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Pronto Terra? Qui è Alchemist. Questa esperienza insegna, provoca e meraviglia. Una cosa è chiara, niente sarà più come prima!

Recensione Alchemist di Rasmus Munk, la cucina olistica

Pronto Terra? Qui è Alchemist. Questa esperienza insegna, provoca e meraviglia. Una cosa è chiara, niente sarà più come prima!
Alchemist
Refshalevej 173C, 1432 København K, Danimarca
Orari: Aperto dal mercoledì al sabato dalle 15 alle 22
Menu: alchemist.dk
Prenotazioni: alchemist.dk, exploretock.com
Telefono: +45 31 71 61 61

“Ma sei sicuro?”

“L’indirizzo dice che è qui! Excuse me, are you sure that this is the right place?”

“ Yees yeeeez, no problem, not first time for me. Here good!” dice il tassista di origini greche che per i 20 minuti di corsa ci ha parlato di quanto avesse amato Venezia l’anno prima.

Scendiamo, zona industriale di periferia, da lontano arrivano note reggae di un bar sul canale, due tardo-hippy di Christiana in calzoncini passano in bici con l’espressione di chi non capisce perché due si debbano vestire così bene per guardare dei capannoni industriali.

Ma noi siamo qui per Alchemist. Loro che qui ci vivono non sanno che nascosta nella location più improbabile, senza un’insegna o un cartello, si trova il ristorante più sorprendente di sempre.

La magia inizia da fuori. Siamo in anticipo, aspettiamo, il tempo non passa mai. Li non passa proprio nessuno. 

“La prenotazione a che ora era?”

“6:30pm te l’ho detto già mille volte”

“Ok sono le 6:28… aspettiamo”

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L'ingresso

3, 2, 1 …. Alle 6:30 in punto un portone di bronzo alto 5 metri, ricoperto da altorilievi spettrali, degni solo di un castello di Game of Thrones, si apre lentamente. Così lentamente che sembra che sia un nano a fare tutto lo sforzo.

Nessun nanetto però, per paura che si richiuda entriamo di fretta, dentro è tutto nero.

“Welcome… bla bla bla” Le hostess sono sorridenti e rilassate, noi tesi e dubbiosi.

Diciamo la verità, non siamo arrivati qui completamente al buio. Google e instagram ci hanno dato una vaga idea sull’unicità dell’esperienza che ci accingiamo a vivere, ma dopo un minuto di convenevoli, rimaniamo letteralmente al buio.

Ci troviamo in una stanza senza finestre, non c’è una finestra da Alchemist.

Colori neon e fluorescenti ci riportano ad una New York hip hop Run-Dmc degli anni ottanta, non siamo soli.

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New York Room

Lei ci consegna una piccola busta, l’apriamo, una frase di grande inspirazione ci apre la mente. Credo sia di Obama. Questo posto ci lascia a bocca aperta e ci torna utile perché dopo che lei si è mangiata un bigliettino come quello che teniamo in mano, capiamo che dobbiamo imitarla.

La carta edibile fatta di amido di kudzu e succo di lime non sa di molto, ma l’esperienza è così forte che non ce ne accorgiamo. 

Un’intera parete si alza, non una porta, l’intera parete…. e salendo una rampa ci troviamo accolti da due bellezze in una lounge dai soffitti chilometrici che sembra proprio quella del bar più di moda della Grande Mela. Ci accomodiamo.

Seguendo l’esempio di ristoranti iberici come Enigma e Arzumendi, una cena da Alchemist è un’esperienza a tappe. L’ospite qui passerà in più di 5 ambienti diversi, ognuno specificatamente creato per provocare emozioni, far riflettere, stupire e intrattenere. 5 ambienti per i 5 sensi che verranno stimolati e nutriti continuamente in un’esperienza in cui teatro, arte, scienza e tecnologia sono ingredienti importanti come quelli cucinati.

L’influenza spagnola qui non miete vittime ma si sente in molti dettagli, sapori e ritmi. Penso che il dinamismo di una cena nella quale non sei inchiodato alla stessa sedia per ore ed ore prenderà sempre più piede nella ristorazione mondiale, Mirazur, Franzten (Recensione) e tanti altri stanno seguendo questo trend. Non tutti sono cinture nere di fine dining e un cambio di ambienti permette all’ospite di godersi con più leggerezza un’esperienza senza rendersi conto che il tempo passa e ne passa tanto, 5-6 ore.

