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Crollo del food delivery, ordini dimezzati: è crisi o c'è dell'altro?

Dimezzati gli ordini a casa i numeri indicano che il food delivery stia crollando? Crisi o c'è dell'altro?

Crollo del food delivery, ordini dimezzati: è crisi o c'è dell'altro?

Sono due giorni che non si parla d’altro se non del calo degli ordini online e delle richieste di delivery in città per la ristorazione. In città, sì.

Perché è sui grandi numeri che possono venir fuori delle percentuali significative, nonché sui metodi con una certa tracciabilità. Questo, probabilmente, fornisce un dato falso per una serie di motivazioni:

Il Delivery in provincia

La scelta è sempre più evidente: la consegna a domicilio dal locale di quartiere (che spesso si trova ad un massimo di 3km di distanza dal nostro citofono) è schizzata altissima. La scoperta dell’acqua calda, sì, perché non ci voleva un patentino per capire che minore è la tratta e più sicura è la riuscita di una pietanza calda e poco traumatizzata. Poi si potrebbe discutere di approccio scientifico e organizzazione di una linea strutturata appositamente per il delivery ed a lungo raggio, ma questo riguarda quei pochi che non hanno pensato a inviare il loro cibo e basta piuttosto si sono applicati per trovare il modo migliore di raggiungere la propria clientela e ridurre al minimo i traumi.

Insomma, non è automatico che a un grande nome corrisponda un gran servizio di cibo a domicilio. Purtroppo la nostra mente gioca brutti scherzi, ci siamo così abituati a pensare a certi nomi come simboli di perfezione che abbiamo dimenticato di valutare quella che si chiama “condizione non ottimale”; abbiamo fatto fatica ad entrare nell’ottica di una nuova normalità (che resti o si cancelli a breve, ormai poco importa, bisogna mettersi in testa che in certi casi conta solo il ‘qui ed ora’). Tutto è iniziato con il “sostieniamo i piccoli” per poi diventare più che illuminante: “rende meglio, mi conviene.“.

Delivery extra-piattaforme

I dati ci dicono che , nella sola Italia, l’ultimo anno ha portato un incremento del 200% nell’utilizzo dei colossi delle piattaforme delivery. Va da se che una perdita del 30% nelle ultime settimane può avere diverse ragioni:

  • Non si sta di certo affondando, i numeri parlano chiaro; seppur si confermasse un trend del -30% sarebbe comunque un incremento del 140% rispetto al 2019. E poi non vi sembra un tantino allarmistico parlare di crisi per un -30% nelle due settimane in cui vi è stata la Pasqua? È saltato un weekend. Ve li immaginate milioni di italiani che, mentre erano alle prese con i gloriosi piatti regionali delle feste, con una fetta di colomba in una mano e la pastiera nell'altra, a ordinare pizza per colmare un improvviso languorino? Io personalmente no.
  • Probabilmente dopo un anno a mangiare (anno in cui la digestione non si è mai interrotta nel loop ”lockdown-panificazioni casalinghe-estate-zone a colori-Natale-carnevale-Pasqua”), ci può stare che le persone si plachino ad un certo punto anche perché sono ormai annoiate. D'altronde storicamente in questi mesi, anche in considerazione del cambio di temperature, ci si allontana un po' dalla tavola, Insomma esistono ancora le mezze stagioni.
  • Molto più spesso di quanto si pensi, a furia di aiutare il piccolo si dà vita a veri e propri miracoli: le pizzerie di quartiere (già improntate dalla nascita su asporto e delivery) trovandosi dinanzi all’incremento delle richieste, si sono mobilitate attrezzandosi con i loro mezzi di consegne, Questo è un fatto che si aggiunge alla peculiarità - sempre principalmente italiana - di preferire il pagamento in contanti al momento della consegna (i dati ci dicono di un incremento dei pagamenti digitali del solo 34% in Italia, nonostante l’impennata del delivery come effetto del Covid e delle restrizioni agli spostamenti; numeri bassi malgrado la crescita dell’87% in Europa e del 131% in Gran Bretagna dello stesso fenomeno).

