Simone Cantafio: "la mia cucina non ha bandiere ma il mondo vegetale è protagonista da sempre."
Da Marchesi a Bras, dalla Francia al Giappone: Simone Cantafio tra le stelle michelin.
Troppo presi dall'ostentazione di forza e coraggio, a volte ci si dimentica di prendersi il giusto tempo e dare le giuste attenzioni al mondo che ci circonda e di cui facciamo parte e, quindi, di cui noi stessi siamo artefici.
Simone Cantafio, cuoco poco più che trentenne, formatosi tra le stelle più luminose del firmamento della cucina italiana e francese, da 5 anni è chef e direttore del ristorante di Toya, Hokkaido di Michel e Sebastian Bras.
Simone ormai vede nei Bras una famiglia ed è stata proprio questa stretta collaborazione e lo sposare totalmente i principi della loro cucina, a portarlo ad essere ancora più presente con loro in un nuovo progetto che porterà il suo nome affiancato a quello dei suoi mentori. Dove? In Giappone: il posto in cui Chef Cantafio ha trovato equilibrio e modo di esprimersi, il posto in cui Simone si è fatto una famiglia non solo professionalmente.
Il progetto del nuovo ristorante avrebbe dovuto vedere la luce questo Luglio ma è stato rimandato per potersi prendere il tempo e dare le giuste attenzioni ad ogni necessità, anche in seguito all'effetto coronavirus.
Simone Cantafio nella illustrazione di The Animismus .
Chi è Simone Cantafio?
Simone Cantafio è un Cuoco e dietro questa parola -alla quale sono molto legato- si racchiudono mille storie, mille viaggi, mille incontri, momenti di gioia immensa e altri di sofferenza assoluta ma mai il rimpianto di aver scelto questa strada. Anche se a volte ho avuto l'impressione di avere di fronte dei veri muri invalicabili, ho sempre cercato di non trovare scuse ma soluzioni, stringere i denti e capire quale fosse il percorso più coerente per la mia vita.
Da Milano ad Hokkaido, da Marchesi a Bras. Ti va di raccontarci?
Tutto nasce dopo i 5 anni di Scuola Alberghiera, all'Istituto Carlo Porta di Milano. Al quarto anno il mio primo stage in una cucina stellata, quella di Carlo Cracco (all’epoca Cracco Peck): un’atmosfera unica, un’energia pazzesca, un gruppo di cuochi appassionati e pronti a seguire le direttive di Carlo Cracco, del quale ho sempre ammirato il carisma e l'eleganza nel fare cucina.
Dopo il diploma, a 18 anni, fu la volta dell'Albereta in Erbusco del ristorante del Grande Maestro di vita e di cucina Gualtiero Marchesi. Ricordo che prima di indossare la divisa di cuoco dovetti affrontare ben 6 mesi da aiuto cameriere; dovevo conquistarmi quel grembiule con il sacrificio. Non fu semplice, fu il primo grande ostacolo da superare per entrare in un mondo che sempre di più mi attraeva, mi catturava. All'epoca, un giorno accadde che passando l'aspirapolvere nella sala distrussi in mille pezzi la statuetta che la guida Michelin aveva dato al Sig. Marchesi pochi giorni prima in una grande cerimonia, lui venne da me e con fare paterno mi disse: "Speriamo che cucini meglio di come passi l’aspirapolvere, perché altrimenti avrai vita corta in cucina..." e poi ridendo si allontanò. Racconto quest'aneddoto, perché' un anno dopo circa lui rinunciò alle stelle Michelin, era l'anno 2007 (se non erro) e io entravo in cucina con la mia divisa da cuoco. Ad oggi più di 13 anni sono passati ma mi piace ricordare sempre quell’evento quasi fosse un segno del destino!!!
Rimasi al fianco del Sig. Marchesi per circa 3 anni, girando tutte le sezioni della sua cucina, cercando di capire la sua Arte, integrare i suoi insegnamenti. Con lui avevo un rapporto umano favoloso, tanto che a ogni mio rientro in patria dall'estero poi, passavo da lui a Milano per incontrarlo e per raccontargli dei miei viaggi dalla Francia al Giappone, paesi ai quali lui era molto legato.
