Ice age coming: Alfredo Buonanno e “La Ricerca del ghiaccio perfetto”
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Che sia un Negroni, un Manhattan, Daiquiri, un whisky sour, un gin tonic, un Martini, aldilà della cura dei dosaggi, della qualità degli ingredienti, del saperli mescolare, agitare, shekerare e/o pestare, c’è un fattore..il cosiddetto fattore K che decide le sorti del vostro intruglio. Ne sancisce il risultato finale, ne risalta l’armonia, la cura e le attenzioni che c'avete dato o…può tranquillamente mandare tutto a Pu***ne.
Quello che quasi sempre si sottovaluta, infatti, è l’importanza del fattore K.
È apparentemente subdolo ed impercettibile.
È....
Non avete capito ancora di cosa si tratta?!?
Ve lo dico io: il ghiaccio!
Il ghiaccio appunto, a tutti gli effetti, è un ingrediente vero e proprio. Nessuno lo direbbe mai, ma da questo possono dipendere alterazioni di sapori e di equilibri di gusto che possono vanificare gli sforzi di ogni bravo bartender.
Il motivo? Perché quei cubetti di ghiaccio nel drink, che da adolescenti odiavate perché pensavate: “m’ha messo poco alcool e tanto ghiaccio per risparmiare”, non servono soltanto a tenere la temperatura del vostro drink giusta e costante, ma aiutano a regolarne la resa alcolica finale.
Ma vi pare che un buon barman si metta a modificar le dosi “auree” del Negroni?!
Sarebbe soltanto un folle!
Ebbene, forse il vero "incubo" di un bartender ed il disastro dietro un buon drink, sta proprio nel giusto e sapiente utilizzo del ghiaccio, nel capire quando è troppo e quando riveste bene quell’intruglio piuttosto che un altro.
Il ghiaccio è per il bartender quello che le fiamme sono per lo chef.
Considerate che i drink shakerati richiedono cubetti non troppo sciolti, altrimenti il risultato è acqua colorata, ma non devono neanche superare i 3/4 del bicchiere; i long drink vogliono i cubi direttamente nel bicchiere; il cocktail pestato vuole il ghiaccio frantumato, ma attenzione: non azzardatevi ad usare il ghiaccio tritato per il mojito! Vi verranno tritate le mani!
Come si fa a riconoscere il cubetto di qualità? Semplice! Più è trasparente, più è puro, più alta è la qualità. L’opacità dei cubetti può dipendere da due fattori: le impurità (che incidono poi sul sapore della bevanda) o gli accumuli di ossigeno (che però accelerano i tempi di scioglimento, influenzando negativamente la consistenza del drink).
Ricordo ancora la faccia che feci quando vidi il mio primo ICE CUBE: il blocco perfetto.
Per me quel momento fu indimenticabile. Ero affascinato ma allo stesso tempo turbato, capii il vero quantitativo di un drink e come il sorseggiare sia un piacere e non semplice “sete”. Capii che ordinare un cocktail con un amico/a non è soltanto bere ma ha priorità il colloquiare. Provai la strana sensazione di “dilatazione temporale”: quel criceto meschino del tempo aveva preso una pausa dalla sua ruota delle meraviglie.
Capii che il bere è piacere…e che unito al piacere di stare insieme generava estasi.
“Ice age coming” canta Thom Yorke in Ideoteque.. e vedere che qualcuno sta iniziando a preoccuparsi seriamente alla cosa (oltre che al riscaldamento globale ed al conseguente sciogliersi dei ghiacci) accende un barlume di speranza, se non in un futuro migliore, almeno in una bevuta migliore.
Vintage '95 vendemmia perfetta in Champagne; meno all'anagrafe!
Le prime cose che ha sentito sono state la Carmen di Bizet e la Falanghina di nonno Alfredo.
A casa, con la scusa di studiare, strimpella il pianoforte per la mamma, e prepara Dry Martini per gli amici e per il papà.
Al Kresios, con la scusa di lavorare, seleziona stappa e beve le bottiglie destinate agli ospiti e abbina la musica in filodiffusione con il menù.
Sempre sorridente (forse per il tasso alcolemico) e tanto curioso (probabilmente per la sete) è sicuro che il bere vincerà sul male.
Ladies & Gentleman…ho il piacere di presentarvi: Alfredo Buonanno.
- Ciao Alfredo, come stai? Raccontaci di te e della tua storia.
Ciao Alfred! Alla grande: questi mesi di lockdown sono stati utili per ricaricare le pile e ripartire con tanta sete!
La mia storia è quella di un ragazzo che cercava una scusa, anzi, una copertura per “far passare” l’alcool come oggetto di studio anche di fronte ai propri genitori! :D
La mia storia da alcolista inizia grazie (o per colpa?) ad un mensile: Bargiornale. Ero affascinato da quei personaggi in giacca bianca e cravatta che creavano fantastiche ricette o eseguivano magistralmente (attraverso storie e foto) i drink più famosi. Così decisi di frequentare l’alberghiero: qui incontro un prof e una persona fantastica - ancora oggi mio punto di riferimento- grazie al quale ho “consacrato” la mia passione per i drinks e mi ha incuriosito rispetto al mondo del vino. Ho dei ricordi davvero importanti legati all’esperienza scolastica (competizioni tra le altre scuole, stage…) senza i quali non avrei avuto la fortuna di ritrovarmi così presto nel mondo dei “grandi”.
Ero convinto che il “mio futuro” fosse legato al mondo dei liquidi e non ero per niente propenso a studiare per diventare un cameriere. Oggi al Krèsios mi occupo dell’accoglienza e del servizio in generale: è qui che ho capito quanto fosse soddisfacente prendersi cura a 360° di ciascun ospite.
