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La pizza napoletana non fa male. Uno studio dimostra che "il bordo bruciacchiato non è cancerogeno".

Pizza napoletana "non è cancerogena nelle parti bruciate" è quanto emerso al convegno Accademia dei Georgofili

La pizza napoletana non fa male. Uno studio dimostra che "il bordo bruciacchiato non è cancerogeno".

Durante il convegno "Pizza napoletana tra tradizione e innovazione", in corso all'Accademia dei Georgofili di Firenze, è emerso che la pizza napoletana - appunto - è sicura e non cancerogena nemmeno nella parte più cotta e quindi sul bordo.

LA NOTIZIA

Dunque la pizza napoletana non è nociva per la salute.

"La pizza napoletana è sicura, non porta problemi nella parte che definiamo più bruciacchiata", ha affermato Mauro Moresi dell'Accademia dei Georgofili.

Infatti sembrerebbe che "la quantità di acrilammide nel prodotto e nel bordo, ovvero la parte più esposta a temperatura alte, sia bassa": ciò viene dimostrato dai gruppi di ricerca dell'Università di Napoli e della Tuscia.

Il motivo è legato al tempo di cottura della pizza nel forno a legna, molto basso, in genere sui 90 secondi.

Paolo Masi, professore dell'Università di Napoli Federico II, ha precisato: "Abbiamo fatto questi studi insieme ad altri colleghi, ma poi sulla manualità e sulla riproducibilità dei campioni abbiamo avuto la collaborazione di Enzo Coccia, uno dei più famosi pizzaioli italiani, che è venuto per diverse settimane a preparare i campioni."

Le analisi hanno ovviamente messo al centro la pizza napoletana, considerata ormai un vero e proprio patrimonio non solo per Napoli ma per tutta l'Italia, e dunque il risultato sarebbe che ci sarebbe un basso contenuto di acrilammide nella pizza bruciata, tale da non rappresentare un pericolo immediato. Tutto ciò grazie al tempo che la pizza trascorre nel forno a legna: molto poco affinché si sviluppi acrilammide in dosi preoccupanti.

"Quindi possiamo mangiare tranquillamente la pizza".

"Gli studi dimostrano che la superficie della pizza che si brucia è inferiore al 3% sulla quantità di peso e non per unità di superficie."

ATTENZIONE!!!

Questo non vuol dire che da oggi in poi sono autorizzati a propinarvi o farvi accettare qualunque tipo di pizza!

Spesso succede che sia la fretta a giocare brutti scherzi: la temperatura del forno troppo alta, la necessità di soddisfare in tempo i clienti ed il tentativo di guadagnare minuti preziosi. Ma qualche volta si tratta anche solo di scarsa professionalità.

In realtà il problema è più complesso e riguarda proprio l’improvvisazione di alcuni che deriva dalla scarsa preparazione perché fin da sempre la pizza brucicchiata è stato un qualcosa da evitare.

La pizza napoletana non fa male. Uno studio dimostra che "il bordo bruciacchiato non è cancerogeno".

La questione della pizza bruciata è trattata anche nel Disciplinare della Pizza napoletana presentato a Bruxelles per ottenere la denominazione di marchio collettivo dove si legge:

l pizzaiolo deve controllare la cottura della pizza sollevandone un lembo, con l’aiuto di una pala metallica e ruotando la pizza verso il fuoco, utilizzando sempre la stessa zona di platea iniziale per evitare che la pizza possa bruciarsi a causa di due differenti temperature. È importante che la pizza venga cotta in maniera uniforme su tutta la sua circonferenza”.

PER CAPIRNE DI PIU'...

Acrilammide

L’acrilammide è l’ammide dell’acido acrilico ed è ritenuto fortemente tossico e potenzialmente cancerogeno. Con rischi riscontrabili per l’apparato riproduttivo e per il sistema nervoso, sia centrale che periferico.