Dopo l'esperienza col Maestro, insieme a lui decidemmo che era tempo di andare oltralpe nei grandi ristoranti stellati francesi per imparare rigore, organizzazione e le basi di una cucina codificata, quella Francese. Così mi lanciai all'avventura nella Maison Georges Blanc, storico ristorante tre stelle nella Bresse e lì appresi le basi della cucina classica Francese. E ci tengo a sottolinearlo, perché' una casa solida e resistente si costruisce con basi solide: imparare il classico era una tappa fondamentale e la consiglio tutt'oggi a chi abbia voglia di crescere in questo settore. Anche se non posso nascondere che sia dura a volte e che le lacrime hanno preso spesso il posto dei sorrisi, non posso nascondere nemmeno che servono anche quelle in un percorso di crescita.
Dopo due anni a Donnas da Georges Blanc, ho realizzato il mio sogno arrivare alla Maison Bras di Michel & Sebastien a Laguiole: lì si apriva un nuovo mondo, una visione dell'alta gastronomia totalmente diversa da quella che avevo vissuta fino ad allora e fu proprio questo a farmi legare a questa FAMIGLIA. In quel posto si respirava un qualcosa di magico, mi servirebbe un libro per parlare dei 4 anni passati in terra di Aubrac in una Maison che era rivoluzionaria sotto mille aspetti. Stavo vivendo il mio sogno: diventare Cuoco, imparare a fare un tipo di cucina che si avvicinava a quella fatta di cuore e di ingredienti, la cucina della Mamma o della Nonna ma con un’eleganza e una leggerezza dettata dalla Natura che ci circondava. Mi stavo immergendo nell'universo Bras, un mondo che ancora oggi seppur dopo 10 anni di collaborazione ci lega. E infatti a novembre 2015 la famiglia Bras mi ha dato la possibilità di diventare il Chef e Direttore del loro ristorante di Toya, nell'isola di Hokkaido, dove ho prestato servizio fino a dicembre 2019.
Questo è Simone, un uomo molto sensibile che ha avuto l'onore e il piacere di apprendere l'arte della cucina da grandi maestri, vivere momenti di gastronomia intensi, attimi storici, incontri unici, aneddoti che hanno segnato il mio percorso. E oggi tutto questo mix dà vita alla mia cucina, una cucina che rispecchia la mia persona e quindi fatta di semplicità, sensibilità e voglia di regalare attimi di piacere agli altri ma senza rinunciare alla personalità ed alle mie radici Italiane, alle quali sono molto legato.
Come hai trascorso questo periodo di pausa forzata? Qual è la situazione in Giappone e cosa pensi cambierà nel rapporto tra ristorante e cliente?
A metà dicembre ho lasciato l'isola di Hokkaido, dopo 4 anni di direzione e tante belle soddisfazioni con il team di lavoro ed ho iniziato a concentrarmi su un nuovo progetto che avrebbe dovuto prendere vita il mese prossimo (Luglio 2020) sempre con la famiglia Bras, in Giappone, in un luogo magico che è la città di Karuizawa a Nagano. Tra i due progetti avevo chiesto di poter prendere una pausa, tornare per qualche mese nella mia terra, l'Italia, che porto sempre nel cuore. Purtroppo questo grave momento che ha colpito il mondo intero a causa del coronavirus, ha rivoluzionato un po' tutti i piani, le programmazioni. Così il nostro gruppo ha deciso di rimandare al prossimo anno l'apertura di questa nuova Maison, per poter affrontare l'apertura in un clima diverso.
In accordo con il mio gruppo ho deciso di fermarmi in Italia e lavorare al progetto a distanza, approfittando di questo periodo per studiare e vivere le mie radici. Dato che prima che scoppiasse tutto questo mi trovavo nella mia casa in Calabria insieme alla mia famiglia, abbiamo deciso di fermarci qua, erano anni che non avevo la possibilità di vivere questa terra nella sua bellezza più profonda, vederne il cambio delle stagioni, apprezzarne le storie, gli ingredienti.