Come nei casinò di Las Vegas, da Alchemist sei completamente tagliato fuori dal mondo, non importa cosa succede al di la di queste mura, tu quella sera sarai ospite di Rasmus e del suo staff internazionale. In un altro mondo, in un’altra dimensione.

La lounge ti accoglie come un abbraccio e il sorriso del ragazzi di sala è veramente caloroso, quanto freddo sembra il laboratorio che si affaccia sulla lounge dietro una lunghissima vetrata . Ci spiegano sia la cucina dove si effettuano le sperimentazione ma sembra più che altro la sede di una setta futuristica dove si studiano vite aliene, non ci sono padelle ma tanti strumenti che ci aspetteremmo in un istituto di ricerca medico.

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Lab

Siamo nel futuro, quel futuro da Minority Report perché la carta dei vini è un grande tablet dove, con leggeri movimenti delle dita, apriamo animazioni, liste di annate, terroir, e scopriamo che la cantina di Alchemist è veramente potente, come ci si potrebbe aspettare da un ristorante che è costato anni di studi e più di 15 milioni di euro.

Siamo onorati di avere Chef Rasmus a introdurci le prime “impressioni”, così vengono chiamati i bocconi e piatti che scandiranno la nostra esperienza gastronomica. Ne gusteremo 40. Vi assicuro non ci si annoia mai. La struttura amuse buche, piatti di verdura, poi pesce, poi carne, poi palate cleanser qui non esiste signori e signori. La cena è divisa in atti, come a teatro, e l’esperienza del dome è divisa in varie scene.

Chef Rasmus ha solo 30 anni. E’ dolce e gentile solo come un gran timido può essere. I suoi occhi sono curiosi, la sua mente determinata. Preferisce ascoltare ma quando lui parla tutti zitti, perché quello che dice non soltanto ti insegna, ma ti fa capire quanto profondo sia il percorso che porta a creare ogni ricetta.

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Rasmus Munk

La cucina di Alchemist è emotiva, la tecnica molto El Bulli e ogni impressione è stata creata per regalarti un’emozione. Stupore! Sgomento! Felicità! Imbarazzo! Ferran Adriá insegna.

Chef Rasmus è anche un romantico e un grande idealista. La prima impressione è una margherita di metallo che lo chef ti porta come se fosse un pretendente al tuo cuore.  Rasmus ci ha già giocato a m’ama non m’ama e intuitivamente capisci che devi bere dalla parte del fiore a cui mancano i petali. Bevi il capolino del fiore che in realtà è del kaffir lime distillato con gin incapsulato in una sfera e sormontato da schiuma di verbena kombucha al limone.

Sparisce e riappare con due dumplings fatti di zucchero filato giapponese wasabon, così leggeri che sembra che la forza di gravità non li riguardi. Questa leggerezza racchiude un cuore di erbe asiatiche tenete insieme da un gel di pesce fermentato per 5 anni.

Sei troppo affascinato dal cercare di capire come siano riusciti a creare tanta leggerezza da fermarti troppo sul gusto. Ma quello che arriva dopo è una semplice bomba di libidine culinaria, tanto che se si mettessero a vendere solo quello con un baracchino per strada, non abbiamo dubbi che farebbero il botto: the Smoky Ball. All’apparenza un takoyaki di pastella, inspirato all’Pani Puri indiano che racchiude… fumo, accompagnato da una panna cotta di carciofi, caviale e aceto in polvere. Che bontà. 

Le impressioni seguono, ognuna è una sorpresa, ci si diverte e ci si rilassa. Il secondo atto finisce con un gin&tonic. Nel bicchiere con ghiaccio e lime? No, un parallelepipedo di una schiuma fredda abbattuta a -98 gradi che se la tenessimo tra le dita per più di 5 secondi lo scioglieremmo senza accorgercene. In bocca si dissolve, la punta di ginepro è delicata ma efficace. Il gin è fatto esclusivamente per Alchemist da Vintre Møller. Nulla di nulla è lasciato al caso.

 “Are you ready for the next act? Follow me” lei è tanto alta che credo la seguiremmo ovunque…. 

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La cantina

Saliamo una bellissima scalinata e i nostri occhi cadono su una parete di vetro trasparente che cela la cantina e mostra alcune delle bottiglie più apprezzate al mondo. Quella parete, e le stanze che racchiude, sono alte 3 piani. Si sente parlare di verticali con i vini ma di 3 piani non è proprio da tutti.

