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"Non volevo fare il pizzaiolo. Sono tornato al banco perché non avevo scelta". Salvatore Lioniello si racconta a cuore aperto.

Tutti i segreti di Lioniello e di Salvatore, dalla pizza alla vita.

"Non volevo fare il pizzaiolo. Sono tornato al banco perché non avevo scelta". Salvatore Lioniello si racconta a cuore aperto.

Il modo in cui siamo abituati a conoscere e rapportarci con i personaggi del mondo della gastronomia ci ha portati ormai a pensare quasi che queste persone siano nate già con le giacche da lavoro, con le mani sporche di farina e con una indecifrabile passione che li tiene legati al loro lavoro di cui non possono fare a meno neanche per un giorno per fortuna e per destino.

Meno male che poi a riportarci sulla Terra arriva qualcuno che racconta di una passione nata con il tempo e di un lavoro iniziato per necessità. Forse è proprio questo a distinguere Salvatore Lioniello da tanti suoi colleghi: la schiettezza, l'irruenza nel dire quello che pensa sempre e comunque (anche sbagliando o esagerando a volte) ma pur sempre restando fedele alla sua storia, fiero del suo prodotto che ha imparato ad amare con il tempo e che con il tempo stesso gli ha regalato tante soddisfazioni.

Una storia molto vera quella di Salvatore, una storia fatta di errori, di fallimenti, di attese, di riscatto. E chi lo segue lo sa, ne percepisce l'autenticità finanche nei suoi eccessi, accogliendone l'affetto nella quotidianità.

"Non volevo fare il pizzaiolo. Sono tornato al banco perché non avevo scelta". Salvatore Lioniello si racconta a cuore aperto.

Fino al 2012 non sapeva nulla del mondo pizza, a 16 anni addirittura lasciò la pizzeria del padre perché riteneva impensabile quel tipo di vita. Iniziò a lavorare nell’edilizia, grazie a ciò si è guadagnato il soprannome de "o riggiolaro" (dal dialetto partenopeo "il piastrellista") seppur usato in tono dispregiativo molto spesso, come se nessuno avesse un passato, come se gli dovesse togliere capacità, come se meritasse meno solo perché si è catapultato in quel mestiere per aver odiato con tutto se stesso la ristorazione in quanto causa di delusioni e problemi all'inizio. Quello stesso lavoro che ha portato avanti in parallelo con la pizzeria di famiglia nel momento in cui il padre scoprì la malattia. Quella stessa malattia che ha riportato Salvatore a riconsiderare le proprie priorità, a rivalutare la propria vita ed a prendersi tutte le responsabilità del caso.

Salvatore racconta di come si sia innescata in lui una forza dettata dal bisogno di mandare avanti locale e famiglia, una voglia di voglia di fare e di fare bene che è sfociata in una curiosità incredibile che lo ha portato a re-innamorarsi dell'arte che lo ha reso uno tra i più noti dei pizzaioli. Ciò che non dice che ma che non riesco a fare a meno di percepire è che Salvatore vorrebbe solo essere sicuro che suo padre possa vedere dove è arrivato quel ragazzo istintivo e caparbio, e tutto in suo nome.

Chi è Salvatore Lioniello? Come nasce il Salvatore Pizzaiolo?

"Non volevo fare il pizzaiolo. Sono tornato al banco perché non avevo scelta". Salvatore Lioniello si racconta a cuore aperto.
Un giovanissimo Salvatore Lioniello

Sono nato il 28 luglio 1987, a Orta di Atella. Avevo appena due anni e mio padre - con la famiglia - aprì un bar. Erano ristoratori.

A 20 anni lavoravo nell’edilizia, montavo i San pietrini e mio padre non voleva continuassi quel tipo di lavoro e mi aprì una pizzetteria al taglio a Frattamaggiore che in un anno fallì, indebitandomi con tutti: da mio padre al padrone di casa. In quel momento odiai la ristorazione e l’arte bianca, allontanandomene.

Nel 2012 sono stato tra i primi a portare una pizza nuova chiamandola poi diversamente napoletana e diversificandosi dalle altre proposte grazie al cornicione più voluminoso e che vedeva comunque una ricercatezza non solo delle materie prime ma anche dell’impasto in sé. Cercavo di fare qualcosa di totalmente differente rispetto a quello che la piazza offriva.

Cosa ha rappresentato e rappresenta questo mondo per te?

Quello che rappresenta questo mondo per me è sicuramente innovazione e sostenibilità. Il tutto senza mai distogliere lo sguardo dal passato, dalla tradizione anzi ricercandola. Far vivere esperienze che si basino cmq sempre sulle tradizioni familiari naturalmente leggere rivisitate ma quel tocco serve a fare spazio ed a trasmettere le proprie origini.