Tutto ciò sta arricchendo la mia mente, tanto che anche a casa la voglia di cucinare non è mai mancata e chi mi segue sui social può vedere che mi dedico alla scoperta della Calabria giorno dopo giorno: dall’orto al mercato del pesce e quello della verdura, le cantine, gli oleifici. Tutto questo, insomma, mi dà la carica e l’energia per alimentare la mente di cuoco.
Attualmente non essendo in Giappone non saprei dire con esattezza la situazione, sicuramente il rinvio dei Giochi olimpici ha creato scompiglio ad un paese che aveva investito tanto e aveva messo un’energia incredibile per poter accogliere gli sportivi e i turisti di tutto il mondo. Sicuramente ha dato un colpo negativo al paese, ma conoscendoli sono un popolo forte e che reagisce davanti alle difficoltà con carattere e organizzazione ferrea, che è poi un lato che mi piace molto “niente scuse ma soluzioni”. Ad ogni modo il futuro è davvero molto incerto per tutti, quindi fare previsioni ora sarebbe inopportuno e penso anche insensibile nei confronti di chi cerca di risolvere questo grosso problema del Coronavirus con tutte le forze.
Italiano di nascita, milanese con origini calabresi, francese di evoluzione professionale e nipponico di adozione. Come fai a conciliare questi tre mondi nella vita è in cucina? C’è una filosofia, fatta tua, che li lega?
Diciamo che la linea guida che ha sempre alimentato il mio percorso è stato la voglia di scoprire, ascoltare, imparare e vivere sulla mia pelle le emozioni; pieno di questi sentimenti ho lasciato temporaneamente la mia terra e le mie origini. Attenzione: lasciarle non vuol dire tradirle o rinnegarle, anzi tutto il contrario. In ogni mio percorso, in ogni mio incontro tengo a proteggere ed a preservare il mio essere italiano. Sono convinto che ci sia bisogno di raccontare nel mondo la bellezza della nostra Italia. Basti pensare all’arte, alla storia, alla letteratura, alla natura: il nostro paese è uno scrigno pieno di ricchezza! E così io, nel mio piccolo, cerco di raccontarla attraverso una lingua che tanto amo, quella della cucina. Sono sempre stato convinto che la cucina non ha bisogno di bandiere, ma solo di cuore e passione; l'abilità del cuoco sta nel comprendere la materia ed estrarne il meglio, poi viaggiando e studiando si aggiungono quelle sfumature che rendono tutto più magico e che rendono i cuochi e le loro cucine dei veri percorsi da scoprire. Come dei libri da leggere o film da vedere o un brano di musica da ascoltare, un cuoco racconta e anima la sua versione di cucina. Dunque io non mi focalizzo tanto sul dove, ma sul come e che cosa voglio valorizzare; con ogni materia io ne vedo il mio rapporto e cerco di darne la mia visione facendole dare il meglio. Per fare ciò, mi lascio ispirare da tanti piccoli dettagli, come la storia di chi mi fornisce gli ingredienti, l'esperienza che ho vissuto durante l'incontro con la materia e posso dire che il paese in cui mi esprimo diventa la cornice per la mia espressione. Ovviamente da cuoco ho imparato che ci sono dei codici fondamentali da rispettare, ad esempio in Giappone un pesce avrà una cottura più rosea e delicata, mentre in Inghilterra potrò avanzare leggermente di più sul calore delle cotture; lo stesso vale per i condimenti che in Francia spingono sulle loro famosissime salse e sui loro burri ricchi di carattere, mentre l'Oriente arricchisce e trova equilibrio attraverso dei liquidi come consommé, zuppe o ingredienti naturali più leggeri. Il viaggio di un cuoco serve a questo a saper cogliere, elaborare e poi offrire la propria visione nel contesto giusto.