L’acrilammide è il risultato della reazione tra alcuni zuccheri e l’aminoacido asparagina, entrambi contenuti negli alimenti, in seguito a cotture a temperature molto alte, che in casa si possono raggiungere con la frittura, in forno o con la griglia per periodi prolungati.

Si origina a seguito del superamento del punto di fumo dell’olio che viene usato durante la fase di cottura di un cibo, solitamente fritto ma anche cotto alla brace od al forno. Le parti bruciate sul cibo sono rappresentative della presenza di acrilammide. Per cui il "problema delle bruciacchiature" è qualcosa che riguarda anche altri tipi di alimenti.

Punto di fumo

Il punto di fumo consiste nel raggiungimento di una determinata temperatura da parte di un grasso quando questo è sottoposto a cottura. Ciò non necessariamente riguarda la frittura anche se è il tipo di cottura che più facilmente permette di trovarsi in tale situazione.

Al superamento della specifica temperatura succede che la rottura della soglia massima del punto di fumo fa sì che si formino sostanze fortemente tossiche, tra le quali le più famigerate sono la acroleina e l’acrilammide, entrambe ritenute cancerogene.

La formazione di sostanze tossiche

Il grasso - in cui è contenuto glicerolo - degrada e innesca una trasformazione: il glicerolo diviene acrilammide o acroleina, per l’appunto, e viene sprigionato sotto forma di fumo che rischiamo di ingerire anche in quantità superiori a quanto fissato dalle autorità sanitarie.

La presenza di eventuali sostanze tossiche che possono formarsi dal superamento del punto di fumo è direttamente proporzionale alla presenza di acidi grassi insaturi nell’olio utilizzato durante il processo di cottura e frittura.

NON SOLO PIZZA

Il problema delle parti bruciate e carbonizzate non riguarda solo la pizza ma anche le bruschette, le salsicce e la carne cotta alla brace o con il barbecue. Quando la fiamma è troppo forte l’impasto brucia e nel processo di combustione si formano idrocarburi policiclici aromatici (IPA), un gruppo di composti considerati contaminanti critici in primo luogo dall’EFSA, perché collegato all’aumento del rischio di tumori, compresi quelli associati a squilibri ormonali (mammella, prostata…). Gli IPA (soprattutto benzofluoranteni e benzopireni) sono anche inquinanti ambientali, presenti negli scarichi urbani e industriali, nel fumo di sigaretta, negli ambienti chiusi esposti a intensi fumi di cottura e anche in seguito al fumo di incenso o di candele.

Secondo una valutazione dell’Efsa  datata 2009, le persone che fumano 20 sigarette al giorno sono esposte al rischio di assumere dal 30 al 50% in più  di IPA  rispetto alla  quantità assunta attraverso il cibo. Il rischio per le persone che non fumano  e non sono esposte al fumo passivo è invece di circa il 10%». In realtà il problema è più complesso e riguarda proprio l’improvvisazione di molti pizzaioli e la scarsa preparazione,  anche se qualche volta  basta un momento di distrazione per dimenticare la pizza nel forno e farla bruciare.

GLI STUDI SECONDO AIRC

L’acrilammide alimentare è una sostanza che si forma in seguito alla cottura o alla tostatura di numerosi alimenti, in particolare quelli più ricchi di amido, e che viene classificata come probabile cancerogeno per l’uomo. In attesa di ulteriori studi che possano confermare con certezza il legame tra acrilammide alimentare e cancro, gli esperti consigliano di limitare l’esposizione a questa sostanza scegliendo con cura gli alimenti e le tecniche di cottura e seguendo un’alimentazione sempre varia.

Risale al 2002 il primo studio che dimostra come la cottura dei cibi sia in grado di generare acrilammide e come siano in particolare le alte temperature a causare la sua formazione. Quantità modeste di acrilammide si sviluppano anche nella cottura o tostatura di cereali, patate o caffè a temperature elevate.

