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Ristorazione fuori città: quale soluzione per la cucina regionale dei piccoli comuni tagliati fuori dal delivery e senza turismo?

Piccoli comuni e provincia, eccellenze in ristorazione e turismo enogastronomico sono in pericolo

Ristorazione fuori città: quale soluzione per la cucina regionale dei piccoli comuni tagliati fuori dal delivery e senza turismo?

In Italia oltre il 90% dei comuni hanno meno di 10mila abitanti. Asporto e delivery riescono a sopperire all’impossibilità di servire ai tavoli, alla mancanza dei clienti fiducia nelle grandi città.

E ai piccoli chi ci pensa?

Sono loro che rendono l’Italia grande nel mondo, sono loro a rendere la nostra ristorazione ricca di diversità e punto focale dell’eccellenza enogastronomica. Queste realtà, questi territori sono la profonda motivazione che porta il grande turismo internazionale del food a virare verso di noi: piccoli comuni che con diversificazione dell'offerta e cucine territoriali, tutto insieme, sono la loro forza dell’intero Belpaese.

Troppo concentrati su aperture e chiusure, orari e proteste, delivery o servizio ai tavoli, si continua a perdere di vista un aspetto fondamentale di ciò che si sta rivelando il vero handicap dell’intero settore della ristorazione, dall’esterno e soprattutto dall’interno: la superficialità con cui, in tutta Italia, si affronta la problematica del turismo gastronomico nell’entroterra e/o al di fuori delle Città.

Abbiamo parlato più volte della necessità di un filo conduttore tra queste realtà ed il Governo, passando per le Regioni.

Che fine fanno le eccellenze del nostro territorio che per caso, per volere o per destino si trovano in provincia, nell’entroterra?

Organizzazioni ed enti sono coinvolti in una ricerca di tutela per una parte del settore legato al food che vive in un loop di ulteriori restrizioni.

Un esempio pratico e più vicino a me è quello della Campania, preso in esame da Nunzia Clemente che per Dissapore scrive:

“La Campania, per concentrarci su un caso esemplare, è un mosaico di paesaggi: si va dalle città densamente abitate (come Napoli) ai territori scarsamente urbanizzati come il Sannio, il Cilento inoltrato, l’Irpinia. L’area campana del Volturno, comunemente chiamata alto casertano, rappresenta davvero un territorio singolare: terra di almeno tre presidi Slow Food e di molti altri condivisi tra le varie condotte, ha il merito di aver creato una sinergia tra produttori e prodotti.
Okay in Campania non abbiamo la Langa del Barolo e il Volturno non è il Chianti: i russi non fanno a gara a chi investe di più in Campania, però un turismo gastronomico rispettabile ce lo abbiamo (avevamo) anche noi.”

È fuori da ogni dubbio che i provvedimenti messi in atto -già poco efficaci e poco ragionati- abbiano pesato maggiormente per quelle zone che sono la maggioranza: le province, ciò che c’è oltre i centri città e che ben più spesso sono centri di cultura, storia, studio, conservazione all’insegna dell’avanguardia. Parliamo di quei territori che hanno fatto del turismo enogastronomico un pezzo fondamentale del loro essere, oltre che del loro avere.

Basta pensare all’alto casertano, ricchezza indiscussa della nostra regione e sempre più influente sulla varietà e la qualità delle eccellenze del settore enogastronomico tutto. Si deve anche ed a tratti soprattutto a questa zona se ad oggi dicendo Caserta si inneggia alla pizza, quasi spodestando Napoli.

“Ad oggi dici Caserta e la prima cosa che ti viene in mente è la pizza: gli ultimi anni hanno donato alla provincia una vivacità della quale forse Napoli è priva, con un curioso moto che dalla provincia remota si avvicina alla città. Merito, appunto, del lavoro di produttori e ristoratori che sin dai primi anni del Duemila ne hanno “ripulito” degnamente l’ immagine, spesso associata ad un’altra pandemia poco felice. L’inquinamento.”
Ristorazione fuori città: quale soluzione per la cucina regionale dei piccoli comuni tagliati fuori dal delivery e senza turismo?

Territori del genere hanno visto cadere la loro operatività, annullare la loro possibilità di mantenere attiva una filiera impressionante di uomini e famiglie che non vogliono abbandonare la propria storia e realtà e nemmeno illudere i propri clienti e amici con orari di apertura e chiusura difficilmente comprensibili e/o attuabili. Stiamo parlando di diritto al lavoro e quindi direttamente di dignità che tanto viene inneggiata ma che poi è stata totalmente sorvolata, in primis dagli stessi colleghi del settore che alla prima occasione utile hanno dimenticato tutto quanto di cui ai grandi tavoli di discussione ci si era trovati a mettere davanti ad ogni cosa: la collaborazione!

C’è poco da aggiungere, la ristorazione potrà fare tutti i tavoli del mondo ma non saranno mai tavolate, e non si tratta di istinto di sopravvivenza quanto più di istinto di sopraffazione.

Ad ogni modo Nunzia Clemente ha approfondito l’argomento con tre incarnazioni dell’eccellenza dell’alto casertano:

“Per questi e molti altri motivi abbiamo deciso di fotografare l’alto casertano in questo difficile periodo scegliendo tre tra i suoi personaggi più significativi: Franco Pepe, patron della Pizzeria Pepe in Grani situata sul borgo di Caiazzo; la professoressa Anna Zeppetella, fiduciaria della condotta Slow Food Volturno; l’agricoltore 2.0 (e noto volto televisivo, aggiungo) Manuel Lombardi, produttore del conciato romano, formaggio antichissimo e primo presidio Slow Food della zona (parliamo del 2002, ormai).”

La Campania è un esempio ma non un caso isolato. Quante realtà come quella raccontata esistono in tutta la penisola e in ogni singola regione e per ogni singola città?

La soluzione sarebbe una coesione che potesse spingersi oltre i limiti perimetrali del proprio orticello. Oltre che unire le piccole realtà per le necessità comuni bisognerebbe unire interi settori nello sviluppo di soluzioni concrete che possano fare il bene di tutti, forse non con la stessa intensità ma almeno con la opportunità di valorizzazione.

Il movimento economico che si è venuto a generare nell’ultimo ventennio grazie a queste realtà merita spazio e diritto di presenza dato l’apporto di reddito. E che succede oggi? Che viene creata una condizione in cui potrebbero andare a scomparire senza colpe, bensì con il merito di aver reso identitaria la ristorazione italiana.

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