Sei molto seguito sui social forse anche per l’enorme interazione che hai con i tuoi followers e tutto ciò da ben prima del periodo covid, ma anche perché non hai segreti: nei tuoi video non nascondi ricette, quantità e dettagli anzi ne fornisci il più possibile per migliorare la resa di chi vuole cimentarsi. Da dove nasce questa filosofia?

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Fortunatamente negli anni ho sempre lavorato nel laboratorio per migliorare sempre il mio prodotto ma anche sul lato social. Sapevo bene di essere “penalizzato” dal fatto di stare in un paesino, dunque questo mi ha aiutato ad esser più lungimirante perché dovevo incentivare le persone a decidere di venire a mangiare una pizza a Orta di Atella.

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Salvatore Lioniello con Egidio Cerrone nella vecchia sede della pizzeria d Orta di Atella

In questo percorso, una grande mano la devo ad Egidio Cerrone: mi ha curato la comunicazione per un anno, è stato l’unico perché poi ho fatto tutto da solo. L’ho scritto anche nel mio libro e lo ringrazierò per tutta la vita. Mi ha fatto camminare passo passo insieme a lui e mi ha spiegato come gestire bene i social, facendomi capire come trasmettere credibilità alle persone ma anche certezza di un prodotto di qualità.

Quale è il risultato di tutta questa visibilità?

La comunicazione è fondamentale ed è importante essere sé stessi, non risultare invadenti, non darsi arie e ciò mi ha permesso di stabilire un affetto con chi mi segue e chi lo fa da anni conosce la mia storia, la mia vita, il mio quotidiano e si è affezionato a questo racconto di vita vera. Non solo: sono molto legati anche al mio iter professionale, a ciò che ho creato nonostante gli errori, le pieghe storte, le sofferenze e le disgrazie che accadono nella vita.

Non nasci pizzaiolo ma hai scelto di esserlo, forse in primis per tuo padre, eppure sembra che la pizza sia un prolungamento delle tue braccia. Come hai coltivato questo amore?

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All’inizio sì, era tutto per mio padre. Io ero solo "il figlio di". Ci affidammo a professionisti che non si sono rivelati tali e dopo tre mesi cadevamo già a picco. Insomma mi trovai ad affrontare sta barca che affondava da solo con mia moglie, mia nonna e mia zia. Naturalmente eravamo senza esperienza, io avevo avuto una infarinatura - mo’ ci vuole - da parte di mio padre ma null’altro. Le cose non andavano bene e al contempo calava il mio interesse per questo mondo.

Dopo un anno mi ritrovai a chiudere per mancanza di pagamenti di bollette, fornitori e affitto. Mio padre dovette poi ripagare i miei debiti e io decisi di tornare nell’edilizia. Accadeva nel 2010.

Nel 2012, durante la festa di San Salvatore il Santo Patrono di Orta, mi chiamarono per chiedermi di sostituire mio padre perché non stava bene e mi diedero così la notizia che era ricoverato per una leucemia. Fu una settimana straziante e durissima fatta di pianti, panico, ansie. Un momento che non dimenticherò mai.

Ma da lì iniziò un percorso di riflessione, di responsabilità ma anche un po’ di rivincita proprio in nome della fiducia che mio padre mi aveva sempre dato e che io sentivo di aver sempre deluso.

Quale è la tua formazione?

Io sono un autodidatta totale. Mi sono affidato all’intuito, alla curiosità e poi ho capito che dovevo aggiornarmi e con il tempo ho comprato libri sulla panificazione, ricettari, cercavo di saperne il più possibile. Quando mio padre è mancato sentivo di dover continuare e migliorare il suo progetto. Anche perché fino alla fine lui voleva solo vedermi a quel banco. Ho studiato, ho fatto della pizza la mia vita. Ho creato dalla pizza, la MIA PIZZA.

E così sei arrivato a formare centinaia di pizzaioli?

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Sì. Oggi formo oltre 400 pizzaioli all’anno con l’Accademia Pizza DOC. Nel 2014 grazie al Campionato Mondiale che vinsi non solo sono stato finalmente visto come professionista ma riuscii a dare soddisfazione a mio padre in qualche modo. Lui che ci aveva visto giusto e aveva colto il mio talento o per meglio dire la mia caparbietà, quella che non mi fa arrendere davanti a qualcosa che non so fare; piuttosto mi ci dedico e imparo il più possibili: diventa una sfida con me stesso.

Da lì è iniziata la tua notorietà, giusto?

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Verissimo. Da lì comunque si crea il personaggio Salvatore Lioniello: campione del mondo di pizza in teglia e di tanti altri campionati come il mondiale pizza senza glutine, o quello di pizza in pala, alcuni campionati di pizza napoletana.

