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La Toscana in divenire di Edoardo Tilli tra schiaffi e carezze

Edoardo Tilli e la sua Toscana Al Podere Belvedere Restaurant

La Toscana in divenire di Edoardo Tilli tra schiaffi e carezze

Podere Belvedere Restaurant

Via San Piero a Strada n° 23 - Pontassieve
Tel: ‎+39 333 869 3448 | 329/0115099
Email: book@poderebelvederetuscany.it
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Tutto è dolore per il saggio.
Patañjali

LA TOSCANA IN DIVENIRE DI EDOARDO TILLI TRA SCHIAFFI E CAREZZE

Dedicato a Madda

La Toscana o una certa idea che abbiamo di essa attraverso la trasfigurazione di guide, siti e riviste, vive sui fasti di un prestigio eno-gastronomico acquisito negli anni che se lo andiamo ad analizzare più nel dettaglio fa acqua su tutti i fronti. Tanta fuffa fanfarona travestita d’aristocrazia decaduta. Sovrabbondanza di storytelling vacuo e autoreferenziale. Tipo certi pubblicisti spigliati con la parlantina futile che fanno tanto i fenomeni digitali, si atteggiano invano a eruditi nei video online dove non celebrano che se stessi ma se poi li affronti di persona dopo un po’ capisci senza tema di smentite che sono degli sfigati semianalfabeti. Gentucola che non ha mai letto un libro giusto neppure col binocolo. 

Prendiamo l’aura pseudo-nobile e internazionalesca dei Supertuscan. È chiaramente una bolla di sapone anni 90 costruita a tavolino da agricoltori in frac, da Denominazioni d’Origine paracule, enologi “correzionisti”, scribacchini prezzolati, ristoratori sfibrati e sommelier cioè sommerdié condiscendenti.

Col generalizzare come ho appena fatto in questa premessa, il rischio del qualunquismo o della sparata a zero senza un bersaglio preciso è dietro l’angolo. Ma in questo caso il bersaglio è molto dettagliato. Non è affatto la Toscana qualsiasi ma quella patinata, altezzosa, trombona, millantatrice che ho esperito sulla mia pelle affrontando negli anni produttori di vino, cuochi, rivenditori, rappresentanti di commercio, enotecari, proprietari terrieri, ristoratori, formaggiai, degustatori, amministratori delegati, galleristi, operatori culturali, macellai, agricoltori, albergatori, vinattieri e via cantando.

La Toscana di Edoardo Tilli è tutta un’altra musica. È una Toscana corsara, passionale, prorompente, schietta, focosa. La Toscana di Tilli non merita solo il viaggio, lo esige!

Nel 1967 il grande Luigi Tenco cantava “Andare via lontano, a cercare un altro mondo”. Al Podere Belvedere Tuscany, in un angolo di bella terra sui colli attorno a Pontassieve nel cuore aspro del Chianti Rufina, Edoardo Tilli sembra essersi avviato per andare molto lontano da fermo, alla ricerca di altri mondi gastronomici. “Una visione di campagna toscana che oltrepassa confini geografici e mentali…” come è puntualizzato sul menu.

La Toscana in divenire di Edoardo Tilli tra schiaffi e carezze

Quest’ultimo, il menu appunto, si articola dialettico, sotto forma della carezza e dello schiaffo. Il menu VIXIT (ex INVICTA) sono le carezze da cui si sceglie à la carte i piatti più rinomati del Podere Belvedere. Mentre col menu FIERI arrivano gli schiaffi, e sono ceffoni sublimi a base di terra, fuoco, radicale pulizia del palato e altissima concentrazione di sapore. FIERI è un menu spericolato, saturo di coraggio sperimentale che guarda all’avvenire eppure già al presente è proteso a divertire chi lo propone, a far divertire chi lo prova. Un ventaglio di emozioni psicofisiche in bocca e al cervello. Oscillazioni sensoriali tra la brutalità del mondo primordiale e la gentilezza degli umani, mammiferi civilizzati seppure ancora distanti anni luce dall’essere civili. Una panoramica gastronomica molto articolata e complessa, sia concettuale che materica. Dove lo chef prova ad esprimere lo studio, le indicazioni di massima e la ricerca feroce sulle materie prime. Dove le risposte non sono mai scontate né affabili. Intonazioni pungenti. Ingredienti ancestrali. Intensità di sapori. Accostamenti all’apparenza improbabili che indagano l’armonia/disarmonia del gusto al palato. Bonus non da poco il menu ARES, proposto per i bimbi.

