Dimitri Mattiello: l'esperienza del catering per un nuovo concetto di delivery.
Dimitri Mattiello, uno dei primi cuochi a credere nella delivery di alta cucina
Cambiamento.
Si parla solo di questo. Di quanto cambierà la ristorazione, quanto cambieranno le nostre abitudini, quanto cambierà la cucina, quanto tornerà in auge la tradizione e quanto servirà la sostenibilità ed il km zero, cosa rappresenterà la delivery e quanto diventerà protagonista.
Cambiamento, insomma.
È questo che tutti si aspettano, ma quanti davvero reagiscono concretamente?
Dimitri Mattiello, sesta generazione della sua famiglia in cucina, ha applicato tutte le sue conoscenze, la sua voglia di ottimismo e il suo desiderio di restare a casa ma con i suoi clienti inventandosi un modo tutto suo di fare delivery e arrivare personalmente nelle cucine di tutti.
Dimitri ciao, come procede?
Diciamo tutto bene a parte questi intoppi, questi blocchi posti e imposti.
Il nostro business è fatto molto di eventi e catering, anche di grosse dimensioni e soprattutto il ristorante Casa Dimitri. C’era in progetto la nuova apertura a metà Marzo ma ovviamente abbiamo rimandato e vedremo nelle prossime settimane.
Casa Dimitri ha alla base del suo concept il far sentire a casa gli ospiti, ma tu sei effettivamente arrivato a casa dei tuoi clienti in questo periodo. Raccontami un po' di questa idea di delivery che hai lanciato.
Il ristorante in questi mesi è stato utilizzato per fare un prodotto delivery un po’ diverso da quello a cui siamo abituati. Due giorni dopo la chiusura e sulla base del fatto che stavamo ragionando già da un po’ su questo tipo di prodotto, siamo partiti subito con la nostra proposta ovvero prendere i nostri piatti classici, i nostri cult e li abbiamo scomposti per creare dei kit. In pratica, ad esempio, non arriva il risotto pronto ma mandiamo il riso, il brodo, il formaggio e l’occorrente per mantecate, il l tutto etichettato e con allegata una ricetta mai più lunga di 10 righe. Solo i passaggi rapidi da effettuare.
“Fai bollire il brodo.
Tosta il riso con un filo d’olio per due minuti.
Aggiungi metà del brodo. Mischia per 12 minuti.
Aggiungi il sugo. Chiudi la pentola.
Tre minuti di riposo. Mantecazione. Servizio.”
Anche perché in ciò che si trova all’interno delle box sono già ultimati i passaggi più complicati. Per dirti: mettiamo un burro già con sale, olio, pepe che deve solo essere aggiunto in mantecazione.
Una sorta di versione rapida della nostra cucina date le prelavorazioni.
Beh, la modalità che tu hai messo su aveva, oltre al lato pratico, un lato umano.
Assolutamente! Parliamo di un tipo di delivery senza problemi di tempi, distanze e temperature, con il risultato da ristorante quasi assicurato ma con in più la soddisfazione del cliente che si è sentito partecipe e artefice della preparazione. La parte simpatica che fa entrare la dimensione gioco ma anche quella umana è che alla sera programmiamo le videochiamate con i clienti che hanno ricevuto la consegna, per seguirli nella preparazione. Una cosa che è stata divertente perché interattiva, ci ha aiutati a tenerci impegnati perché stavamo comunque in ristorante fino alle 23 e i clienti si facevano coinvolgere. Una sorta di videoricette 2.0.
Come vi siete organizzati per essere disponibili per tutti e come è andata?
All’interno delle box veniva inserito un numero di telefono da chiamare e ci siamo organizzati in modo che ognuno dei cuochi più io avessimo massimo 3 chiamate a testa (ovviamente un po’ anche anche a seconda del numero di consegne previste). A fine serata io comunque facevo un giro di chiamate o mandavo un messaggio a tutti coloro che avevano fatto l’esperienza. Ad una famiglia che ha praticamente ordinato settimanalmente, son andato di persona a consegnare ed ho regalato la mia giacca da chef in segno comunque del mio affetto per coloro che ti dimostrano tanta fiducia e tanta vicinanza. È stato un modo anche per tenere compagnia alle persone ed è stato messo a punto per riuscire a mangiare bene per quanto si possa essere inesperti. Ti faccio un esempio: la millefoglie è un dolce che va molto ma di cui giustamente ognuno ha un gusto, ovvero più croccante, più farcita, con zucchero a velo o no. Noi abbiamo inserito la sfoglia cotta, sac a poche con crema pasticcera pronta, gocce di cioccolato e zucchero a velo, così che ognuno possa comporla a suo gusto ed al momento.
Quali sono stati i vantaggi riscontrati con queste modalità?
