Si fa presto a dire piennolo: "frodi e contraffazioni, sfide e opportunità" al Piennolo Forum 2024
Terza edizione del Piennolo Forum: tutto sul pomodorino del piennolo Dop
Il pomodorino del Piennolo del Vesuvio sta vivendo una ricchissima stagione di successi e non potrebbe essere diversamente vista la sua eccellente qualità.
Questa dop formidabile contiene il fuoco vivo della terra che lo vede crescere forte e rossissimo, ma al tempo stesso rappresenta un asset dai delicati equilibri, tanto economici che ambientali: potremmo asserire, senza alcun timore di smentita, che questa cultivar costituisca al giorno d’oggi una grossa opportunità nel business agroalimentare, almeno tanto quanto lo era la Mozzarella di Bufula trent’anni fa, con tutte le problematiche che ha comportato rispetto alle frodi alimentari.
Pertanto non è difficile pensare che la nuova El Dorado della gastronomia campana sia indubbiamente il famoso pomodorino pizzutello, una delle varianti del Solanum Lycopersicum, appartenente alla famiglia delle Solanacee, che viene tradizionalmente coltivato, come indicato nel disciplinare, nei territori dei comuni vesuviani, tutti nella provincia di Napoli, diBoscoreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa Di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Portici, Sant’Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase, oltre che in una parte del territorio del comune di Nola, perimetralmente delimitata dalla strada provinciale congiungente Piazzola di Nola al Rione Trieste, dal tratto che va sotto il nome di “Costantinopoli”, dal “Lagno Rosario”, dal limite del comune di Ottaviano e fino al comune di Somma Vesuviana.
Proprio in virtù dei rischi in cui si può incappare e osservato quanto sta accadendo sul mercato dell’italian sounding, nel pomeriggio di giovedì 29 febbraio si è tenuta la terza edizione di “Piennolo Forum”, organizzata da Agros-Consulenti in Campo presso il Castello di Santa Caterina a Pollena Trocchia. Tema del convegno, come riportato anche da alcuni quotidiani, “frodi e contraffazioni, sfide e opportunità”.
È stata decisamente un’occasione ghiotta poter partecipare per noi di Foodclub.it, proprio per capirci di più. Ma cos’è successo?
Dopo i convenevoli ed i saluti istituzionali, con la moderazione di Gianluca Iovine, ceo di Agros, arrivano gli interventi istituzionali ed a seguire, come già annunciato, i premi istituzionali di “Patto per il Piennolo”, riconoscimento all’impegno verso la protezione del patrimonio agricolo vesuviano.
Ad esordire Raffaele De Luca, presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, intervenendo in luogo di superamento delle difficoltà burocratiche e di aiuti economici per le nuove aziende, oltre che, visti i grossi volumi di vendita, di proteggere il lavoro e la biodiversità; invece Salvatore Loffreda, di Coldiretti Napoli, ha fatto comprendere che per una maggior tutela occorra certificare sempre di più, rassicurando che “Coldiretti c’è”, per quanto, a volerlo riportare senza responsabilità alcuna, sono parecchi gli agricoltori che affermerebbero che se Codiretti non esistesse, non bisognerebbe affatto inventarlo!
Durante i suoi saluti Cristina Leardi, presidente del Consorzio di Tutela del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, teneva a ricordare che nella stessa giornata il parlamento europeo ha approvato la riforma alle Dop-Igp per evitare la svalutazione dei prodotti, temendo non siano più tutelati e ribadendo la necessità di maggiori controlli, strumenti più trasparenti sul mercato e maggior coordinamento sul territorio. Nell’intervenire, Ciro Giordano, presidente del Consorzio di Tutela dei Vini del Vesuvio, segnalava positiva la presenza di due consorzi autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole al convegno e necessario tramandare alle generazioni future le tradizioni entro cui il pomodorino orbita; Gabriele Melluso di Assoutenti, parlava di sfida importantissima, del fatto che sia il più giovane presidente tra i consorzi di tutela e del bisogno di un più stringente dialogo tra produttori e consumatori, per consapevolizzare verso il prodotto, tenendo a sottolineare la sua disponibilità.
