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Il Mito della Fata Verde tra Decadentismo e Leggende Metropolitane

Storia e leggenda dell'assenzio. La fata verde

Il Mito della Fata Verde tra Decadentismo e Leggende Metropolitane

Prendete un calice, versatevi del senso di disfacimento e di contrasto sociale, un po’ di smarrimento della coscienza unito alla crisi dei valori di fine ‘800 e aggiungete un sano disgusto per quella stessa borghesia, conformista e perbenista, che prima aveva combattuto per il trionfo degli ideali nel 1789 e che, dopo essere divenuta depositaria dell’economia per i propri interessi, voltò le spalle alle masse popolari.

Adesso mescolate il tutto col disprezzo per l’imperialismo, che spacciava la sete di espansione per civilizzazione, metteteci una buona dose di insostenibile leggerezza dell’essere, di voglia di evadere la realtà e aggiungeteci un pizzico di sfiducia per positivismo e scienza: otterrete un’epoca di dilagante cinismo, di vittimismo, malinconia e autodistruzione… insomma otterrete proprio quello che ci vuole per ingenerare quella caratteristica ventata di follia fantasmagorica tanto cara a quel simpatico gruppetto di libertine, intellettuali e stravaganti canaglie: i poeti maledetti.

Il Mito della Fata Verde tra Decadentismo e Leggende Metropolitane

Per meglio descrivere il simbolismo e il decadentismo in Francia, cosa che in fondo faremo fare ad altri e che costituiscono semplicemente un pretesto, occorre però citare un altro ingrediente almeno, qualcosa di ascrivibile ad una formidabile sorsata di veleno… si, veleno tanto era amaro, o di alcolico tocco intuitivo, se preferite, una sorta di elisir dell’ispirazione, un cazzutissimo passepartout per aprire le porte della percezione insomma:

l’assenzio.

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Ehi, che v’aspettavate il latte + come in Arancia Meccanica, magari con The Doors che suonano un motivetto dal vivo in qualche caffè letterario verso la fine del XVIII secolo? Spiacente, per quanto il quadretto sia carino in effetti, ma il latte era roba da ricchi all’epoca e non veniva certo in mente di macchiarlo manco col caffè, inoltre Stanley Kubrik, Jim Morrison & company, che ve lo dico a fare, non erano ancora apparsi sulla Terra, però con la Fata Verde, come venne soprannominato l’assenzio, un viaggetto ci veniva niente male… o almeno è quello che si va raccontando.

Alla Fata Verde infatti vennero attribuite le caratteristiche psicotrope tipiche delle droghe attuali, tanto da indurre i consumatori a credere che si potesse assurgere alla conoscenza e all’ispirazione attraverso il mondo onirico, la trance e le allucinazioni con qualche bevuta. Piace crederlo, ma non è così: ce ne volevano massicce dosi, magari condite con qualche goccia di laudano… si la tintura madre di oppio, avete presente?

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Fatto sta che l'assenzio, d’altronde come altre bevande e cibi del tempo, veniva contraffatto da sporchi affaristi con sostanze adulteranti e nocive quali alcol metilico, cloruro di antimonio, calamo aromatico, tanaceto comune, rame, solfato di zinco, indaco, con lo scopo di ottenere che qualche brodaglia di superalcolico assumesse il tipico colore verde. Senza ombra di dubbio l’uso sconsiderato di assenzio procurava effetti collaterali che vennero già ben documentati verso la prima metà del XIX secolo… convulsioni, ipotensione da vasodilatazione, diminuzione del ritmo cardiaco e difficoltà respiratorie e ne nacque una sindrome, l’absintismo, caratterizzata da iniziale benessere, successive allucinazioni e profondi stati depressivi... al giorno d’oggi la chiameremmo fase down. Émile Zola comunque ne descrisse le gravi intossicazioni nel suo romanzo L'ammazzatoio, pubblicato nel 1877.

Hai voglia tu a puntare il dito contro il tujone… e a trovarcelo magari in quegli intrugli! Purtroppo in quella robetta da due soldi, fatta per dissetare il bestiame della povertà, il terpene contenuto nell’assenzio latitava, ed erano principalmente i veleni impiegati dai contraffattori la prima causa di effetti gravissimi sulla salute. Bisogna anche considerare però, e questo grazie agli studi del chimico e biologo americano Ted Breaux, che durante il decadentismo i migliori assenzi raramente contenevano più di 20-30 mg di tujone per litro, la media si aggirava intorno ai 10 mg… pensate che le attuali normative CEE prevedono e ammettono la vendita di “absinthe” fino a un limite legale di 35 mg di tujone per litro che, per risultare nocivo dovrebbe essere elevato a 50 gr a litrozzo. Per dovere di cronaca andrebbe pure aggiunto che il tujone è molto simile per tossicità ad anetolo e fenitolo, quindi che dovremmo fare? Bandire piante come prezzemolo, salvia divinorum e non, alloro e rosmarino?