Da un punto di vista tecnico per noi ha due valori aggiunti: il numero di pasti consegnabili e la distanza possibile, ovviamente entrambe legate ai tempi che abbiamo in un qualche modo “bloccato”. Io dovevo consegnare quanti più pasti pronti possibili e se avessi preparato tutto io, il pasto caldo insomma, avrei avuto il problema del raggio di azione (10km dal mio ristorante); anzi, direi che un risotto non avrei mai potuto consegnarlo. Così facendo, invece, ho allungato il raggio di azione ma anche i tempi di consegna perché si può consegnare alle 3 del pomeriggio per cucinare la sera. Ti ripeto: tutto è prelavorato ma comunque a pochi minuti dal compimento oppure è ultimato e solo da rigenerare.
Effettivamente abbattendo l’ostacolo dato dalle temperature e dall’assemblaggio del piatto, puoi giocare su numeri, distanze e menu più ampi.
Sicuro!!! Nel nuovo concept, quello che avremmo dovuto aprire a Marzo e ovviamente abbiamo rimandato, io ho 40 coperti quindi nel giorno di Pasqua avrei fatto 50 coperti più o meno. Con questo sistema abbiamo fatto 160 pasti: abbiamo esteso il raggio di azione da Verona fino a Padova (Vicenza è in mezzo) ed abbiamo iniziato a consegnare dal sabato. Perché è tutto pronto, abbattuto, sottovuoto con azoto, solo da rigenerare.
Qui a Pasqua si mangia capretto noi abbiamo potuto fornire doppia scelta e abbiamo inserito anche una guancia di manzo. Il capretto era già lavorato e disossato con la sua salsa: il medaglione di capretto andava bene a 40 gradi ma la salsa doveva arrivare a 60 gradi per avere la giusta consistenza così abbiamo dato indicazione di mettere l’intero sacchetto in pentola con acqua calda per 5 minuti e dopodiché si poteva gustare il medaglione di capretto con la sua salsa senza problemi di cottura o salatura. abbiamo anche etichettato ogni preparazione con un livello di difficoltà che andava da semplicissimo a semplice.
Avete avuto un bel successo quindi. Continuerai con le delivery anche dopo questo periodo?
A premiarci credo sia stata la velocità a partire. I primi in zona. Abbiamo creato una corrente, i ristoratori poi sono bravi a guardare gli altri.
La delivery, poi, sono assolutamente convinto che possa entrare a far parte a pieno titolo nel nostro mondo. C’è sicuramente stato un cambiamento in tutti i settori e nel nostro in particolare: un po’ per le distanze da tenere e un po’ per il concetto di condividere meno. Io penso che nell’immaginario -se non altro del primo periodo- non so se torneremo alle vecchie abitudini. Io per esempio metto una pagnotta su ogni tavolo e il concetto è romperla insieme tra chi condivide il tavolo, e non penso che potrò tornare a farlo.
Qualsiasi sia la verità ci hanno spaventati e ci hanno condizionati. Il mondo della ristorazione cambierà. C’è posto per nuove idee e per nuovi modi di vedere la cucina quindi io continuerò con la delivery che può essere un modo divertente ed esclusivo. E voglio continuare a tenerlo con il metodo della videochiamata, anche perché quando riapriremo credo che i numeri delle delivery saranno più contenuti quindi può esserci tutto il modo e il tempo di gestirle dalla cucina stessa. Può essere interessante far entrare il cliente in cucina mentre si sta lavorando. Il ristorante nuovo ha 40 posti quindi intrattenere una videochiamata veloce durante il servizio è fattibilissimo. Quindi io la tengo in piedi.
Come nasce Casa Dimitri?
Io vengo da una famiglia da sempre dedita alla ristorazione di cui io sono la sesta generazione. Nel 2012 mi sono staccato da quella che è la nostra ristorazione di famiglia legata al cognome Penacio (esistiamo da oltre 100 anni a Vicenza) ed ho creato un mio prodotto prima con Dimitri Restaurant che è stata la culla di tutto il mio progetto, con eventi e catering e partner di Confindustria Vicenza. Poi è nata la voglia di di un luogo più intimo, più casa, più raccolto e più dedicato per cui nasce Casa Dimitri.
La tua famiglia fa cucina regionale, tu continui la tradizione? Quanto sei legato al km zero?
