Gran Cru Brut Nature di Hugues Godmè: La bolla da Pesto Forte!
Uno champagne che chiamarlo Vino è poco! Maggie Foglia ci racconta il Gran Cru Brut Nature di Hugues Godmè
L’altra sera ero a cena a casa con un po’ di nasi fini e ho deciso di mettere in freddo 1,2,3,4 bolle e qualche bel vinello.
Perciò voglio raccontarvi una delle bottiglie che ho bevuto (in ordine di uscita, la quarta) che mi ha veramente lasciato un ricordo piacevolissimo!
Se consideriamo poi il prezzo a mercato, chapeau!
Sto parlando del Gran Cru Brut Nature di Hugues Godmè, un signore che fa champagne a Verzenay da tipo 5 generazioni.
Ok, mi correggo non è highlander - anche se i polifenoli pare siano degli ottimi elisir di lunga vita- è la sua azienda che produce vino dalla fine del XVIII secolo, anche se con alterne vicende.
In poche parole il bis nonno di Hugues fondò l’azienda. Dopo la Seconda Guerra Mondiale suo nonno produsse la prima bottiglia di champagne. Suo padre poi si unì all’impresa, ma avendo vedute diverse dal nonno, decise di distaccarsene e produrre in proprio.
Hugues, che la vedeva più come il nonno, dopo gli studi si unì a lui e riannesse alla proprietà anche i 9 ettari paterni avuti in eredità insieme alla sorella Sabine.
Ma neanche con la sorella la cosa andò dritta, perché Hugues credeva in un principio un po’ strambo, tale biodinamica, mentre Sabine era una pratica e non ne voleva sapere di cicli lunari, preparati 500, 501 e vattelappesca.
Così Hugues nel 2015, all’età di 56 anni, si è messo in proprio.
E bene ha fatto!
Ora, siccome prima di lui già i suoi nonni, bisnonni, etc.. facevano uno Champagne buono, Hugues ha deciso di fare la differenza; di fare uno Champagne non solo buono, ma pure giusto.
Si, quel giusto lì, quello che poi è anche spesso pulito.
Insomma, uno Champagne che rispettasse un po’ tutto l’environnement.
Allora Hugues ha deciso che doveva mettersi innanzitutto a fare il vignaiolo, per cui se volete andarlo a trovare (cosa che io farà questa primavera) è inutile andare in azienda.
Mettetevi un paio di galosce e andate a trovarlo in vigna perché, a detta sua, è l’uva che cresce sulle viti e che assaggia prima di raccogliere che determinerà il suo vino in bottiglia; e dovrà essere buona, fin da subito!
In cantina poco e niente.
Diciamo uno stile non-interventista. Pressatura soffice, lieviti indigeni (da pied de cuve), prima fermentazione sur lie fino all’imbottigliamento, che avviene in primavera, secondo i cicli lunari. Vini assolutamente non filtrati.
Il risultato?
Un’espressione molto precisa al naso, con un ricciolo di esuberanza: frutta matura, polpa bianca e rossa, mineralità e freschezza. In bocca il sorso esplode fra il succo della pesca matura, la mela gialle e un agrume presente ma non invasivo. Preciso, elegante e persistente.
Noi l’abbiamo bevuto su una Mezzamanica di Gragnano con pesto forte -ora capite l’esplosione e l’intensità di questa bevuta?!?-.
Una ricetta che ho preso da un ricettario davvero figo e che vi incollo qui!
Poi se volete altre ricette fighe di pasta, scrivetemi in privato 😉
PS: la bottiglia viaggia sui 45€ per acquisti online. Se siete interessati a forniture, in Italia è distribuito da Atelier Vini e Cultura.