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Il punto però è semplice: per quanto l’assenzio sia fatto a regola d’arte e come Dio comanda, proprio per permettere la stabilizzazione della clorofilla in esso contenuta, bisognava arrivare ad una gradazione alcolica compresa tra il 45 ed il 75%, mica birra con la gazzosa, e come si sa l’alcol è tossico quindi ad un certo punto con l’assenzio, fosse pure quello fatto dai monaci cistercensi della certosa di Vattelapesca, a furia di alzare il gomito qualche mostro ce lo devi vedere per forza. O no?

La febbre da assenzio era decisamente alta e per dimostrarne la crescente se non forsennata sete, basta riportare le statistiche dell’epoca: dal 1880 al 1910 la produzione di Fata Verde era passata da 700 mila a 36 milioni di litri!

Una definizione dell’absinthe attribuita ad Oscar Wilde diceva più o meno questo:

Dopo il primo bicchiere, vedi le cose come desideri.

Dopo il secondo, vedi le cose come non lo sono.

Infine, vedi le cose come sono realmente,

che è la cosa più orribile al mondo

Però piaceva l’assenzio, altro che no, ma il suo declino, a parte le cause di natura sociale e le cervella che si sfragolavano a padri e madri di famiglia che ne ingurgitavano massicce dosi, n’ecatombe nazional popolare in pratica, lo si deve attribuire più che altro ad una campagna di vera e propria demonizzazione da parte dei commercianti di vino e di altri superalcolici, per tutelare chiaramente i loro interessi, e che ebbe come esito la proibizione al consumo nel 1915. La messa al bando dell’assenzio fu pedagogica ed infame allo stesso tempo: ma ce lo vedete voi un povero cristo, vittima di absintismo e squattrinato, a raggiungere quelle fiere vette alcolemiche a furia di bere rossi borgognoni a caso, tipo Grand Echézeaux? Indipendentemente dalla denominazione e dalla provenienza qualsiasi altro vino, rispetto all’assenzio, costava decisamente caro. La proibizione in Francia però fu facilitata anche grazie al divieto di bere assenzio imposto dal governo svizzero dieci anni prima a seguito di un fatto di cronaca nera: Jean Lanfray, un contadino di 31 anni, bevve a stomaco vuoto tanto di quel vino, cognac, brandy, crème de menthe e giusto un paio di bicchierini di assenzio, che uscì letteralmente fuori di testa, tornò a casa ed uccise la moglie e le due figlie per poi suicidarsi. Vabbè che l’assenzio sarà stata la fatidica ciliegina sulla torta ma Jean il disidratato s’era già bevuto l’ira di Dio intanto e senza possibilità di smaltita. E poi dicono che la Svizzera è neutrale!

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Ma chi inventò l’assenzio e com’è fatto?

La bevanda antesignana dell’assenzio risale al 1600 a C. ed era diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo ed in Asia Minore, veniva preparata esclusivamente per infusione con artemisia ed anice verde. La macerazione avveniva in acqua perché la si potesse disinfettare, renderla più sicura ed aromatica, ma ciò poteva avvenire anche con il vino, ottenendo in entrambi i casi degli ottimi digestivi. L’infuso era molto apprezzato dai greci ed infatti assenzio deriva dalla loro lingua: apsinthion, ossia privo di dolcezza.

Ufficialmente fu inventato dal medico francese Pierre Ordinaire, che riparò in Svizzera nel 1792 per sfuggire alla Rivoluzione Francese, precisamente nella cittadina di Couvet, piccola frazione del comune di Val-de-Travers del Canton Neuchâtel. Il dottor Ordinaire, come d’altronde i medici di campagna a quel tempo, utilizzava le erbe officinali per preparare medicamenti e rimedi naturali e, nella zona dove si trasferì, trovò anche l’artemisia absinthium di cui ben conosceva le proprietà tramandate dagli antichi e fu così che cominciò a preparare un forte distillato a partire dalla macerazione delle erbe di circa 60°, contenente non solo l’assenzio maggiore ma anche piante come anice, issopo, dittamo, acoro e melissa… Il liquore divenne prese subito fama di toccasana in quell’area e fu a Couvet che prese il soprannome di Fée Verte. Prima di passare a miglior vita il dottor Ordinaire affidò la ricetta segreta ad Henriette e Suzanne-Marguerite Henriod, non si capisce bene però se fossero sorelle oppure madre e figlia, mentre altre versioni vorrebbero invece che fu la signorina Grandpierre, governante del dottore, a consegnare loro il procedimento. Infine, alcuni sostengono che le Henriod avessero già la ricetta ben prima dell’arrivo del medico francese in Svizzera e questo perché amari e liquori a base di assenzio erano preparati comuni nelle valli montane dell’Europa Centrale: il Wermut ad esempio, nome tedesco dell’artemisia maggiore, era un liquore piuttosto antico e si beveva mescolandolo al vino.

