferirmi una serie di coordinate utili a riflettere sulla flessione esperita dall'attuale cucina italiana.

Infatti é d'accordo con me quando non tralascia la gestione della ”sostenibilità” in cucina, seppur questo termine, da anni, è divenuto abbastanza inflazionato e viene usato spesso nel proporre un prodotto, che la maggior parte delle volte non riflette più gli albori di una cucina sì genuina, di un tempo, ma che era supportata da innovazione e creatività.

Mentre mi espone tutto ciò, io percepisco nei suoi occhi la sua “fame”, la sua motivazione a dare significato e senso ad un lavoro che sempre più spesso “galleggia” più sulla spettacolarizzazione della sua funzione che sul prodotto a cui è finalizzato.

"Manca - secondo Domenico Stile - la cultura del sacrificio, caratterizzato dalla sensibilità di chi si è formato nel lavoro con impegno, dedizione e sviluppando capacità percettive e valutative derivanti, di base, da una motivazione intrinseca tesa alla passione dell'apprendere un mestiere."

Tutte cose che lui ha appreso dai suoi maestri: lo zio chef Franco La Mura e il monumento Enrico Cosentino che rappresentano l'inizio della sua vita professionale.

Quella di Domenico è una critica basata su una reale saturazione del mercato ristorativo,

accentuata dalla globalizzazione imperante e soprattutto da una massificazione dello show business che ha fatto, di chi lavora in cucina, un oggetto di spettacolarizzazione oramai imitato da tutti:

“Non si può lavorare in cucina se non hai avuto una vera guida che ti permette di apprendere le competenze in cucina. Ad esempio quando sento che qualcuno si proclama autodidatta, per me vuol dire che non ha appreso le basi del lavoro da cuoco.”

Per Domenico, quindi, il lavoro di chef è molto importante perché incarna in un certo senso una relazione di cura, la cura degli altri ed in questo caso dei clienti.

Questa relazione di cura, implicitamente, esige e predilige la responsabilità del lavoro, finalizzato alla realizzazione di un prodotto. I clienti si siedono contenti al ristorante ma è nostro compito farli andare via felici, facendoli ritornare, perché la ristorazione è un'esperienza che va al di là dei tecnicismi e le presentazioni di facciata. É l'incarnazione dell'essere di chi lavora e si impegna con sacrificio per offrire un servizio ed una pietanza, che rimanga nel cuore di chi decide di sedersi a quel tavolo.

Significa dimenticare il proprio ego,

accrescere e la sensibilità tesa al buon senso e l'attenzione ai valori per ottimizzare tempi, metodologie e materiali e dunque una vera e propria passione che si sporge verso una sorta di “maniacalità” delle preparazioni; un setting mentale che ti predispone come “architetto culinario”, una figura che conosce le relazioni fisiche e chimiche dei cibi e che sa trattarli in base al fattore tempo e che se legarli, sapientemente, fra loro.

L'architettura culinaria proposta da chef Stile,

Domenico Stile e La Critica della Ristorazione Pura: "Manca la cultura del sacrificio, tutto è spettacolarizzato!"
Spaghetto ai crostacei, estrazione di mandorle e basilico

dunque, e doverosamente improntata sul rispetto dei tempi di trasformazione, sulla precisa designazione dei processi di lavorazione e sullo studio delle materie prime impiegate, sicché le fondamenta del suo lavoro in cucina, sono assumibili alla maturazione di una “expertise” professionale che sfocia nella produzione di piatti stilisticamente congrui al suo modo di essere: i suoi collaboratori, infatti, sono costantemente motivati a trattare le materie prime come inestimabili risorse, atte a coinvolgere i clienti tramite i loro sensi, per arrivare direttamente al loro cuore.

Domenico Stile e La Critica della Ristorazione Pura: "Manca la cultura del sacrificio, tutto è spettacolarizzato!"
Polpo, pere, cavolo viola e spezie

I prodotti del mare, fra quelli più delicati da lavorare, definiscono le abilità, quelle della brigata di cucina dello chef Stile, legate non solo al sapere ma soprattutto al saper fare: ogni preparazione viene effettuata in maniera certosina, sin dal taglio della materia prima fino ad arrivare al pass per l'impiattamento e la guarnizione del piatto, per cui i processi di lavorazione hanno come fine ultimo l'equilibrio delle assonanze dei vari ingredienti, come nel caso del Polpo abbinato alle pere ed al cavolo viola, oppure i gli spaghetti ai crostacei che vanno a completarsi con l'aggiunta di estrazione di mandorle e basilico o ancora, parlando del mare in tutta la sua completezza sensoriale, del Branzino ai sentori di brace, pastinaca e ricci di mare.

Domenico Stile e La Critica della Ristorazione Pura: "Manca la cultura del sacrificio, tutto è spettacolarizzato!"
Branzino ai sentori di brace, pastinaca e ricci di mare

Ebbene, il lavoro di Domenico Stile è incentrato sulla ricerca dell'equilibrio fra la lavorazione raffinata degli ingredienti più delicati e la struttura tenace delle aromatizzazioni, legate alle texture sensibilmente più ammorbidite delle paste secche impiegate nei primi.

Concludendo, per Domenico, il lavoro in cucina è un percorso fatto di vision e di mission, tutto incentrato nell'esprimere se stesso arrivando così al cuore dei clienti.

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