Decisamente interessante l’intervento tecnico della professoressa Paola Adamo, docente dell’Università Federico II di Napoli al Dipartimento di Agraria: ha spiegato al pubblico le evidenze di “tomato trace 4.0”. In forza al Consorzio del pomodorino Paola Adamo, in qualità di chimico agrario e referente scientifico, si è occupata principalmente di tessitura del terreno, fornendo la georeferenziazione di tutta l'area inclusa nella Denominazione di Origine Protetta e delle aziende più rappresentative, fornendo dati su quote altimetriche, versanti e natura dei suoli. La disanima ha potuto evidenziare quanto certi parametri abbiano un effetto maggiore rispetto al varietale, insomma il potere del terroir sulla cultivar, ed affrontare la differenza tra ciò che nel pomodorino del Piennolo è potenzialmente biodisponibile da ciò che è prontamente disponibile: una differenziazione fornita in base al modello multi-elementare, un modello capace di distinguere anche un pomodoro dop da un non dop al 100% o quasi. Per poter ovviare a ciò la professoressa Adamo ha fatto presente che lo studio comparato è stato condotto fornendo ai produttori la varietà Principe Borghese, unitamente alle piante di Acampora, Cozzolino e Zizza di Vacca, ergo gli ecotipi del pomodorino vesuviano. Un lavoro complesso che ha potuto fornire ai produttori informazioni diversificate per terreni dop e non dop, grazie alla raccolta dei suoli per caratterizzazione, periodo, ambiente, clima e persino sulle principali varietà e sugli ecotipi, appunto.
Pino Coletti ha intrattenuto il pubblico parlando delle opportunità della certificazione blockchain, a nome di “Authentico”, azienda di cui è ceo e che ha contribuito a fondare, intervento evidentemente anticipato e benedetto dalla necessità di “certificare sempre di più” ed avere “strumenti più trasparenti sul mercato” di cui sopra. Parlando delle evidenze riportate da vecchi studi noti col nome di eyetracking, ossia che un consumatore tende a scegliere un prodotto tra i 3 ed i 7 secondi, Coletti ha affrontato il tema della storicità del marchio, evidenziando la fiducia fosse riposta nello stesso marchio, oltre che l’ovvia conseguenza dello spaccio di prodotti dop falsi comporti i sequestri e quindi la sfiducia nei brand; inoltre si sono portati, a supporto della trasparenza di cui la certificazione blockchain è foriera, i seguenti temi: origine, sicurezza alimentare e poi gusto dei prodotti, elementi fondamentali che per gli italiani costituiscono sinonimi di qualità, unitamente al fatto cheIl numero di persone che legge etichetta sarebbe cresciuto, concentrandosi su data di scadenza e ingredienti, quindi ancora sulla trasparenza.
Certo il potenziale della certificazione blockchain è alto e i prodotti veicolati dallo stesso hanno un ottimo trend in fatto di penetrazione di mercato, ma sarebbe stato utile ribadire che si tratta pur sempre di una autocertificazione che il produttore di un bene, fuori da altri usi, può depositare in maniera incontrovertibile, certo, ma che non va a sostituire le certificazioni obbligatorie. Sussisterebbe poi uno strumento legale tale da tutelare i cittadini da una dichiarazione mendace, circa il contenuto, e che sanzioni rischierebbe il produttore che faccia uso distorto della blockchain?
Il discorso di Angelo Marciano, colonnello dei carabinieri ed alla guida del reparto dell’arma deputato del Parco Nazionale del Vesuvio, ha fornito alcuni dati e spunti interessanti: intanto che l’italiansounding ha un valore odierno a 100 miliardi, con un’insospettabile crescita in Russia che, implicitamente forse, vorrebbe dire che il falso Made in Italy ha un ottimo giro di affari, visto l’embargo. “Hanno senso nel disciplinare i 250 quintali per ettaro a fronte dei precedenti 150 che una produzione normale manco riusciva ad esprimere?”, ha chiesto al pubblico adducendo al fatto che siano troppi. Il militare ha proseguito dicendo che è importante evitare la perdita di suolo fertile, come accaduto dopo l’incendio sul Vesuvio del 2017, e che Il rispetto della legalità non uccide l'economia, la salva. Infine ha ribadito che l’arma nasce per essere dalla parte del cittadino, togliendo il sonno ai disonesti per vegliare sul sonno degli onesti.