Il fattore psico-emotivo, la noia della ripetitività

Non dimentichiamoci mai l’impatto psicoemotivo di ogni singolo evento e di tutta questa storia: delivery e lievito sono solo due delle parole che ci riporteranno per sempre al campo semantico della pandemia. Allo scossone che ci ha spinti verso il delivery, corrisponderà uno scossone di reazione, uguale e contrario, che pian piano riporterà i numeri ad una certa normalità. A maggior ragione poi, augurandoci di poter tornare a sederci ai tavoli del ristorante al più presto. E magari anche ad ordinare qualcosa di esaltante, perché anche questa mancanza contribuisce all’innalzarsi della noia: c’è una conclamata ripetitività nelle proposte, nelle nostre scelte, nelle cadenze. Mi spiego.

È ovvio che qualunque attività provi a rendere al meglio, quindi - sia per avere una riuscita quasi certa, sia per necessità di ammortizzare i costi - la proposta si assottiglia. Il cliente è, quasi per definizione, un abitudinario per cui (quasi sicuramente) una volta provati i 2 o 3 prodotti che desidera come “novità”, poi tenderà a ripetersi scegliendo quello che ormai è noto abbia una migliore resa e tenuta. Il bisogno di una routine - che ci faccia paradossalmente sentire liberi - ha portato ad uno standardizzato modo di agire: una “coccola“ infrasettimanale con prenotazione tranquilla, il venerdì immancabile sushi ed il sabato non è veramente sabato senza la pizza. Questo tipo di agtteggiamento ha scatenato il panico del sovraffollamento degli ordini e del ritardo nelle consegne per l’orario prestabilito.

Cosa ne è derivato? Che si ordinano sempre più Margherita e Marinara e che ci si prenota di martedì per una consegna di sabato.

Il delivery è realmente in crisi?

Dunque, alla luce di tutto ciò, non dovrebbe essere difficile immaginare che certe cose, se consegnate in una scatola, non possono in alcun modo arrivare allo stesso livello dell’esperienza a 360 gradi che siamo abituati a vivere al ristorante. Che poi ci siano quelli bravi davvero, oltre che in cucina soprattutto nello studiare e nel pensare a come valorizzarsi al meglio “intuendo” che non si può portare a domicilio la stessa esperienza del locale (un esempio lampante è 8Pus di Giuseppe Iannotti). è un altro discorso ancora; il ristoratore che in questo anno si è approcciato e/o migliorato nel delivery dovrebbe avere l’onestà di farci disporre di una proposta consona e mediata tra i piatti che sono firmati dalla loro identità e il fatto stesso che debbano arrivarci a casa. Non serve prometterci quello che non possono dare: si chiama consapevolezza.

Abbiamo capito che esistono metodi e possibilità anche per la cucina stellata, che sembrava esser diventata (nel primo lockdown) la Cenerentola del mondo food: il ready to cook; le box con le istruzioni per rigenerare i piatti; la consegna solo entro un certo raggio, piuttosto che in tutta Italia e con dei costi di spedizione refrigerata pari ad 1/4 del menu selezionato; la scelta di cambiare la propria offerta investendo sull’ormai noto “tempo a disposizione” e quindi la virata sui grandi lievitati o sulla filosofia del “arrivo in casa vostra e allora faccio come a casa mia” puntando dunque su una cucina più golosa e più concreta ed ecco spiegate le gastronomie.

I modi ci sono se solo si inizia a prendere in considerazione (seriamente!) di costruire un delivery che non sia momentaneo e che non sia tappabuchi, bensì che abbia una dignità, una coerenza e soprattutto il rispetto per chi lo sceglie.

Forse ci sono delle domande che potremmo farci: quanto ho ordinato nell’ultimo anno è minimamente paragonabile alla somma degli ultimi 10 anni? Questo discorso così come vale per me, sarà valido per quanti milioni di persone? Quindi, come stanno messi i ristoratori? E quelli di quartiere potrebbero aver incrementato la produzione e le entrate? Se ordino di sabato alle 20.30 perché c’è la partita, quanti come me vorranno lo stesso servizio? E come posso credere che quell’ordine potrà essere consegnato nell’orario di massima richiesta? Nonostante si possa dire che esiste la possibilità di organizzarsi, quanto incide questo continuo dover restare a galla (in un limbo di indecisioni, apri-e-chiudi etc) sulla scelta dei ristoratori di non addossarsi nè impelagarsi in ulteriori spese per un qualcosa che ancora potrebbe essere solo passeggero?

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