Al di là di quella che potrebbe essere la versione più accreditata che le signore Henriod cedettero nel 1797 la ricetta dell’assenzio al maggiore Daniel Henri Dubied è ormai storia, il resto lo fece la figlia di questo maggiore svizzero che decise di andare in sposa ad un certo Henry Louis Pernod; da queste nozze venne fuori al maggiore Dubied l’idea di costituire assieme al figlio Marcelin e suo genero una società che dà vita alla prima fabbrica di assenzio al mondo nel 1798: la Dubied Père et Fils. È proprio quest’anno che avviene un cambio paradigmatico nella concezione dell’assenzio, che passerà da medicinale e digestivo ad aperitivo. Visto il grande potenziale del verde liquore e dopo la rottura col genero ed il cognato avvenuta nel 1805, Henry Louis Pernod si persuade a portare l’assenzio in Francia ed aprire una produzione tutta sua a Pontarlier, chiamandola Pernod Fils, diversamente dagli omonimi che nel 1860 fonderanno ad Avignone la Pernod Père et Fils e che 24 anni dopo si lanceranno anch’essi nella produzione dell’absinthe. Da qui agli asti ed alle battaglie legali sarà un nonnulla ma nel 1928 le due famiglie si metteranno d’accordo, dando vita ad una delle più potenti corporate nel settore degli alcolici al mondo: il gruppo Pernod-Richard.

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L’assenzio quindi è prodotto dalla macerazione dei fiori e delle foglie di artemisia absinthium, pianta erbacea della famiglia delle asteracee diffusa in tutt’Europa, semi di anice verde e di finocchio che, una volta distillato, viene trattato con delle erbe in infusione quali melissa, issopo, artemisia pontica, menta, genepì, coriandolo, veronica, badiana ed altre appunto, a seconda della ricetta e per la volontà di conferire ulteriori aromi, la tipica freschezza dell’anice e il colore caratteristico, variabile dal giallo chiaro a tutte le tonalità del verde a seconda delle scelte del produttore. Pertanto il distillato, giova ripeterlo, si ottiene per distillazione dell'intera pianta, previa macerazione della stessa in alcool alla quale si possono aggiungere, oltre alle già succitate essenze, persino camomilla, radici di angelica, scorze d’agrume, noce moscata, vaniglia e resina di mirra.

Un mondo poliedrico quello dell’assenzio, ricchissimo di sfumature aromatiche e di interessantissime variabili, mutevoli a seconda dell’estro, della filosofia e dello scopo di chi lo produce nel voler realizzare un assenzio di gran pregio e che possa lasciare il segno.

Nel tempo, come già detto, se ne sono diffuse di opinioni tanto errate quanto diffuse sull’assenzio, non di meno sulla maniera di berlo! Il rituale classico vuole si beva in un bicchiere a bolla sul cui bordo si appoggia il classico cucchiaio forato con una zolletta di zucchero disciolta direttamente con acqua ghiacciata, mentre la versione della zolletta flambata è stata erroneamente diffusa dalla filmografia e dalla consuetudine nata in Repubblica Ceca per creare l’effetto wow tra i turisti, propinando loro un surrogato e fomentando associazioni errate con l’eroina. L’uso di allungare l’assenzio con l’acqua fu introdotto dalla milizia francese in rientro dall’Algeria verso il 1830, la quale contribuì molto a diffonderne fama e consumo… l’assenzio veniva impiegato come disinfettante, aiutava a prevenire problemi di malaria e dissenteria, possedeva inoltre, ieri come oggi, proprietà toniche per l’organismo: è infatti colagogo, ossia favorisce lo svuotamento della bile dalla cistifellea, è emmenagogo, cioè stimolante della mestruazione o comunque dell’afflusso di sangue in area pelvica, ed è notoriamente febbrifugo.