Siamo distratti, mentre ci spiegano delle varie temperature nelle quali i vari vini vengono conservati, improvvisamente si aprono delle sliding doors. Siamo presi da lei che ci dice: “ welcome to the dome!”….  e noi facciamo la stessa faccia dei bambini quando entrano nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. Il dome ha la forma di un planetario, enorme, sulla parete della cupola vengono proiettate a rotazione 10 animazioni computerizzate a scandire le diverse scene del menu. Queste mini film circondano l’ospite a 360 gradi, e ne rapiscono l’attenzione immergendolo in realtà fantastiche! 

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Planetarium Dome

Quella che ci accoglie ci fa trovare sott’acqua. Nel blu dell’oceano delle meduse danzano lentamente tra quelle che sembrano altre meduse ma sono sacchetti di plastica e mascherine abbandonate nel mare, che spesso vengono proprio confuse con le meduse e finiscono nello stomaco di tante tartarughe e pesci ignari.

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Le meduse

Il messaggio ecologista che sta alla base del sentimento che muove Alchemist è chiaro fin dall’inizio. Non ti può sfuggire. L’ospite si nutre anche della consapevolezza che questo nostro mondo va migliorato prima che sia troppo tardi, un boccone alla volta.

Ci accomodiamo. I tavoli sono counters lunghissimi a forma di serpente, questo non è un ristorante dove 4 amici faranno delle gran chiacchierate perché ognuno è seduto, uno fianco all’altro, su delle comode sedie da bar. Dall’altra parte di questo counter di marmo pregiato si intervalleranno lo Chef e il suo staff. Come dice Chef Adriá: “ non puoi considerare Alchemist come un qualsiasi ristorante. Non è un luogo dove vai per socializzare, ma per riflettere dei limiti che noi tutti abbiamo come essere umani, sia fisicamente che emotivamente e spiritualmente. “

Ma dopo due visite sono convinto inoltre che Alchemist riesca a farci conoscere meglio, sia interiormente, sia con le persone che ci accompagnano, perché ci spinge a uscire dalla nostra zona di comfort e a ritrovare chi potremmo essere. 

Scopriamo come!

Chef Rasmus ci introduce la prima impressione della prima scena del terzo atto.

Questo è un teatro, nessuna è una comparsa, siamo tutti al centro della scena, è tutto molto reale. L’unica cosa che non è quello che sembra è il toast che ci portano, ispirato al toast Kryddere che lo Chef si pappava da piccolo. Anche questo boccone è leggerissimo, fatto di cellulosa areata vegetale, ottenuta utilizzando gli scarti delle verdure della cucina, che viene brunito con del burro e servito con pasta di mandorle fermentate e caviale Oscietra. Un piatto tecnicamente complicatissimo ma che vuole comunicare un sentimento molto semplice: quello che ci lega a quella singola cosa di cui da bambini andavamo così ghiotti da chiedere ogni giorno.

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Toast di cellulosa vegetale

Segue una terrina perfettamente rotonda di ostriche Gillardeau, ci chiedono: “ vi ricorda qualcosa?” Basta guardare due centimetri al lato ed ecco la risposta.

Questo piatto è stato ideato per omaggiare l’artista nostrano Grigio Billiemi che ha creato il ripiano di marmo sul quale stiamo cenando. La stessa texture di macchie e venature, gli stessi colori. Un piatto sapido, fresco nel quale l’aceto Shiso esalta le note equilibrate di queste ostriche prodotte da oltre 110 anni dalla stessa famiglia vicino a La Rochelle nella Francia occidentale. Questa impressione vuole farti notare un mobile. Ditemi voi dove lo trovate un ristorante così!?!?

Le meduse continuano a nuotare attorno a noi, in sottofondo i rumori del mare mentre Chef Rasmus ci spiega che, a causa del forte declino dei loro predatori, sono proprio le meduse a star diventando un problema per l’ecosistema marino danese. Un’altra specie infestante è la Rosa Rugosa. Lo Chef ci presenta un impressione chiamata Double Trouble ( doppio guaio ) in cui questi due ospiti indesiderati delle coste locali vengono serviti insieme: medusa cruda marinata nell’olio ricavato dalla Rosa arricchita con giusto un pizzico di coriandolo ed erbe trovate sulle spiagge.

Qui succede qualcosa di atipico. Stai mangiando un ingrediente per noi inusuale, ne assapori la consistenza, trovi un equilibrio tra le varie spezie e il fondo di pesce arrostito e il the gyokuro, ma la testa è presa dal riflettere su come un altro equilibrio, quello dei mari, si stia ogni giorno complicando sempre più.