Finora, negli esseri umani non sono state trovate associazioni tra l’esposizione alimentare e un aumento del rischio di cancro. Ciò nondimeno, per precauzione, i grandi produttori di cereali tostati (corn flakes e affini) o chips hanno ridotto la temperatura di preparazione onde evitarne lo sviluppo. Ovviamente, ciò non è possibile con le preparazioni casalinghe, per esempio le patate fritte, a meno di utilizzare una friggitrice a temperatura controllata.

Non è chiaro se ciò sia possibile anche per la tostatura del caffè. Peraltro, il caffè non viene consumato direttamente, come le patatine, ma è un infuso. Di conseguenza, i possibili livelli di esposizione sono ancora più bassi.

Nel 2016 l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha cercato di stimare a quanta acrilammide alimentare si è esposti per tipo di cibo. Sulla tavola degli adulti i principali responsabili dell’assunzione alimentare di acrilammide sono i prodotti fritti a base di patate (fino al 49 per cento dell’assunzione totale), seguiti dal caffè (34 per cento) e dal pane morbido (23 per cento).Per i bambini e gli adolescenti la fonte principale di acrilammide è rappresentata, anche in questo caso, da prodotti a base di patate fritte (fino al 51 per cento), seguiti da dolci e pasticceria (15 per cento), pane morbido, biscotti e cereali da colazione; negli adolescenti in particolare anche patatine e snack (11 per cento). Nei più piccoli bisogna fare attenzione anche agli alimenti trasformati a base di cereali (fino al 14 per cento dell’esposizione).

È importante notare che questa sostanza si trova anche nelle sigarette, e infatti i livelli di acrilammide nel sangue dei fumatori sono da tre a cinque volte più elevati di quelli che si osservano nei non fumatori. È anche possibile entrare in contatto con l’acrilammide per motivi professionali, soprattutto in chi lavora in settori come la lavorazione della carta, l’industria tessile, la fonderia e le costruzioni.

QUALI SONO I RISCHI PER LA SALUTE?

La pizza napoletana non fa male. Uno studio dimostra che "il bordo bruciacchiato non è cancerogeno".

Dal primo studio pubblicato nel 2002, numerosi ricercatori in tutto il mondo hanno cercato di comprendere quanto la produzione di acrilammide attraverso la cottura e la lavorazione degli alimenti, e il successivo consumo, potessero influenzare la salute e il rischio oncologico in particolare.

Le informazioni oggi disponibili sull’argomento derivano da due i tipi di studi che hanno portato a risultati non del tutto concordanti. Le ricerche condotte in animali da laboratorio hanno dimostrato che l’esposizione all’acrilammide aumenta il rischio di tumore, ma si tratta di esperimenti condotti utilizzando dosi molto elevate del composto, cioè fino a 1.000-10.000 volte quelle assunte dalle persone con il cibo. Anche per questa ragione è difficile estendere agli esseri umani i risultati ottenuti con questi esperimenti.

Per quanto riguarda gli esseri umani, alla fine del secolo scorso l’acrilammide era stata associata a un aumentato rischio di cancro in lavoratori selezionati fortemente esposti alla sostanza, ma a dosi molto superiori a quelle alimentari. Per questo non si può affermare con certezza che l’esposizione all’acrilammide da alimenti faccia aumentare il rischio di cancro.

Una volta ingerito, l’acrilammide viene assorbito dall’intestino, distribuito a tutti gli organi e metabolizzato principalmente in glicidammide. Gli animali di laboratorio esposti all’acrilammide per via orale presentano una maggiore probabilità di sviluppare mutazioni genetiche, che favoriscono la comparsa del cancro, e proprio la glicidammide sembra esserne la causa più probabile.

L’acrilammide è anche una sostanza neurotossica, come hanno messo in luce alcune ricerche sui disturbi neurologici, ma anche in questo caso servono ulteriori prove prima di giungere a conclusioni definitive.

Crediti foto copertina: espressonapoletano.it
FAQ su Acrilammide dell' EFSA

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