Ti sei formato ed hai lavorato con Gualtiero Marchesi (e potrei già fermarmi) ma hai continuato con Cracco, Blanc e poi l’incontro con la Famiglia Bras. Il tuo cammino cosparso di stelle è frutto della tua tenacia del tuo coraggio e perché cucini con il cuore”, per citare Michel Bras. Cosa è oggi la cucina per te?
Ho cercato di dare un senso logico al mio percorso, prima i grandi Maestri Italiani, poi la Francia dapprima Georges Blanc, per la parte classica e poi la Maison Bras, per apprendere uno spirito più naturale e libero, vicino a quella cucina che ho sempre sognato, una cucina che fosse l’identità di un territorio, e che attraverso gli ingredienti e il savoir faire di un cuoco potesse raccontare il lavoro la storia dei luoghi di una determinata parte di terra. I maestri, che ho citato e che hanno contribuito alla mia formazione, mi hanno sempre insegnato tutti ad apprendere ma a non copiare, a saper elaborare con la mia identità e la mia personalità la cucina; è questo che rende il percorso di un cuoco lungo ed è frutto di tanti sacrifici: credo di aver passato 15 anni ad ascoltare e dire "Sì, chef" prima di poter dire la mia, ma non per una questione di sottomissione, piuttosto perché prima si impara, poi si elabora e, forse solo alla fine, si potrà iniziare a parlare di una cucina personale.
Oggi in pratica per me la cucina è un modo di espressione, il mio modo di interpretare le mie emozioni, applicando gli insegnamenti rigorosi e dettagliati dei miei Maestri e pur sempre restando libero di esprimere la mia visione di una cucina semplice, di gusto, leggibile per tutti e simbolo di un territorio che potrebbe essere il Giappone, la Calabria, la Lombardia o la Francia ma che sia un territorio che mi parli e che io possa tradurlo attraverso le mie ricette.
Quando partii per il Giappone, il Sig. Marchesi mi regalò un libro e mi scrisse una dedica, erano due parole che rappresentano una visione del mondo giapponese:
WABI= "Aver conosciuto l'eccellenza, digerita, abbandonata perché non ritenuta più necessaria."
SABI="Ti lasci andare."
Ecco queste due parole potrebbero riassumere la mia cucina oggi; aver ascoltato per anni in silenzio i grandi Maestri, aver studiato le grandi basi internazionali, per poi sentirmi libero di esprimere una cucina che pone un rapporto intimo tra me e la materia e nient’altro.
Probabilmente soprattutto dopo la Maison Bras ma in particolare modo in questi anni di Chef/direttore al Bras di Hokkaido è evidente che il centro della tua cucina sia la natura. Che ruolo avrà nel prossimo futuro la cucina vegetale?
L'Incontro con Michel & Sebastien Bras ha rivoluzionato il mio approccio al vegetale, fino ad allora non nascondo che questi avevano per me una parte secondaria, il cosiddetto contorno o guarnizione; da loro questo approccio è stato totalmente stravolto. Nelle tante mattine in cui andavo al mercato ortofrutticolo di Rode, insieme a Michel Bras alle prime ore dell'alba, lui mi diceva sempre che la sua filosofia di cucina si autoimponeva di avere un passaggio vegetale come primo elemento e su questo costruire il resto. Con loro ho imparato a vedere il mondo vegetale come protagonista, ad approcciarmi a questo mondo che è all'apparenza così semplice ma ha una profondità enorme, perché la carota che lavoro oggi non sarà la stessa di domani e un cuoco sensibile queste cose le sente e deve saper adattare il piatto a seconda della vitalità del vegetale.
