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Sushi Sho Masa : Quando il cibo si eleva a rango d'arte.

Recensione Sushi Sho Masa Tokyo con Oka Masakatsu

Sushi Sho Masa : Quando il cibo si eleva a rango d'arte.
Sushi Sho Masa
Giappone, 〒106-0031 Tokyo, Minato City, 港区Nishiazabu, 4 Chome−1−15 セブン西麻布V
Aperto a cena, lunedì chiuso. +81 3-3499-9178 Prenotazioni: ikyu.com
Sui 220 euro

Da un po' ho sviluppato una grande per la cucina giapponese e non potevo perdermi una visita lì dove tutto questo ha avuto origine. Consigliato da amici e chef, che hanno visitato le terre del Sol Levante, ho avuto a disposizione la miglior lista possibile per godere di esperienze indimenticabili. Dovevo saperne di più e provare ad accrescere la mia conoscenza di una cultura gastronomica millenaria e, in fondo, a me sconosciuta: avendone mangiato sempre un surrogato a 10000 chilometri di distanza.

Ed è proprio cosi che affidandomi alla guida dello chef Giuseppe Iannotti, che spesso e volentieri se ne va a zonzo mangiando qualsiasi cosa per mezzo mondo, ho prenotato da Sushi Sho Masa per sedermi al banco di Oka Masakatsu.

Sushi Sho Masa

Cammino lungo la scala stretta fino al piano seminterrato di un edificio anonimo di Roppongi, una via senza nome collocata sotto il cavalcavia della metropolitana. Il mio sogno per questo viaggio, spinto anche dai vari documentari visti in tv, era sedermi al kaiden di Jiro, ma -come spesso accade- questi luoghi inflazionati diventano impossibili da visitare e quindi ho “ripiegato” su Sushi Sho Masa.

Come non fidarsi della curiosità di Giuseppe che senza “se” e senza “ma” ha esclamato: “Lì mangerai il miglior sushi della tua vita“.

In perfetto orario veniamo fatti accomodare: il locale può ospitare fino ad un massimo di sette commensali. E’ molto ordinato e la sua aria underground, le luci soffuse, il calore degli arredi in legno e l'atmosfera briosa conferita dalle aspettative degli ospiti, gli conferiscono una rilassante intimità che fa subito sentire a proprio agio.

Devo confessare di essermi venduto a Oka ancor prima di accomodarmi nel suo locale. Giuseppe è un uomo di poche parole. Uno pronto ad assaggiare qualsiasi cosa ed è un ricercatore continuo della qualità. Da quella famosa frase detta non mi aspettavo nient’altro che il massimo.

Start

Scelgo per questa esperienza di bere solo thè verde: voglio avere le papille gustative pulite ad ogni boccone e non lasciarmi trasportare dai fumi dell’alcol. Il bicchiere mi viene cambiato ogni 15 minuti, rimanendo quindi costantemente caldo e profumato. Lo stesso vale per il wasabi (quello vero) grattugiato al momento a sostituzione del precedente.

Una manciata di alghe fresche, mai viste e mangiate prima: irresistibili. Lo scoppio di sale marino e le perline agrumate di ponzu di gran delicatezza e pulizia nel gusto mi rapiscono completamente. Per quasi tutto il percorso continuavo a servirmi dal mio piatto: ho provato anche di desistere ma non riesciuvo a contenermi.

Ogni “pezzo” di sushi, poi, viene raccontato attraverso l’utilizzo di un libro: Sebastian (l’aiuto chef) ci istruiva su che tipo di specie stavamo per mangiare, quale parte precisa del corpo fosse e se fosse opportuno gustarlo con salse o meno.

Un’attenzione al dettaglio maniacale, un’istruzione continua e tempistiche perfette per ogni particolare.

Nelle successive tre ore (sì, proprio tre ore) consumiamo quasi quaranta pezzi di sushi. Anche se personalmente credo di averne mangiato qualcuno in più. Non esiste un menù, né si è a conoscenza del numero di portate. L’omakase di Masakatsu è regolato dalle emozioni: si cerca l’empatia, il punto di connessione tale da far nascere la magia.

Non so dirvi in quale preciso istante abbia smesso di prendere appunti, sono stato completamente raggiunto e rapito dall’irresistibile alchimia cavalcante ed ho iniziato a gustarmi il viaggio, così sospeso senza alcun grillo per la testa: pezzo dopo pezzo, sushi per sushi, le mie parole, i miei scatti non potranno mai rendere giustizia alle emozioni provate.

A metà percorso chef Oka prende un grande vassoio pieno di favolosi e cremosissimi ricci di Hokkaido: se ne poteva sentire la consistenza ancor prima di assaggiarli. A bocca aperta, seduto come una foca intento a battere le mani. Oka sorride, mi preparo ad essere imboccato. Il sapore è fresco, di oceano, appena salino e perfettamente in equilibrio con il riso all’aceto.

La sacca di sperma è il prossimo passaggio. Essendo accompagnato e conoscendo la sensibilità femminile al suo annuncio evito di tradurre la portata a mia moglie. Ci limitiamo ad assaggiare. Boom! La consistenza è vellutata – cremosa – si scioglie in bocca – non può avere paragoni.

Inizio a farmi lasciare trasportare dalla gioia, comunico continuamente con Oka che non parla inglese ma comunica con gli occhi, Sebastian che fa da interprete e tutti i 10 presenti in sala (tre chef più noi: i sette commensali) ci spiega quello che non potremmo capire con uno sguardo, finiamo per diventare un allegra famiglia in un giorno di festa.

Continuiamo con l’anago (anguilla): qualcuno al banco inizia a mollare e quello che gli altri cedono finisce nel mio piatto. Lo chef abile lettore del corso, senza mai distrarsi dal suo banco di lavoro, riduce le porzioni, regolando riso e topping, perché vuole che tutti arrivino alla fine. Io, dal canto mio, non mollo, sono completamente in estasi!

Ho iniziato a temere che tutto potesse terminare troppo in fretta. Eppure mi lascio trasportare da una felicità mista a tristezza quando lo chef inizia a tagliare il chutoro. Lo affetta in maniera sottile, come un prosciutto, impilandone tre pezzi l’uno sopra all’altro, intervallati da un pizzico di wasabi. Il gusto è incredibile, le proporzioni perfette, il riso ha il calore del cuore dello chef. Il nigiri si scioglie burroso in bocca.

Oka gradisce il mio appetito e non ha perso occasione per rinpizzarmi con doppie e spesso triple porzioni. Esclamo: “I want to die here, tonight, at this desk, never stop!”.

Sorride, una luce continua nei suoi occhi , vive della nostra gioia. L’estasi del kaiden, la felicità di una madre che fa del suo meglio servendo ai propri figli, con le proprie mani  tutto l’amore  che può.

Il tomago (una frittatina dolce ) è stato l’ultimo boccone di questa notte stupenda.

Credo che avrei dovuto ammazzare lo chef quella sera, ha rovinato la mia esistenza per due motivi: non sono morto a quel banco e sopravvivendo il sushi, da quel giorno, non sarà mai più lo stesso…

Non so se questo mio racconto, abbia reso l’idea, se vi rendiate conto di quanto straordinaria sia stata questa esperienza: il miglior sushi mai mangiato e molto probabilmente la mia miglior cena di sempre.

Se vi trovate a Tokyo non perdetevi per nessuna ragione al mondo questo posto.

Questo amici miei, non sarà mai solo cibo!

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