A seguire Nicola Caputo, assessore regionale alle politiche agricole e forestali, compiaciuto per l’intervento del colonnello Marciano in quanto non troppo enfatizzante gli aspetti repressivi, in quanto il periodo richiederebbe il dover parlare di cose belle. Ragionamento, il suo, che sottolinea la necessità di lavorare alla “dop economy campana” e per gli investimenti, in virtù del numero esiguo di aziende agricole e della bassa produzione. Caputo ha in pratica richiesto una migliore messa a sistema, facendo team work, per tutti i 18 comuni inclusi nel disciplinare, includendo possibilmente altri distretti agronomici, come quello della mela annurca e del pomodoro San Marzano, per un vicendevole sostegno.
D’altronde c’è bisogno di fare gioco di squadra con gli addetti alla ristorazione e trovare sinergie con gli operatori del turismo e dell’accoglienza, per un marketing ed una comunicazione più funzionali.
Al termine dei lavori l’intervento di Davide Parisi, amministratore delegato di Evja, azienda performante nellatecnologia e nell’intelligenza artificiale dedicate all'agricoltura, riaccende un forte interesse da parte del pubblico. La sua realtà imprenditoriale ha saputo raccogliere oltre 150 milioni di dati microclimatici in tutto il mondo, grazie a dispositivi che raccolgono informazioni in tempo reale, fornenti anche elementi di geo-localizzazione. Nel suo discorso ha sostenuto chel‘esperienza sul campo non potrà mai essere sostituita dall'IA, bensì supportata da essa per la misurazione dei parametri principali e la memoria dei raccolti, in correlazione tra sonde,stazioni meteorologiche e satelliti. Asservire una piattaforma di questo tipo all’agricoltura, dice il Parisi, ha già espresso enormi vantaggi nella gestione dell'irrigazione e per la difesa attiva delle colture, grazie anche a modelli agronomico-funzionali in grado di prevenire l’insorgere di malattie vegetali e l’attacco dei parassiti.
Presente in sala anche Pasquale Imperato, uno degli animi vesuviani che più fortemente ha voluto tutelare il pomodorino del Piennolo e che ha preteso venisse ancorato alla terra e quindi metterlo nelle mani degli agricoltori, per una maggiore tutela del bene orticolo, diversamente dal pomodoro San Marzano che vede invece la tutela del solo prodotto trasformato. Imperato, oggi fuori dal Consorzio per una scelta di coerenza, continua a produrre con immancabile passione il buonissimo pomodorino e si dice fiducioso circa le modifiche sui criteri per i disciplinari apportati dal Parlamento Europeo.
Ma traiamo qualche conclusione…
Sulla carta stampata, per promuovere la terza edizione del Forum sul Piennolo si leggeva “si tratta di tematiche che non saranno trattate solo ed esclusivamente come argomenti di soppressione di comportamenti errati, ma verranno letti in un’ottica propositiva, offrendo una veduta su strategia di marketing e comunicazione che possano far trasmettere i propri virtuosismi a quelle aziende rispettose delle regole”. Insomma, a leggere la notizia sull’evento e queste ultime parole, per quanto si evinca un tono alquanto buonista, pare che l’aspettativa dovesse essere quella della trattazione in fatto di frodi e contraffazioni, per poi rivedere le soluzioni al problema e le proposte a vantaggio dei produttori virtuosi.
Per quel che ci riguarda, il tutto ci è parso molto istituzionale ed autocelebrativo sin dal principio, con un corale “frodi come opportunità e non un problema” che sapeva tanto di acqua alle rose.