Le acque della Danimarca sono lo scenario di un’altra ingiustizia sulla quale riflettere: la pesca a strascico danneggia una qualità importante di scampi che poi diventando invendibili. Uno spreco di risorse che ad Alchemist diventa un’opportunità. Con i gusci e l’estratto della parta grassa del fondo dei frutti di mare viene creato il “cioccolato” di questo bonbon al cui interno troviamo la tartare di code con yuzu e ginger. Un grano di sale rende questa pralina rossa ancora più preziosa perché sotto le luci delicate e precise che illuminano ogni postazione, risplende come un diamante. Il sale viene proprio dal mare dell’isola di Læsø dove questa pratica di pesca poco delicata ha spinto lo Chef a creare un altro piatto che alla fine è ancora un scusa per riflettere.  

Siamo così immersi nell'animazione che ci investe con il suo blu e i suoi rifiuti danzanti, che quando ci informano che più di un terzo del merluzzo pescato nei mari del nord contiene plastica, non ci sorprendiamo. E’ ovunque, viene trovata anche nei molluschi a 11km di profondità delle fosse delle Marianne. Plastic Fantastic è un’impressione tra le più insolite ed esteticamente difficili. Su un supporto rotondo di plexiglas, nel quale troviamo marmorizzati gli stessi rifiuti di plastica che potremmo ritrovare su qualche sfortuna spiaggia, poggia una generosa parte di mascella di merluzzo insaporita con del midollo affumicato e arricchita da del formaggio Conté. Il tutto è avvolto in un sottile velo di plastica stropicciata. Da Mangiare? Eh beh si! Se lo fanno i pesci! Ma noi siamo fortunati perché in realtà è fatta con la versione disidratata del fondo del merluzzo stesso e questo packaging tipo merendina del Mulino dona a questa impressione croccantezza e sapidità.

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Plastic Fantastic

Il dome a massimo regime ospita fino a 48 ospiti in una sera e lo fa tutte le sere visto che Alchemist è sold out ogni mese sulla piattaforma tock in 5 minuti dall’apertura delle prenotazioni.

48x40+pairing di vino o non alcolici = la matematica ci fa presto capire che il personale di sala e cucina non solo deve lavorare con un tempismo e una precisione ultra militare, ma ognuno dei giovani membri dello staff deve essere in grado non soltanto di descrivere pagine e pagine di ingredienti ma tutta la narrazione che sta dietro ad ogni piatto, in 3-4 lingue diverse. Ci riescono e lo fanno con tale entusiasmo da farti sembrare il loro vero primo ospite. Non c’é stato un momento in cui abbiamo atteso un minuto in più un’impressione e anche quando all’improvviso abbia richiesto di fare un bis, la nostra richiesta è stata accolta con un sorriso ed è riuscita magicamente a incastrarsi nel flusso dei piatti.

La prima scena del terzo atto finisce come era iniziata, con un ricordo di infanzia dei più basilari e condivisi da moltissimi bambini. Niente coltello, forchette o bacchette. Un guanto da sci come posata. Ve l’avevamo detto che non è un ristorante come gli altri. Quante volte ci siamo ritrovati a mangiare la neve? Ve lo ricordate? Qui da Alchemist vi viene servita una palla di neve fatta di acqua di pomodoro gelata e bagnata con dell’olio extravergine di Sicilia. La presentazione più glaciale per una combinazione di sapori totalmente mediterranea. Non c’é ospite che non venga coinvolto in questa provocazione che in tutta onestà è buona anche perché quando vedi una persona cara ridere di se stesso e di te seduti ad un tavolo, anche una palla di neve al pomodoro è veramente deliziosa.

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Palla di neve

Cambio di scena, cambio di animazione. In pochi secondi emergiamo dai mari inquinati e ci troviamo a novembre in Giappone quando le foreste si accendono dei colori dell’autunno e tra le foglie mosse dal vento intravediamo in lontananza il Monte Fuji.

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Scena del monte Fuji

Le impressioni continuano con un ritmo serrato e costante, adesso gli ingredienti si rimbalzano tra Spagna e Giappone, ogni boccone è molto piacevole e ti forza a concentrati perché è piccolo e finisce subito, come se non dovesse distarti dai colori del fuoco che questo paesaggio nipponico ti accende di fronte a i tuoi occhi. Tutte queste impressioni ci vengono presentate personalmente dallo chef che si capisce sia molto fiero del grande sforzo che ha investito nel create un equilibrio di contrasti tra i vari golosi ingredienti utilizzati e tecniche così complicate che ascoltandole possiamo solo far sì con la testa.

