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WINE STAR WARS - episodio IV: Alojz Felix Jermann

Alojz Felix Jermann. Occhi verdi e ricci biondi, è la nuova figura del wine digital in Italia

WINE STAR WARS - episodio IV: Alojz Felix Jermann

Alojz Felix Jermann. Occhi verdi e ricci biondi, ha girato il mondo quasi quanto i vini dell’Azienda di famiglia ma lui da inizio pandemia ha deciso di cambiare vita, o meglio, variegarla. Consulente digital e stratega, a favore di artigiani e del suo Friuli, sfila tra vigna e campi da golf uno stile tutto suo, portando una ventata di competenza enoica alla sfera virtuale e viceversa.

WINE STAR WARS - episodio IV: Alojz Felix Jermann

Le tue origini da produttore ti aiutano ad avere uno sguardo più critico o benevolo nei confronti delle altre Cantine?

Dato il mio background, posso essere sia critico che benevolo. Per mia fortuna, vista la lunga esperienza sul campo, non ascolto più le storielle e non credo più alle favole, cerco piuttosto di immortalare la verità e trasmetterla ad un consumatore. È fondamentale continuare a sperimentare, non solo leggendo libri o frequentando corsi ma visitando i produttori e farlo dalla vigna all’assaggio vini, entrando in sintonia con le loro realtà e la storia di quel territorio. Circa le critiche, non sono solito sentenziare giudizi perché io stesso continuo ad imparare ed evolvere, quindi spazio aperto alle opinioni e agli scambi, non dimentichiamo che il vino è un gusto personale, quindi battiamoci unicamente per essere coesi con l’intero comparto alla ricerca della sola verità. The truth is the answer.

Che tipo di servizio offri ad una Cantina che vuole lanciarsi nella giungla digitale?

Dipende dalla Cantina e dai suoi progetti, obiettivi, ecc.. ma un elemento è fondamentale: bisogna sempre partire da una strategia che tracci un’identità. Ci vuole organizzazione per impostare strategie a medio e lungo termine ed ogni percorso è diverso come è diverso ogni vino. Sulla comunicazione digital, ad esempio, è importante che tutto segua una linea coesa con il prodotto dell’azienda, come un’extension dell’azienda stessa. Io personalmente mi occupo di digital marketing e creazione di contenuti, pianificazione e analisi di progetto, sempre modulati con grande flessibilità e tailor made. Secondo il mio modello, la comunicazione deve unire la tecnica al feeling, non dimenticando la cultura ed i momenti didattici. Infine, non deve mai mancare l’entusiasmo e la voglia di avvicinare le persone al vino con allegria perché lo sappiamo, il sentimento positivo è contagioso.

Il Friuli è una terra di mezza o una zona isolata?

Penso sia il giusto mix di entrambi, senza dimenticare che proprio grazie alla sua storia che a volte ha isolato ed altre unito più culture e nazioni, può ritenersi una porta verso Est oltre a uno snodo per l’economia europea molto importante. Forse un po’ isolata? Beh sì, qui in Friuli ci si viene appositamente e non ci si passa per caso, forse è proprio questo l’obiettivo della nostra generazione. Dobbiamo valorizzare il nostro patrimonio attraverso un nuovo modello di turismo, come fanno in Sicilia. Per farlo, dovremmo lavorare come regione per sviluppare ospitalità, esperienze e percorsi di livello e dagli alti standard qualitativi. La partita si gioca nei prossimi anni, l’obiettivo sarà trasformarci da meta di passaggio a destinazione finale.

In quale segmento hai incentrato la tua formazione?

Il mio percorso nel mondo del vino comincia per ovvie ragioni in campagna, iniziando proprio dalle attività in cantina. A 18 anni poi sono andato in Australia a lavorare in un ristorante fine dining come Chef de Rang, un’esperienza che mi è servita a capire che promuovere il vino mi rendeva felice. Poi è stata la volta di San Francisco, dove studio International Business mentre mi cimento in varie esperienze tra Napa Valley e Sonoma. Nel frattempo, acquisisco sempre maggiore consapevolezza nel reparto Sales della Cantina di famiglia, in cui riesco a ritagliarmi un ruolo connettendomi agli importatori. Al mio rientro a casa, poi, è il momento di entrare definitivamente in azienda, occupandomi principalmente della comunicazione e della vendita, senza tralasciare però la vita in vigna e quella sfera di mansioni che hanno a che fare con la terra. Questo periodo dura esattamente 2 anni, poi c’è il Covid. Qui, durante il lockdown ho deciso di dare slancio ai miei progetti e quindi dedicarmi alla comunicazione del vino. Da dove imparare? Per nostra fortuna abbiamo Internet e se si cerca bene lì possiamo trovare tutte le risposte e gli aggiornamenti che vogliamo.

Ultimamente non ti si vede più alle fiere e agli eventi, luoghi in cui eri onnipresente in passato. Cos’è cambiato?

In questa fase sono molto impegnato sui progetti che sto portando avanti e, viste le attuali condizioni, ho ritenuto non fruttifera una mia presenza alle scorse manifestazioni. Prima era diverso, certo, ma erano tappe obbligate perché rappresentavo la mia Cantina, mentre oggi le priorità sono diverse e devo seguire progetti che al momento mi tengono ancorato al pc. Tra l’altro abbiamo di recente testato quest’ultima forma di evoluzione, tra incontri digitali e fiere virtuali, senza necessariamente doverci incontrare in fiera. Personalmente preferisco gli incontri one-by-one e i b2b alle fiere, ma vi prometto che al prossimo Vinitaly non mancherò!