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Salvatore Lioniello sul podio del Campionato Mondiale della Pizza, di cui è stato vincitore nel 2014

Mi sono aggiudicato oltre 80 titoli in tutte le categorie e grazie a tutto ciò riuscivo anche a fare una buona pubblicità sulla pagina trasmettendo anche fiducia e curiosità. Ho incuriosito parecchio anche perché lavoravo con qualsiasi tipo forno e venivo contattato per moltissime consulenze.

Sei partito con un forno elettrico per poi passare a quello a legna. Adesso, nel tuo regno ci sono entrambi. Come scegli quale usare e perché? Cosa hai da dire sulla diatriba tra elettrico e legna?

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Sì. Lavoro con entrambi i forni. Chi dice che la legna ha un sapore purtroppo va contro evidenze scientifiche che parlano chiaro e dicono l’opposto. Un buon prodotto può essere cotto in qualunque tipo di forno, naturalmente la sola cosa su cui inciderà sarà la croccantezza. Punto. Ma un impasto buono si può cuocere in qualunque tipo di forno e uscirà sempre una pizza fragrante, scioglievole, digeribile.

Diciamo che la tradizione partenopea e la clientela che ci circonda è accanita nel voler vedere il forno a legna altrimenti non è una pizza napoletana. Oggi con i forni di ultima generazione ci sono ottimi sostituti del forno a legna e te lo dice uno che usa quelli a legna. I forni elettrici si sono evoluti, le aziende sono state lungimiranti e hanno creato attrezzature che non farebbero notare la differenza con i tradizionali a legna.

Sei notoriamente vegetariano il che comporta sicuramente un’attenzione in più al numero di pizze adatte a questo tipo di alimentazione nel menu oltre che una maniacale considerazione del vegetale, del suo uso e della valorizzazione di queste materie prime sulla pizza.

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La domanda è spontanea: come fai a equilibrare quelle con presenza di carne?

Non sono del tutto vegetariano perché mangio il pesce. Nel 2013 quando venne diagnosticata per la seconda volta la leucemia a mio padre gli fu eliminata dall’alimentazione tutta la carne rossa. Così iniziai a fare delle ricerche, tra le tante “come vivere di più”.

Da quel momento incominciai a creare delle pizze vegane, divento io stesso vegano per due anni e creo un marchio e un logo “veghiamoci bene: mangiare sano vivere meglio”. Presi un 70% di clientela che veniva appositamente per le pizze vegane. Nel forno elettrico.

Negli anni poi collaborando con gli chef mi sono riavvicinato ai formaggi, latticini e pesce. La carne dal 2013 non l’ho più mangiata ma nell'equilibrarla su una pizza diciamo che vado su ricordi di consistenze, grassezza, sapidità e poi faccio fare da cavie ai miei collaboratori.

Non hai mai nascosto di aver creato alcune delle tue pizze in collaborazione con chef stellati. Come accadono queste interazioni?

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Salvatore Lioniello e chef Domenico Iavarone

Non lo nego assolutamente. Tutto quello che ho fatto l’ho sempre detto apertamente e con tanta soddisfazione. Tra i primi chef che ho conosciuto nel mio percorso ci sono Agostino Malapena e Domenico Iavarone che tutt’ora sono miei amici fraterni. Mi hanno insegnato e aiutato tantissimo: a capire le consistenze giuste, gli abbinamenti, mi hanno dato la possibilità - e ne sono onorato - di stare nelle loro cucine e osservare le loro tecniche. Io sono ritornato in pizzeria dopo quelle esperienze con una creatività e con una emancipazione totalmente differenti.

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Altra cosa che mi ha aiutato tantissimo è stato il mio viaggio in Cina dove ho conosciuto Heinz Beck e il suo secondo Heros de Agostinis: sono stati 24 giorni tra Taiwan, Hong Kong, Pechino e Shangai in cui facemmo il Made in Italy direttamente in Cina; un evento in cui io facevo gli impasti e loro creavano i topping. Legammo molto, tantissimo con Heros e Carmine Amarante che tutt’oggi sono carissimi amici.

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Salvatore Lioniello e chef Heinz Beck

Devo tanto a Eros, Carmine, Agostino e Domenico, grazie a loro ho la consapevolezza di ciò che faccio in ogni singolo minuto.

Quale è carta vincente affinché una pizza colpisca nel segno?

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La carta vincente affinché una pizza colpisca nel segno è la semplicità, ma anche il ricordo che riusciamo a trasmettere con grande consapevolezza, con il saper trasformare e scegliere le materie prime grazie all’esperienza avuta nelle cucine di questi grandi chef stellati. La tradizione fatta bene colpisce più di una innovazione sbagliata.

Hai raccontato la tua storia anche nel tuo libro "Per sfortuna o per caso - Come l'arte bianca mi ha cambiato la vita".

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La tua pizza e la stima dei tuoi colleghi sono la prova che hai fatto la scelta giusta, ma anche del tuo lavoro profondo e della tua meticolosa cura del cliente.