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Nelle opere di Charles Baudelaire, precursore del simbolismo, e nelle poesie di Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, Villiers de L’Isle-Adam, Tristan Corbière e Stéphane Mallarmè, rivivono le pagine di un’esistenza segnata dall’assenzio, dalla miseria, dagli scandali e dall’eccesso, ma pur sempre un’esistenza riscattata dalla poesia, poesia creata per suscitare impressioni intense ed emozioni fino ad allora sconosciute.

Grazie al simbolismo decadentista e a quei folli pindarici slanci tesi a voler superare i limiti imposti dalla coscienza attraverso un “lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi”, come direbbe il “poeta veggente”, vennero sperimentate, con folgorazioni ed intuizioni, figure retoriche come l'analogia, la metafora e la sinestesia… la metrica tradizionale dovette cedere il passo al verso libero e all’alchimia del verbo. Ma il prezzo da pagare, per una vita votata ad atteggiamenti eccentrici, ai “paradisi artificiali” e a morbosi compiacimenti, fu quell’irrazionalità che ha nulla di romantico e che altro non è che la frustrazione per l’incapacità di impegnarsi nella società, superando l’emarginazione e la non comunicazione; un’irrazionalità questa che costringe lo scrittore-poeta decadentista a piegarsi in se stesso anziché farsi portavoce della crisi popolare, ricercando nell’individualismo e nell’oblio l’alibi dell’ignoto piuttosto che ricercare gli stimoli a trovare il coraggio di vivere e lottare per migliorare il proprio presente.

Poco poetico ma follemente attuale!

Oltre ai versi dei poètes maudits anche la pittura di artisti del calibro di Édouard Manet, Vincent Van Gogh e Pablo Picasso, ha contribuito ad immortalare l’assenzio ed i luoghi di culto dove si consumava il rito della “heure verte”: il Cafè de Cluny, il Cafè Guerbois, iI Cafè Riche, il Cafè de Bade, Le Lapin Agile ed il Nouvelle Athènes, locale reso ancor più celebre grazie a “Dans un cafè”, quadro del pittore Edgar Degas del 1876… pennellate di storie di vita vissuta tra bistrot e caffè letterari dal tramonto di periodo di fermento e tormento all’inizio della Belle époque.

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A voler distinguere gli assenzi è molto importante considerare aspetti come il colore, il tenore alcolico e la zona di produzione. Per quel che attiene al colore infatti un tempo si distinguevano l’assenzio blanche, ossia non colorato per ulteriore infusione di erbe dopo la distillazione, verte, cioè quelli che dopo essere stati distillati vedono un’aggiunta di erbe perché rilascino i pigmenti, hanno un profilo aromatico ricco di elementi botanici, la pienezza e la complessità gusto olfattiva; infine abbiamo gli absinthe la bleue: nati dopo la messa al bando della Fata Verde in Svizzera, per uso domestico o per contrabbando, venivano distillati in maniera decisamente molto casalinga per mezzo di alambicchi a fiamma diretta… per quanto non posseggano la raffinata eleganza dei blanche, coi quali hanno in comune solo la trasparenza, oggi se ne apprezza l’artigianalità ed il gusto ruvido e l’impiego di erbe officinali autoctone. Rispetto all’alcol l’absinthe si distingue in ordinario, quando la gradazione è compresa tra i 40 ed i 50°, semi fine, se tra i 50 ed i 55°, fine quando arriviamo tra i 55 ed i 60° e poi l’assenzio di qualità superiore alcolicità compresa tra i 60 ed i 72°, ricordando però che questo distillato può raggiungere anche i 75°. Naturalmente tra le prime aree produttive va citata la Svizzera, paese che per primo si è battuto contro la contraffazione della Fata Verde, mettendo sotto tutela il distillato col disciplinare IGP Val-de-Traverse Absinthe nel 2012, disciplinare che arriva finalmente anche per la Francia il 19 agosto del 2019 grazie a François Guy, tra i principali produttori di Pontarlier; bevuto anche in Spagna che, come Portogallo e Regno Unito, non lo ha mai bandito, per quanto ne abbia visto il declino attorno agli anni ’40, oggi se ne producono validissime versioni in terra catalana con una ripresa al consumo già a partire dal 2007. In Italia l'assenzio non ha mai conosciuto una diffusione tale come in Svizzera o in Francia e malgrado ciò venne ugualmente bandito ma con ritardo: nel 1939 furono i fascisti a proibirlo più per imporre rigore che per un reale allarme sociali… ma ve li immaginate certi bellimbusti brindare al loro duce con un bel bicchiere di vermouth, perfettamente legale per quanto ne contenesse eccome di artemisia absinthium, ed il barman che se ne stava dietro al bancone a sbellicarsi dalle matte risate? Oggi in Italia ci sono diverse realtà industriali ed artigianali e, non a caso, la Distilleria Pascale è tra le aziende storiche d’Italia e la più vecchia in Campania, nascendo ad Ottaviano nel 1810 come opificio medicale rinomato per la produzione di liquori ed amari artigianali di pregio. In realtà le peculiarità dell’assenzio vanno scorte nell’origine delle materie prime e nella maestria e nell’esperienza delle diverse distillerie sparse per l’Europa: per avvicinare gli estimatori ed i curiosi nel 2007 è stata creata la Route de l’Absinthe, che parte da Fontaine Froide du Creux-du-Van e termina a Pontarlier, sfiorando diversi opifici dove s’è fatta la storia della Fata Verde.