Noi facciamo cucina “meno regionale” solo nel senso che siamo “meno osteria”, abbiamo piatti legati al territorio ma presentati in maniera molto moderna e innovativa quindi lavorati nelle tecniche e nelle strutture. C’è una forte impronta identitaria regionale ma con una forte evoluzione. Per quanto riguarda il km zero sono convinto (e su questo lavoro molto) che un ristorante di una certa zona abbia la responsabilità nei confronti del cliente di dovergli presentare prodotti della zona specifica in cui si trova. Siamo a Vicenza, abbiamo prodotti vicentini. Questo però non deve essere o diventare una gara a chi ne ha di più o ad avere esclusivamente quelli. Sicuramente se vieni a Vicenza nel mese di maggio e qui ci sono grandi coltivazioni di asparagi bianco, allora io non posso pensare che tu vada in un ristorante che non ce li abbia in carta. Io lavoro molto sul km zero ma non è per me limitante: nei colli berici non ci sono allevamenti particolari o meglio ci sono buoni manzi ma ne trovo di migliori se li ricerco sul mercato. Il tartufo nero dei colli berici è molto particolare quindi nel momento in cui c’è, lavoro con questo e non vado a comprare quello di Norcia ma non perché io non voglia utilizzarlo bensì perchè un cliente che viene a mangiare sui colli berici credo voglia mangiare ingredienti autoctoni (come il nostro tartufo) sebbene possano essere magari un po’ meno pregiati rispetto ad altri. La mia idea è di rispettare molto la terra in cui ci troviamo ma come tutte le cose c’è un limite: se scegliamo di fare cucina di un certo livello dobbiamo anche saper riconoscere il limite che il nostro territorio ha e ricercare materie prime di qualità. Ti faccio un esempio: non posso pensare che un cliente chieda pesce e gli si risponda “non c’è il mare qui”.
Come vedi la storia del distanziamento?
La ristorazione di un certo livello ha già delle distanze che a volte superano quelle imposte da queste nuove norme. Soprattutto nei locali che hanno una o due stelle stelle, nel range della sala di cucina gourmet e di finedining in cui vogliamo collocarci noi, ci sono già determinati standard. Il nuovo ristorante ha i tavoli a distanze maggiori di quelle previste, si tende a dare privacy. Ci sono 4 salette ognuna con 4 tavoli: considerando i tavoli da 1.20 metri e la sedia che è una poltrona da 60 cm, è semplice capire che con gli spazi opportuni siamo sempre ad oltre il metro di distanza richiesto. Quindi io credo che il problema sia dei locali più piccoli, quelli da 50 coperti in 30mq.
In questa quarantena hai cucinato e fatto videochiamate, ma cos’altro hai fatto per te? E cosa ti è rimasto?
In quarantena, come hai detto, siamo stati in cucina per le delivery ma abbiamo anche approfittato del maggior tempo per approfondire: abbiamo ripreso in mano il ricettario e abbiamo rielaborato tutti i piatti, non cambiandoli ma andando a studiarli singolarmente, suddividendoli in ingredienti, cotture e preparazioni perché ora c’era il tempo, ahimè, per farlo. Una cosa importante che ho fatto è stata andare a ricercare una serie di ingredienti e cotture che si utilizzavano qui nei colli berici come quella dello spiedo, i cui si faceva largo uso tradizionalmente, perché l’idea era di inserire una serie di piatti estremamente legati alla storia vicentina, con l’arrivo dell’autunno, ovviamente sempre presentati in una chiave molto molto ricercata.
Quello che più mi è rimasto è stata la riscoperta dei social, ho capito che in questo momento erano l’unico modo per esserci. L’utilizzo di Instagram o Facebook ma anche della stessa videochiamata è servito molto a me per sapere il cliente cosa si aspetta ma anche a capire quanta è la fiducia del cliente. Ciò che più volevo era stare vicino al cliente e ho imparato a dare nuovamente importanza alla parola grazie.
Tutto questo mi ha riaperto gli occhi, mi ha fatto dare un valore concreto anche dei rapporti umani.
Hai un consiglio da dare ai tuoi colleghi?
Quello che dico, che sento di dire ai miei colleghi è che oggi abbiamo la possibilità di far vedere di che pasta siamo fatti. Sono convinto che i fuochi di paglia non dureranno e sono convinto che si tornerà a cercare le cose concrete, che non per forza vuol dire cose tradizionali o storiche, intendo che il cliente quando si muoverà cercherà una consistenza importante, quindi cercherà dei locali che abbiano sì una buona cucina ma in cui l’80% sia ospitalità che è ciò che oggi sottolinea davvero la serietà di un locale. Sono cresciuto in una famiglia che mi ha sempre insegnato e ricordato che l’ospitalità è la prima cosa. E sono convinto che mai come adesso potrà essere una carta importante in quanto bisognerà essere molto bravi a far sentire le persone a casa con queste disposizioni: essere vicini pur essendo distanti.
Bisogna stare molto attenti anche a come ci si pone, anche se si sta banalmente facendo rispettare qualcosa che ci hanno imposto. Bisogna essere bravi a gestire questa cosa ma senza tirarci la zappa sui piedi.
Il cambiamento di Dimitri è stato rapido, quasi un adattarsi al tempo e alla richiesta. Eppure ha fatto in modo che fosse il tempo ad adattarsi ai suoi piatti pur di entrare fin nelle cucine dei suoi clienti direttamente dalla sua di cucina. Insomma: Dimitri in casa con Casa Dimitri.