Nonostante ciò leggo spesso commenti denigratori come “ma era solo un “riggiolaro” (piastrellista in dialetto campano). Tutti abbiamo un passato, tutti siamo stati altro prima di ciò che siamo e nessuno nasce imparato. Ora non voglio soffermarmi sul commento a caso ma mi sorprende possa venire da chi nel mondo pizza ci vive.

Cosa vorresti dire a chi ti giudica sulla base del tuo passato e non della tua crescita o della professionalità?

Io sono fiero di tutto quello che ho fatto, compresi gli sbagli ed i miei fallimenti. E soprattutto ringrazio Dio per avermi tenuto così in bilico fino a 26 anni: mi ha aiutato a capire il mio lato umano, a capire la mi famiglia a recepire tanti insegnamenti. La fortuna, il benessere anche economico non arriva per caso ma perché dietro c’è un percorso fatto di sacrifici, rabbia, caparbietà e pianti.

"Non volevo fare il pizzaiolo. Sono tornato al banco perché non avevo scelta". Salvatore Lioniello si racconta a cuore aperto.
Una battuta di pesca è la pizza di Salvatore Lioniello del menù a 4 mani con il collega e amico Giuseppe Bove; creata per una serata di beneficenza e servita su di un sanpietrino, proprio a ricordare ed onorare il suo passato. Si tratta di pizza in teglia al 100% idratazione con cicorie, tartare di spigola, alghe di mare fritte, zest di limone.

Ti racconto un aneddoto. Dopo il fallimento della pizzetteria io andai a Padova, richiamai la mia squadra e partii con la ditta. Un lavoro di 2 mesi senza mai scendere a casa. Mia moglie era incinta, dovevamo sposarci quindi cercavo di lavorare il più possibile perché volevo che lei realizzasse tutti i suoi sogni: l’abito bianco, la casa.

Ebbene: a Padova non mi diedero un solo centesimo!

Dovetti pagare tutti i ragazzi e ancora una volta dovetti chiedere a mio padre. Ci sposammo con Anna solo in comune e andammo a stare da mia nonna che aveva una stanza libera e non dimenticherò mai che il regalo di mio padre fu la camera da letto di Ikea: 498€. Doveva essere una cosa momentanea, dovevano essere 6 mesi. Sono stati 6 anni. Di inferno. Cercavo di lavorare ma le difficoltà erano tante: mia nonna ci pagava la corrente fortunatamente, altre volte dovevo chiedere aiuto a mia mamma per il gas e sapessi quante docce fredde ci siam fatti!

Sono state esperienze che ci hanno e mi hanno segnato, che mi hanno dato la giusta quadratura, sapere che la vita non è e non può essere sempre bella ma c’è una parte di quella vita che è bella per come è arrivata: grazie alla perseveranza e all’impegno. La parte del successo, quella gioiosa, è appunto solo una parte; dietro di essa c’è un inverno indescrivibile e le persone non possono giudicare sulla base di una vita che non è loro. Ringrazio per tutto ciò che sono stato e che ho vissuto perché mi ha donato quello che ho e che sono oggi.

Questi ultimi due anni (che avrebbero dovuto fomentare coesione e collaborazione per l’avvio e la comprensione di nuove tecniche, di conoscenza e di approfondimento ma anche di sopravvivenza) si sono - ahimè - rivelati degli inceneritori di rapporti: è tutto una sorta di mors tua vita mea, un continuo ribatterai la propria superiorità in commenti illeggibili tra colleghi. Cosa hai da dire al mondo della ristorazione?

La pandemia ha segnato moltissimo tutto e tutti noi. L’assenza dai locali o almeno la non continuità potevamo farla fruttare creando una unione tra colleghi, una sorta di unico gruppo che avrebbe dato vita a qualcosa di stratosferico nel mondo della pizza soprattutto quello digitale. Pochi ci hanno creduto e chi lo ha fatto ha avuto anche riscontri.

All’inizio anche io ero scettico poi ho capito che bisognava creare qualcosa per restare in contatto con i clienti e da lì e partito un progetto fatto di corsi online, di ricette su YouTube e ciò non ha fatto altro che far capire al cliente che cosa c’è davvero dietro ad una pizza. È stata una esperienza fantastica perché ho avuto la possibilità di farmi conoscere ancora di più: sono partito a inizio pandemia con 12mila iscritti su YouTube e in poco tempo siamo arrivati ad oltre 80mila.

Grazie all’esperienza vissuta in pandemia mi sento di dire al ristoratore in generale che è inutile polemizzare sulla concorrenza piuttosto serve analizzare i propri errori, mettersi in guardia e cercare sempre di diversificarsi. Questo e il nostro motto. Fin dalla “diversamente napoletana” abbiamo sempre provato a non esser uguali agli altri in maniera tangibile, evidente per il cliente.

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