Come si fa a riconoscere un Assenzio di qualità?

Intanto non lasciandosi fregare dall’aspetto: un colore verde brillante, manco fosse una spremuta di smeraldi e malachite, spesso è frutto di colorazione artificiale mentre, come si è già detto, le sfumature dell’absinthe sono fatte anche di tonalità più pacate che vanno dal giallo al verde non troppo acceso fino all’azurro, dal marroncino al rosso, come nel caso unico di Un Emile Rouge, o addirittura se ne possono vedere neri, i quali prevedono aggiunta di frutti selvatici a bacca nera, e di quelli trasparenti cui si è già fatto cenno. Fattore determinante per l’esame visivo dell’assenzio è lo sviluppo della louche, ossia quella nebulosa lattiginosa che si propaga lentamente dal fondo del bicchiere fino a pervadere tutto il contenuto e che si ottiene aspergendo poche gocce di acqua alla volta… il rapporto, se decidete di annacquarlo dovrebbe essere di tre parti di assenzio ed una di acqua, ma cinque ad uno sarebbe meglio, anche perché berlo liscio costituisce la vera esperienza di assaggio, se poi siete in vena di battezzarlo affari vostri. All’esame olfattivo l’assenzio deve possedere una buona intensità e complessità, senza che la nota alcolica arricci il naso e senza che il sentore dell’anice verde, men che meno quello stellato, sia prevaricante, lasciando debitamente spazio all’erbaceo dell’artemisia maggiore e di altre essenze, insomma un bouquet tutt’altro che monocorde… in alcune tipologie si avverte chiaramente la nota di elicriso, fieno essiccato e grano saraceno. All’esame gusto-olfattivo l’impatto tattile deve conferire percezioni suadenti, cremose e quindi la densità gioca un ruolo determinante nella degustazione, inoltre un assenzio di qualità non deve essere eccessivamente amaro e non deve risultare alcolico, poiché ciò potrebbe essere un segnale della presenza di code, piuttosto che integralmente dal cuore del processo di distillazione. Infine il sapore deve poter conferire riconoscimenti che vanno dall’erbaceo alla frutta essiccata, dal floreale a quelli tipici del cognac o del brandy, fino ad un certo tipo di speziato, purché il tutto sia in equilibrio e con una persistenza aromatica intensa di buona durata.

Ai prodi che si sono indefessamente avventurati nella lettura giungendo fino a qui debbo suggerire di farsela un poco di introspezione, perché un qualche problema ci dev’essere visto che l’assenzio non si spiega ma si beve. O no?

Intanto è bene ricordare che oltre ai vari vermouth, l’assenzio in quanto a varietà botanica, è presente nel Benedectine, nello Chartreuse e nel Genepì, oltre che in moltissimi altri amari, inoltre il distillato è parte fondamentale della preparazione del famoso Sazerac, il primo cocktail ad essere miscelato negli States in quel di New Orleans, inventato dal farmacista Antoine Amédée Peychaud, padre dei bitter aromatici, nel 1830.

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Stando ai francesi l’assenzio andrebbe bevuto come aperitvo, precisamente à boire avec modération, accompagnato da crostini con acciuga marinata, magari pigramente e senza dover per forza di cose eseguire la liturgia del rituale, bensì avercelo bell’e versato direttamente dall’apposita fontana. Potreste anche immaginare di abbinarci dei biscotti all’anice o del cioccolato fondente aromatizzato all’artemisia absinthium mentre ascoltate L'importanza di essere Oscar Wilde dei Marlene Kuntz oppure The Spy dei Doors… la prima se siete costretti ad ubriacarvi per passare il tempo tra gli idioti, come direbbe Ernest Hemingway, e la seconda se state affianco alla vostra musa. Poi se siete proprio fissati col latte + aggiungetevi il Mansinthe di Marilyn Manson ma non fate i “tujoni” e bevete consapevolmente.

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