Eppure basterebbe digitare l’#piennolo, per rilevare il disorientamento e la confusione generata su social media come instagram: pomodorini gialli e di ogni colore, non certo del Vesuvio, bensì dai Monti Lattari, Costiera Amalfitana, Penisola Sorrentina, se tutto va bene, per poi strabiliarsi a causa dell’esistenza di produzioni tedesche, scandinave e statunitensi, roba di varia natura con improbabili dizioni in etichetta, di importazione o meno. Insomma, se gli organi di controllo non avessero idea di dove andare a pescare i prodotti taroccati, dovrebbero fare semplicemente amicizia con il web per scoprire il giro di affari sul Piennolo sounding.
Per quanto gran parte degli interventi siano stati quantomeno generalisti, va riconosciuta l’importanza di altri di natura tecnica, incluse alcune considerazioni che si sono distaccate da un dibattito decisamente fuori dal tema che si è voluto dare alla manifestazione: è grazie al pomodorino del Piennolo se il Vesuvio non è “caduto” addosso al territorio di cui è progenitore e custode, costituendo il motivo per cui l’agricoltura è tornata alle pendici del vulcano, favorendo migliorie a partire dal semplice ripristino dei muretti a secco, ai campi coltivati con tante altre varietà orticole ed ai vigneti, grazie a cui si contrasta quotidianamente il dissesto idrogeologico e la disgregazione delle comunità rurali. Certamente si è anche osservato che, per poter avviare un’attività ed ottenere dei permessi, chiedere il parere ad enti di varia natura in quanto ai vincoli possa essere, talvolta, una lungaggine farraginosa, punitiva, superflua e limitante, così come è troppo frequente che i moduli di denuncia anonima delle frodi, eccellente strumento per contrastare gli illeciti e superare il muro dell’omertà, restino inutilizzati. Fatto sta che si è sentita la nostalgia di una disanima concisa sul nocciolo della questione, a causa di un costante ruotarvi attorno con discorsi certo importanti, ma sin troppo periferici.
Purtroppo va considerato che nel corso degli anni la forza lavoro deputata ai controlli è stata più che dimezzata, per non parlare della soppressione del Corpo Forestale dello Stato, entrambi sintomo di una evidente impossibilità a ricoprire qualsiasi territorio per qualsivoglia verifica finalizzata a scoraggiare i brogli.
Il disciplinare del pomodorino del Piennolo, a meno di modifiche, parla chiaro: la forma di allevamento prevede esso venga coltivato esclusivamente in pieno campo e che le piante, allevate in verticale, abbiano uno sviluppo in altezza fino ad un metro, sostenute con legature di fili tesi fra paletti di sostegno o da cannucce infisse al suolo, in gruppi di tre, a mo’ di capannina, in maniera che le bacche non tocchino il terreno ed i frutti, ricevendo i raggi del sole in maniera uniforme, acquistino la tipicissima colorazione rosso ardente che li contraddistingue; allo stato fresco, ad entro quattro giorni dalla raccolta, si dovrebbe constatare una tenace attaccatura del frutto al peduncolo, il residuo ottico dovrebbe afferire a un minimo di 6,5° Brix, la pezzatura dovrebbe avere un peso non superiore a 30 g, in quanto a forma, ci dovrebbe essere un rapporto fra i diametri maggiore e minore compreso fra 1,2 e 1,3, il colore esterno, a maturazione avvenuta, dovrebbe essere vermiglio, mentre quello della polpa rosso e da un’elevata consistenza, infine, in quanto a sapore, esso dovrebbe essere vivace, intenso e dolce-acidulo, piuttosto che dalla spiccata tendenza dolce tanto ricercata dal mercato.
Ma, stando alle considerazioni di cui sopra circa il grave ammanco di personale, chi li fa tutti questi controlli? Tra il 15 marzo e il 15 maggio, con la messa a dimora di piantine radicate in semenzai allestiti sul suolo oppure in contenitori alveolati, ci sarà la migliore occasione di fare le verifiche a monte del raccolto di quest’anno. O No? Oltretutto non sarebbe il caso di chiedersi se sia opportuno istituire dei panel test di modo che assaggiatori competenti canonizzino le proprietà organolettiche dell’oro rosso vesuviano? E, perché no, immaginare se si possano qualificare controlli in base ai rapporti isotopici che si generano peculiarmente ogni anno nella relazione tra il suolo ed il prodotto stesso.
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