Il servizio in sala è notevole per il semplice fatto che c’è senza farlo pesare neppure un po’. Le ragazze sembrano muoversi leggere come in una danza silente nelle sale, coordinate con asciutto fair play da Klodiana Karafilaj che ha impostato una carta dei vini armonica ma che ci piacerebbe ritrovare più provocatoria e spericolata, ancora più in linea con la cucina dissonante e senza tanti fronzoli né compromessi proposta dalla brigata dei filibustieri cucinieri al Podere Belvedere. L’attenzione ai dettagli sostanziali è amore per sé e per il prossimo, una dimensione di cui oggi in questi tempi sciatti, abbiamo un bisogno senza riserve. Due bei rossi toscani di carattere burbero ma sincero come piace a noi, ad accompagnare tutto il percorso della cena: il Pinot Nero Cuna 2016 di Federico Staderini in Casentino e L’Erta Sangiovese Poggio della Bruna sempre 2016 di Paolo e Lorenzo Marchionni in località Vigliano sul territorio del Chianti Colli Fiorentini.

La concezione viscerale della cucina di Edoardo in accordo alla sua singolare visione carnivora del mondo (dopo anni di conversione vegetariana), spalanca molteplici questioni spinose. Temi oggi sempre più decisivi e divisivi quali la sostenibilità, la relazione millenaria uomo-bestia, la caccia, il sacrificio dell’animale, l’etica gastronomica, l’alimentazione mondiale e quella individuale, la cucina di territorio e quella senza limiti né confini. Non sta certo a noi dirimere questioni così gigantesche che sovrastano tanto chi scrive quanto chi legge. Basti qui far notare di striscio che l’industria alimentare è molto più impattante a livello globale con i suoi sistemi di allevamento intensivi, la sua manipolazione degli aromi negli ingredienti. L’agrochimica massificata che appiattisce cibo e vino omologando il palato a milioni di persone fin dall’infanzia, ingenerando le troppe allergie contemporanee e patologie gastrointestinali di interi popoli e paesi. Per non parlare dell’aggressività assassina delle nazioni militarizzate che in questi giorni bui stanno trascinando l’effimero equilibrio economico e geopolitico del mondo sul tracollo della terza guerra mondiale.

La Toscana in divenire di Edoardo Tilli tra schiaffi e carezze

L’inizio del FIERI è un trittico policromo plurisensoriale che ridipinge il senso ultimo dell’amuse bouche.