Ma dal calore dei colori autunnali ci trasferiamo nello spazio siderale, siamo in orbita attorno alla terra con un animazione così veritiera da farla sembrare realtà virtuale. Ma attenti, questa non è una crociera da turista perché in orbita con noi ci sono decine di tonnellate di rifiuti spaziali che siamo miracolati di sfiorare una ad una. Montagne russe spaziali come movimentate sono le successive impressioni: arriva il piatto più instagrammato, più irriverente, più coinvolgente…. Il Tounge Kiss ( bacio alla francese ).

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Tongue Kiss

Una grande lingua umanafatta di silicone afferrabile da un manico tipo ghiacciolo, ricoperta da una lingua di agnello brasata per 4 ore e sminuzzata finemente per poi essere glassata da una salsa leggera di barbabietola ed un emulsione di aceto di sherry e olio di pepe nero. Il tutto decorato da minuscoli fiori. Questo piatto è uno specchio. Ci fa capire chi siamo. C’è chi si rifiuta all’inizio neanche di guardalo, altri lo afferrano e si guardano in giro cercando l’approvazione o forse che nessuno guardi nella loro direzione. I più scanzonati stanno subito al gioco e si ciucciano e slinguazzano questo inusuale ghiacciolo dal sapore un po’ aspro ma tutti, nessuno escluso, dopo i primi assaggi guardando i propri commensali che nel frattempo si sono uniti a questo bacio appassionato, e tutti ridono e si prendono in giro. Sono già passate più di due ore dall’abracadabra che ci ha dato il benvenuto in questo luogo totalmente inaspettato e Chef Rasmus sa che oltre che a sgranchirci le gambe, magari abbiamo bisogno di fare i monelli in gita scolastica.

Altre impressioni continuano a meravigliarci alla vista, soddisfare il nostro palato, ma senza creare uno shock che poi potrebbe spezzare questa catena di assaggi, che sembra ancora infinita. Adesso il dome si è tinto di rosso, attraversato da vene e arterie pulsanti come pulsante è il suo cuore altro 5 metri che sentiamo fare pun pun! pun pun! pun pun! Ci siamo fatti piccolissimi, siamo dentro un corpo umano e ne sentiamo addosso le vibrazioni vitali mentre assaggiamo un piatto di piccione francese essiccato 14 giorni in cera d’api e poi, per contenerne i succhi, cotto nella stessa cera o una tapas di joselito vintage 2014, quasi più raro di La Tache 1988 di Romanée Conti.

Tra impressioni che possono incuriosire ma non ci ricorderemo a lungo arriva un altro piatto denuncia: Burnout Chicken. La coscia di pollo viene servita in una gabbia dello stesso diametro della superficie di cui dispone un pollo allevato nei lager a batteria. Ti rendi conto che è veramente piccolissima. Per mangiarlo, devi prima liberare il pollo dalla sua gabbia. Il piatto è composto da un'ala di pollo disossata ( proveniente da un allevamento libero e organico ) farcita con un soufflé di pollo, glassata con salsa teriyaki infusa in aragosta e ricoperta di fieno bruciato. Pur mangiando pollo tutti i giorni quanti di noi hanno preso in mano una zampa di gallina, con unghie e tutto il resto? Non molti credo. Il primo boccone è timido, il secondo più convinto, l’aroma deciso di fieno conquista e ti fa sembrare come se quella coscia fosse stata cotta da quel fieno. Quella gabbia è veramente piccola.

Cambio di scena, siamo ancora piccolissimi e come Puffi puffiamo in una foresta incantata dove funghi sono grattaceli, piccoli insetti sono creature gigantesche e le farfalle grandi come aerei, ti atterranno in testa. La parte salata è finita, ospiti che sono arrivati prima di noi stanno già lasciando il dome, altri sono ancora al Plastic Fantastic. Noi ci stiamo divertendo. Dopo quasi tre ore o hai capito il gioco e ti godi ogni sorpresa o tristezza ti colga. 

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Andy Warhol

Tra le 4 impressioni dolci che ci vengono servite quella che ci colpisce di più si chiama Andy Warhol ed è la perfetta riproduzione in gelato della banana che l’artista aveva disegnato per la copertina del mitico LP dei Velvet Underground & Nico del 1967. Sa di banana, ovvio! è buona, non troppo dolce come piace a me, ma il sapore della citazione vintage e la sua purezza visual crea un momento d'intesa nel quale Chef Rasmus mi porge il piatto e io non posso trattenermi dal dirgli: “ di quell’album il pezzo There She Goes Again sulla facciata B è il mio preferito”…. Lui mi guarda, gli scappa una mezzo sorriso, che per lui è già tanto roba e risponde: ”allora non devo aggiungere nient’altro, enjoy!”