Il mondo vegetale più che la parte animale, può rappresentare un ingrediente vivo. Un esempio banale: in questo preciso momento nell'orto ci sono le prime zucchine in fiore, all'alba avrete questi gioielli aperti e con una vitalità unica che potranno regalarvi grandi emozioni; basta andare nel pomeriggio e questa magia scompare, il fiore si chiude e bisogna attendere una nuova alba per goderne ancora. E cosi molti vegetali che ad esempio come il cavolo cappuccio o i carciofi sviluppano la madre e poi quelli che io chiamo i figlioletti, sono una vera famiglia viva con caratteristiche e utilizzi diversi; per non parlare dei fiori o delle erbe edibili e aromatici, anche quelli hanno una loro sensibilità e una vivacità e solo se colte fresche, alle prime ore del mattino, saranno l'espressione di una cucina vegetale viva di alto livello.
Sono convinto che il rapporto tra cuoco e contadino sia fondamentale, parliamo di due mondi diversi ma che viaggiano in parallelo e che si intrecciano per poter esaltare al meglio il lavoro di uno e dell’altro.
Il nostro nuovo concetto a Karuizawa prevede una cucina che abbia il vegetale come protagonista e l'animale come supporto.
Oggi questo tipo di cucina si valorizza sempre di più nel mondo intero ma Michel Bras mi racconta sempre che il suo primo " MENU LEGUMI " lo propose più di 30 anni fa; una vera rivoluzione per quel tempo! Basti pensare al mitico Gargouillou che dopo circa 30 anni è ancora un piatto estremamente moderno, che ha inspirato centinaia di chef.
Michel Bras nella illustrazione di The Animismus per The Best Chef.
Sebastian Bras nella illustrazione di The Animismus per The Best Chef.
In estate partirà un nuovo progetto sempre legato a Michel Bras, ma stavolta il tuo nome affiancherà il suo. È una collaborazione che ormai è in atto da più di 10 anni. Cosa vi ha portato in un certo senso a condividere tanto? A scegliervi?
Il progetto, purtroppo, dopo gli ultimi avvenimenti che hanno messo in ginocchio il mondo intero, è stato posticipato dal nostro gruppo di un anno; vogliamo riaprire con uno spirito positivo e gioioso, sperando che tra un anno questa pagina nera della nostra storia possa essere voltata in positivo. Personalmente sono più di 10 anni che collaboro con la Famiglia Bras, con loro c'è grande rispetto e sin dall'inizio hanno puntato tanto su di me e sulle mie capacità di cuoco. Per questo motivo ho sempre cercato di dare il massimo per loro, credo che la chiave di lettura sia in uno spirito umano che ci accomuna, fatto di semplicità e duro lavoro, costanza e rimettersi in gioco ogni giorno, ci piace sempre iniziare un nuovo giorno pensando che sia il primo e pertanto dare il massimo in ogni cosa che facciamo, ultimo tra questi il nuovo progetto di Karuizawa che ci vede impegnati da oltre tre anni.
Nei tuoi progetti c’è quello di tornare in Italia? Quanto il Giappone è parte della tua vita ad oggi?
L’Italia mi manca e in questo periodo in cui sto passando diversi mesi in Calabria, ho ritrovato quelle emozioni quei rapporti umani e quelle sensazioni che solo il paese in cui sei nato possono regalarti.
Sarei ipocrita a nascondere che un sogno che ho nel cassetto sarebbe quello di rientrare in Italia, ma allo stesso tempo nel corso della mia carriera, ho imparato ad essere realista e che i sogni con l'incoscienza non hanno lunga vita. Mi piacerebbe quindi eventualmente rientrare in Italia un giorno e rappresenterebbe per me la chiusura di un cerchio professionale importante; ma vorrei farlo con la serietà e con un progetto che possano valorizzare questi anni di sacrifici e di viaggi nel mondo. Se un giorno si dovesse presentare un bel progetto che possa mettere in valore il mio percorso, le mie idee di cuoco, beh questa rimane casa mia perciò mai dire mai.
Tutt' oggi ho una moglie meravigliosa giapponese e dal nostro amore è nata una bambina che è la nostra gioia più grande, questo è il primo lato che mi lega al Giappone. In questo momento siamo tutta la famiglia in Italia e mi fa molto piacere vedere che loro apprezzano e vivono con entusiasmo il mio caro paese.