  1. Brodo di gallo nero indonesiano ayam cemani frollato 60 giorni e cotto alla brace con caminetto interno, su una pentola di coccio così da assorbire i sapori del fuoco. Viene salato con un garum di pollo arrosto in ossequio alla digestione in atto e a proseguire. Il consommé è servito in una tazza da tè dove si trova un uovo di quaglia marinato e cotto come in un Ramen, in aggiunta dei fiori di calendula essiccati raccolti attorno al Podere. L’uovo esplode in bocca, pare un’oliva in salamoia che al posto dell’ossicino contenga un’elevata condensazione proteica di umami.
  2. L’oliva finta a base di kefir, marmellata di fichi, e olio di alloro tutto rigorosamente prodotto a Belvedere. Il tartufo finto fritto. Questo boccone è formato da un tuorlo di uovo svuotato della sua parte liquida e ricolmato con una fonduta di parmigiano 60mesi al tartufo, impanato nel carbone vegetale e farina di riso. Le polpettine di recupero, dal lampredotto rifatto, alla testina di cervo. La cialda a farfalla di senape, miele e pomodoro giallo, dalla passata in conserva dei ciliegini dell'orto, con semi di senape marinati nella salsa tosazu, e polvere di frutti, pomodoro, limone. Il Koji arrostito con un shoyu di fagioli cannellini, sviluppa sentori simili alla carne. La vellutata di rapa rossa, con miele di castagno, acetosella e uova di trota marinate in un garum di lievito. Il tacos di borragine, fritto in una pastella amidacea, cosi da renderlo croccante e sottile tanto da intravedere la foglia. Viene riempito di animelle, maionese alle foglie di senape selvatica bianca, fiori di senape con cipolla in giardiniera.
  3. Un boccone di anguilla servito alla griglia e laccato al tavolo con una teryaki fatta con garum di anguilla di recupero e wasabi grattugiato al tavolo da radice di 3 anni. L'anguilla viene frollata per 30 giorni con piccole parti di ozono. Al momento della preparazione de pesce teleosteo che arriva vivo in cucina, utilizzando una macchinario costruito dalla brigata di cucina si va ad espellere il midollo spinale, raggiungendo così nell'immediato la quiete muscolare, per evitare il rilascio degli acidi lattici nella carne e neutralizzare il sangue dell’anguilla che contiene una proteina tossica, l'emoittiotossina. È un boccone semplicemente gustoso, ottenuto da un elaborato processo preparatorio. La laccatura si fa al tavolo perché alla griglia risulterebbe coprente, vanificando cosi tutti gli sforzi fatti per portarlo sul piatto.
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La tartare di cinghiale è ciccia cruda nella sua estrema essenzialità. Materia carnosa frollata quasi 3 mesi. All'aspetto appare brillante, viva. Viene reidratata con un fermentato di selvaggina e un goccio di olio extravergine d’oliva che le traveste lucentezza. La frollatura è fatta in alta umidità il che rende il gusto della polpa molto peculiare, dai sentori erbacei e fungini al palato. Si scioglie sulla lingua come una salsiccia fresca, al sapore di muffe nobili di cantina.

La crêpe al sangue di maiale con pesto di finocchietto selvatico fa da base ad una varietà di senapi con i fiori, rifinita con una salsa di koji latto-fermentato. Vale quale accentuazione illustrativa e riproduzione del sentore vegetale che avevamo già assaporato nella tartare. Una mappatura dai toni tattili di terra e fuoco ad elevata concentrazione.

Terra e mare. 

Le erbe selvatiche, le interiora e le frollature hanno molto in comune con l’acredine del mare: amaricante e salso.

Il connubio terra/mare si presenta sub specie d’un boccone di coscio di daino frollato in alta umidità così da estrarre sentori salmastri di alga marina, un piatto simbolicamente esplicativo.

L’ostrica alla griglia invece a compensare in dolcezza, il tutto ricoperto da una vellutata di erbe amare. Le ostriche raramente hanno una persistenza prolungata, anzi spesso sono assai delicate. In questo caso tutti gli ingredienti coinvolti amplificano la persistenza fino a renderla un senza-fine di ostrica e mare al palato. Pan brioche a scarpetta.

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Proseguiamo col rognone alla griglia, susina acida (fermentata), acetoselle, scampo laccato con strutto di vacca e zucchero di canna, lievemente arrostito. In tavola viene aggiunta della bottarga di interiora di agnello, che all'odore ricorda la vera bottarga di muggine o tonno. Ogni sapore è chiaramente distinto, percepibile in sé, alternandosi in bocca: “schiaffi come carezze”. Il fermentato giusto che ti arrapa la gola.

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Extra:

a) Carpaccio di colombacci alla griglia con mix di spezie a legare la parte arrosto, sugo d'interiora e cosce con marmellata di fichi, olio all'alloro. Filetto di colombaccio marinato nel garum di pollo e cotto da un lato in tavola sulla mini griglia. Spiedino di petti di uccellino da stormo - volatili che volano e non d’allevamento - con salsa di miso e aceto. Spiedino di tortora frollata 60 giorni.

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b) Midollo di cervo alla brace con gamberi rossi, salsa di teste, mela in osmosi con succo di sedano e prezzemolo, polvere di limone.

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c) Bistecca alla griglia. Diverse età, diversi muscoli, diverse frollature. Dai 30/40 fino ai 170 giorni. Bestie da 8, 11 e 15 anni.