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Lasciamo il Dome, entriamo in una stanza labirinto buia come la pece il cui percorso è marcato da luci neon multicolori molto pop. Alla fine troviamo un’altra attrice, ha grandi occhi dolci e movenze da serpente, e senza dire una parola ci porge un lecca lecca a forma di cavalluccio marino. Scopriamo più avanti che ha lo stesso sapore delle caramelle favorite dello Chef da bambino. Il cavalluccio è stato scelto perché è un animale che ci può insegnare molto sul tema dei ruoli dei vari sessi nella società, il maschio all’occorrenza si accoppia con un altro maschio o partorisce e porta avanti la crescita dei piccoli.

Siamo ancora a bocca aperta non soltanto per il lecca lecca ma perché Chef Rasmus ci mostra la cucina. Tutte, e dico tutte le 30 persone della brigata ci guardano, sorridono e salutano, mentre lo chef armeggia con un touch screen orizzontale 70cmx100cm posizionato davanti al pass dal quale si controlla tutto.

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Terra qui è Alchemist sembra dire il capitano di questa Enterprise gastronomica. Altro che foglietti e evidenziatori. Qui siamo in un'altra galassia.  Un ascensore ci fa salire di un piano dove arriviamo in una lounge quasi convenzionale se non fosse che le luci sono funghi danzanti o meduse degne di Avatar che sembrano fluttuare in aria mossi dal vento o dalle maree.

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Il nostro caffè viene accompagnato da tra gli altri, un piccolo gioiello: una gemma di ambra al cui interno troviamo una formica rossa intrappolata, sembra da millenni. Se ne riuscissimo a estrapolarne il DNA magari potremmo ricominciare un altro Jurassic Park. La formica è vera, l’ambra è ottenuta da una cera di miele e ginger e si scioglie in bocca, piano piano però, come il tempo che ci prendiamo per renderci conto di quello che abbiamo appena vissuto.

Pepite di ambra spesso si trovano sulle spiagge della Danimarca e trovarle è uno dei passatempi preferiti dei bambini. Noi oggi siamo tornati un po’ bambini.

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Ambra

Prima di alzarci, perché oramai sono 5 ore che siamo qui, ci viene regalato il menu. Ancora moltissimi ristoranti famosi e stellati sono reticenti a dartelo, spesso è solo un foglietto, tante volte l’ho trovato inesatto e senza i vini. Il menu di Alchemist lo apri e un pop up con i simboli di ogni scena come i più bei libri per bambini: dalla Statua della Libertà alle farfalle, dalle costellazioni a i cavallucci. Un’opera d’arte di chissà quale genio degli origami. Una vera perla nella mia collezione di menu.

Lo stesso ascensore ci fa scendere di due piani e ora il pavimento si accendere e l’animazione che vediamo sotto i nostri piedi ci fa sembrare come se stessi precipitando nel vuoto cosmico di una galassia sconosciuta, o forse stiamo tornando sulla terra. Usciamo da una piccola porta, è buio, la musica reggae risuona ancora in lontananza, un taxi ci aspetta, ci voltiamo, la porta non c’è più.

Giuro non c’è più, non si vede. Questo tassista  si trova esattamente dove ci aveva lasciato il greco, quel muro l’avevamo osservato bene, una porta lì non c’era prima e men che meno ora.

Molto di quello che vi ho raccontato sembra fantastico e irreale. Se non credete alle mie parole sta a voi allora partire per la lontana galassia di Alchemist e lasciare che i vostri 5 sensi si lascino rapire dalla visione di uno giovane Chef che ha molto di Yoda, del suo grande team internazionale e da un investitore paziente come determinato. La cucina olistica ha trovato qui il suo tempio e come per molte fedi e credi non penso vadano capite subito appieno! Questo esperienza insegna, provoca e meraviglia. Una cosa è chiara, niente sarà più come prima!

“ Yes we are Italians…… oh really, have you been to Venice? You too? Glad you liked it”….

Gli devono aver offerto un cambio di gomme gratis a i tassisti di Copenaghen quando gli hanno venduti I pacchetti viaggio per la serenissima.

Foto gentilmente concesse da Alchemist

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