Questo rispetto reciproco non sarà mai un ostacolo al contrario lo viviamo come un’opportunità; condividere due culture differenti tra le più belle al mondo, anche perché se un giorno è spaghetto al pomodoro fresco e basilico e l'altro è un Yakitori cotto alla perfezione… credetemi niente di più magico e goloso!!!
Supponiamo che tu possa descrivere uno chef in tre aggettivi che siano tratto caratteristico dei tre paesi di cui abbiamo parlato, ovvero Italia, Francia e Gippone. Quali sarebbero?
Dunque direi che per un cuoco Italiano: passionale, romantico, genuino; per un cuoco Francese: patriottico, rispettoso, ammaliante; per un cuoco Giapponese: elegante, sensibile, rigoroso.
C’è un piatto, un ingrediente, un odore, una sensazione a cui non rinunceresti mai?
Si, e questo rappresenta in pieno le mie radici familiari calabresi, sto parlando delle acidità,
Amo gli agrumi in una maniera smisurata, sono cresciuto in terre dove si coltivano arance e limoni e nel tempo ho scoperto le tante varietà, le tante sfumature, e queste acidità, e i profumi delle loro scorze mi anno sempre accompagnato.
Crescendo come cuoco, ho imparato ad apprezzare agrumi come il bergamotto e il cedro e quando è la loro stagione, Ornella e Carlo (miei parenti) che hanno un giardino naturale favoloso vicino a casa mia, conoscono questa mia passione e puntualmente mi omaggiano del loro raccolto più variegato.
Vi invio una foto dell'ultimo raccolto di quest’anno, per farvi capire il mio amore per questi ingredienti. L’acidità come dico spesso è l'accento su una ricetta che può essere una verdura, un pesce o una carne o anche una dolce o una confettura per accompagnare in freschezza dei formaggi; l’acidità permette di pulire e ripartire, di dare quell'emozione al palato e di stimolarlo in permanenza.
Quale è il tuo piatto preferito oggi? E per chi lo cucineresti potendo scegliere chiunque e perché?
Oggi e come quando ero bambino e penso lo sarà per tutta la mia vita, il mio piatto preferito rimane la Parmigiana di melanzane, un piatto che rappresenta la storia della mia famiglia, le mie origini, la tradizione e la convivialità della tavola, il profumo del sugo, quello delle melanzane che friggono, raccogliere le foglie di basilico fresco e profumato e poi questa teglia che si pone al centro della tavola, il vero senso della cucina per me.
Se potessi scegliere chiudendo gli occhi direi senza esitare un istante mia Mamma Patrizia, le cucinerei una bella parmigiana di melanzane come la faceva lei e sua mamma la mia amata Nonna Tommasina; loro sono state la scintilla che hanno fatto partire la mia voglia di diventare cuoco, purtroppo le ho perse entrambe quando avevo 25 anni.
Perciò sempre con gli occhi chiusi, le preparerei senza dubbio per loro, anche solo per poter passare del tempo assieme e, riprendendo la sua prima domanda (chi è Simone Cantafio) racconterei cosa ha costruito oggi Simone, questo il mio rimpianto più grande non aver potuto condividere con le mie donne di casa Mamma & le Nonne le mie soddisfazioni di cuoco che sono diventato oggi, anche grazie ai loro sacrifici e a loro è dedicato il piatto e tutta la mia carriera.
Simone Cantafio nella illustrazione di The Animismus per The Best Chef.
Simone Cantafio è un cuoco, come precisa lui molte volte, ma Simone è soprattutto un uomo gentile, di emozioni forti nascoste in un ingrediente, di equilibrio che però gli piace spostare, di scelte che lo rendono vivo nonostante le distanze e i sacrifici, di ricordi che rivivono in ogni suo assaggio. E' questo che ha reso magico ascoltarlo: in ogni aneddoto, in ogni racconto, in ogni costruzione di piatto e in ogni messa a punto di sapore, quello a cui non riesce a rinunciare è il cuore. Il suo.