Sotto quale aspetto l’Italia del vino è ancora indietro?

Sicuramente sul lato della comunicazione, in cui notiamo poche aziende virtuose che hanno investito in progetti che hanno portato ad ottimi risultati, mentre una stragrande maggioranza non ci ha ancora pensato seriamente. Un dato è certo: con la pandemia la comunicazione è diventata fondamentale. In più, aiuterebbe a fare sistema, come qui in Friuli in cui non sono mancati nuovi progetti interessanti, tra cui cito “Rete d'impresa Pinot Bianco nel Collio” che vede riuniti diversi produttori nella promozione del Pinot Bianco. Siamo la Patria degli autoctoni e valorizzarli tutti sarebbe stupendo, ma realisticamente iper caotico se non impossibile. Lavoriamo quindi sui problemi, partendo dalle lacune di comunicazione, e appoggiamoci sui punti forti e sull’unicità.

Può essere una figura come la tua un nuovo veicolo commerciale per i mercati post-pandemia?

Sicuramente sì, come vediamo già in altri settori. Siamo persone cui ruota attorno una community, sia online che offline, permettendoci di ampliare il raggio d’azione e destinare al nostro messaggio un significato più forte ed energico. Ovviamente bisogna scegliere il personaggio giusto per il giusto prodotto. Unire un comunicatore ad un’azienda può essere vincente quando si è in grado di veicolare un network di persone e trasmettere con coerenza la purpose aziendale, dal digital all’offline, dalle degustazioni alla vendita. Ne parlo con una certa enfasi perché già anni indietro ce ne eravamo resi conto in Jermann. Ad oggi purtroppo le aziende lo considerano ancora un costo extra, ma questa voce deve esser valutata come investimento strategico e commerciale, e visti i tempi, uno strumento vantaggioso in termini economici. In Italia chi l’ha capito c’è, penso ad esempio a Marchesi Antinori, ma vorrei ricordare agli altri la frase di Gary Vee: “se non esisti su un telefono, pian piano non esisti più”.

A quale filone ti stai appassionando recentemente?

Sono amante dei vini veri, autoctoni e che rappresentano un territorio e un produttore. Poi può essere naturale, in anfora o convenzionale, ma deve essere vero. Sui vini naturali (o quelli definiti tali), me ne piacciono diversi, ma devono rispettare il frutto e il principio della varietà d’origine. Ogni vino va osservato secondo criteri che ruotano attorno alla verità. Sul lato commerciale, c’è grande attenzione al biologico già da diversi anni, mentre è più recente il “boom” dei macerati e la riscoperta di alcune varietà autoctone. Senza focalizzarsi eccessivamente, ogni vino ha il suo perché e il suo momento, non bisognerebbe mai chiudergli la porta, dato che sono in fin dei conti tutti diversi. Cerchiamo solo di imparare con autorevolezza, compiendo scelte responsabili e consapevoli quando ci si trova davanti ad un vino sano e un vino da scartare.

C’è spazio per le piccole Aziende o anche il settore del vino si ridurrà, come nel caso degli spirits, a poche famiglie multibrand?

Se si parte da un’originalità di partenza e da una qualità indiscutibile, ce la si fa. Poi ci sono 1000 variabili e come ben sappiamo tutti, le grandi aziende continueranno a crescere con le loro economie di scala, ma ci sarà sempre spazio per i piccoli, anche perché talvolta è il cliente stesso a richiederlo. Con una buona diffusione culturale in materia e gli stimoli verso la ricerca, si genererà spazio alle alternative. I grandi andranno avanti da sé e riusciranno a vendere senza troppe spiegazioni, ma sta a noi credere nella diversità.

Il tappo a vite, tanto utilizzato dalla tua Azienda, vedrà un incremento del suo utilizzo o pensi che il fascino del sughero resisterà?

È un’innovazione che avevamo tanto a cuore, così come più recentemente, sempre in tema chiusure, ho contribuito a sviluppare un progetto molto interessante con Amorim sul tappo in sughero naturale. A volte lo si dà per scontato, ma ogni vino ha il suo tappo. In Jermann circa il 90% dei vini era bianchi perlopiù d’annata e quindi mio padre ha pensato che il tappo a vite fosse un’ottima soluzione. Attenzione poi a non scadere nei luoghi comuni perché anche nel tappo a vite un vino può invecchiare ed anzi, permette anche di ridurre la quantità di solforosa in fase di imbottigliamento. Noi abbiamo addirittura assaggiato delle 2003 e 2004 di bianchi Jermann ed i risultati erano notevoli. Per gli altri vini, quelli di razza per intenderci, il tappo sughero resta la scelta vincente, dove la ricerca oggi è sempre più specializzata nella qualità e l’ottimizzazione dell’evoluzione in bottiglia. Tra i due, il romanticismo del sughero resisterà, ma la categoria dei sommelier e degli esperti devono comunicare correttamente l’importanza e le differenze tra i vari tappi. Non avrai altro tappo al di fuori del sughero? Ti Ricordo solamente che la sua produzione anche se sostenibile non è infinita e quindi sarebbe giusto adottare certi criteri per preservarlo.

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