- Sommelier prima di tutto, ma diciamocelo: anche barman a livelli altissimi (alchimista direi). Qual è la tua filosofia di miscelazione?
È vero: oggi sono “riconosciuto” come sommelier e il vino è la mia più grande passione: ma la mia storia professionale inizia lavando e asciugando coppe Martini al Lobster e Martini Bar di Palazzo Avino a Ravello.
La mia filosofia di miscelazione è parecchio classica, legata alla figura del barman elegante e cordiale che ho “conosciuto” prima attraverso le riviste settoriali e poi dietro i banconi dei grandi hotel. Qui al Krèsios però mi piace inventare e ho personalizzato quelle che prima ritenevo “regole imprescindibili”.
Trovo molto prezioso applicare la tecnica di degustazione del vino ai miscelati: riesco così a scindere un cocktail per capire il bilanciamento e la funzione dei vari ingredienti.
- Quel'è tua fonte di ispirazione dietro un abbinamento?
Più che fonte di ispirazione, c’è una fase di valutazione che porta poi alla scelta finale. L’obiettivo è quello di creare un ricordo armonico del piatto e del liquido che lo accompagnerà: in primis mi chiedo qual è la sensazione gustativa del piatto da evidenziare, da contrastare o da abbracciare; dopodiché quali possono essere le caratteristiche del liquido per poter funzionare con quella sensazione del cibo; parte quindi la ricerca della bevanda che contiene quelle qualità (cocktail, vino, infuso, succo…) e quindi il giusto calice, la giusta temperatura di servizio e così via… Al Krèsios i menù sono articolati su una lunga sequenza di piatti e l’abbinamento gioca un ruolo importantissimo: una sorta di completamento del menù stesso.
- Cocktail e cibo.
In Italia è giusto ancorare il concetto di abbinamento al mondo del vino: siamo il Paese con più varietà autoctone al mondo, i nostri vini hanno una qualità media invidiabile e ci sarà sempre un vino che sposerà perfettamente con qualsiasi ingrediente o preparazione (carciofi compresi!). Fatta questa premessa, sono dell’idea che in un ristorante “da esperienza” sia importante stupire l’ospite anche con un abbinamento fuori dagli schemi e spezzare così quella sorta di cadenza ripetitiva che rischierebbe così di appiattire la cena. E allora entrano in gioco gli infusi, i succhi e ovviamente i cocktails. Attenzione però: questi abbinamenti fuori dagli schemi vanno motivati, non devono essere forzati e serviti solo per “stupire”. Qualche tempo fa (cambio spesso!) abbinavo ad un piatto a base di agnello e shiitake un Mizuwari a base whisky: una ricetta originaria del Giappone (il termine deriva da “mizu” cioè acqua e “wari” che significa spezzare, tagliare) che si ottiene miscelando con 4 parti di acqua del whisky leggermente torbato e del ghiaccio purissimo. La gradazione alcolica bassa del miscelato permette di non avere alti e bassi con la gradazione alcolica dei vini all’interno del pairing e grazie al ricordo di torba, il Mizuwari “allunga" la persistenza della sensazione di umami che rilascia il fungo Shiitake e il fumo del barbecue all’agnello.
- “LA RICERCA DEL GHIACCIO PERFETTO”. Parlaci di questo progetto che suona visionario e/o utopico.
Tra gli ingredienti per un cocktail il ghiaccio è probabilmente quello che ne sposta gli equilibri e che incide quindi sulla qualità finale: la diluizione del ghiaccio è da sempre oggetto di studio, che sia da shakerare, miscelare o nel bicchiere da cui va consumato. Serviamo pochi drink al Krèsios ma l’idea di offrire un cocktail che possa essere ricordato per la semplicità e il rigore stilistico è da sempre un mio pallino. Avere un ghiaccio trasparente, cristallino e con acqua priva di impurità e povera di sali minerali è quindi il primo step. Oggi abbiamo la fortuna di utilizzare il ghiaccio di una “speciale” macchina che produce direttamente i cubi di cui avevamo bisogno: Hoshizaki rappresentata in Italia da Mauro Pelacano e Vincenzo D’Ambrosio di PB Line. È uno “speciale” produttore di ghiaccio poiché il raffreddamento dell’acqua avviene lentamente (circa 48 h) e dal basso verso l’alto così che tutta l’aria presente all’interno possa fuoriuscire. Con questa modalità e tempistica anche il cuore del ghiaccio raggiunge una temperatura bassissima (circa -12°C) che ne riduce notevolmente il punto di scioglimento e quindi la diluizione. Inoltre tutta l’acqua in ingresso al Krèsios viene trattata, grazie ad un addolcitore, con resine per eliminare gli eccessi di calcare e sali minerali.
- Qual è l’errore in miscelazione per te intollerabile.
La quantità e la qualità di ghiaccio;
la tonica al posto della soda;
la scelta del bicchiere (i ballon per il gin tonic per intenderci :D)
- Qual è l’errore che seppur tale è invece passabile?
Il dosaggio degli ingredienti senza jigger, a mano libera… conosco barman che possono permetterselo!
- La cosa più strana che ti sia capitata di vedere? La richiesta più assurda che hai ricevuto?
Spesso capita che qualche ospite si azzarda ad esclamare “fai tu!”…pazzi squinternati!
- Il tuo drink preferito?
Quando mi alcolizzavo: Dry Martini; ora che sono diventato astemio sicuramente Americano (non ci sono superalcolici!) :D !
Epilogo:
Here I'm alive
Everything all of the time
Here I'm alive
Everything all of the time.
È venerdì..già solo battere il suo nome mi ha ha fatto venir sete. E a voi non han messo sete le parole di Alfredo?!
Buon weekend!
A Venerdì prossimo!
Cheers!