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Finiti gli extra, passiamo alla faraona alla griglia con miso di ceci, crema di sesamo tostato e “ricordo di muffa” che in realtà è zucchero filato. La faraona è succosa come non ci si aspetterebbe dalla griglia. Lo zucchero filato rende assai appetibile il boccone, lo contiene e bilancia.

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Cervo alla griglia frollato 67 giorni, con fondo di cervo e nocciole leggermente annerite (tecnica aglio nero) e garum di lievito, pancetta di mangalica, una vaporizzata di aceto di more e lamponi. La scioglievolezza raffinata di un cervo frollato, a dispetto della tenacia nervosa che uno si aspetterebbe dalla selvaggina.

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A questo punto sono pronto a gettare la spugna, ho masticato troppe cose per i miei standard alimentari poi tutte portate di grande intensità. Sarei avviato a un digestivo finale e passeggiata tra gli ulivi.

Ma con un gesto fantasioso di quelli definiti coup de théâtre arriva prima un risotto al caprino affumicato composto con bacche di crespino (Berberis vulgaris) e limetta iraniana fermentata, olio alle foglie di cipresso così come il pane di portata buonissimo era ai semi di cipresso. Il balsamico mediorientale che promana dalla limetta è struggente e lega con l’amarume del cipresso che nella fragranza delle foglie rimanda ad afrori tropicali. Tropici allegri e non tristi come vuole un testo fondamentale dell’antropologia moderna.

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Dopodiché gli spaghetti alla griglia, cotti nel brodo di prosciutto, una spolverata di parmigiano 96 mesi e ricci di mare crudi. Edoardo mi dice che una volta assaggiando il midollo osseo di un prosciutto di cinta senese, la prima esclamazione che gli uscì dalla bocca fu: “ricci di mare!”.

Lo spaghetto sta a significare con orgoglio maledetto e toscanaccio tutto quello che la pasta non dovrebbe essere, cioè gommosa e croccante, eppure è una forchettata di carboidrati al gusto di fumo e pomodoro quintessenziale come ne mangerete raramente in giro per il mondo. A questo punto ho già dimenticato il digestivo e l’uliveto anzi lo stomaco mi fa capire senza troppe moine che quel risotto e quegli spaghetti non bastano a soddisfarlo, ne avrebbe tranquillamente pappato un altro paio di piatti a testa, lui, il mio stomaco, assieme a me, manco la cena stesse per cominciare in quel momento.

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Arriva una banana e cioccolato bianco che ha subito lo stesso trattamento ossidativo dell'aglio nero. La prima associazione d’idee e ricordi che avuto al palato è quella delle carrube, una cremosità porosa, poco anzi per niente zuccherina a sottrarre la grassezza del frutto originario.

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Una panna cotta con burro di capra, lemongrass della serra del Podere e caviale Calvisius Siberian italiano. Tilli ricorda: ”Il dolce che avrei voluto la nonna mi facesse. Perché da bimbi si mangia dolci senza preoccupazioni né pensieri, ci facciamo assorbire solo dalla totalità del piacere. Peccato che mia nonna non sapeva nemmeno cosa fossero caviale e lemongrass.

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Lime (Limequat) muffato che rischia di diventare il mio dolce preferito di sempre. Il lime viene sbollentato e svuotato, inoculato per 2 giorni con spore di Aspergillus luchuensis, un fungo filiforme che a differenza del penicillium aiuta molto la digestione trasformando in chiave assai fine, sia il sapore che l’odore del lime: impalpabile, rinfrescante e austero. All'interno delle limette essiccate al sole, una mousse con crumble e marmellata di fichi.

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Con la selezione del caffè viene servita anche la piccola pasticceria, divisa in due parti.

La parte “LunaPark” con orsetti gommosi al sambuco e basilico, il lecca-lecca alla menta leggermente acido, mou ai fiori di ciliegio marinati, e marshmallow

L'altra sventaglia una serie cioccolatini cremosi, consistenti e pralinati.

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Il giorno dopo la colazione si salta a piè pari

e ci ritroviamo di nuovo in sala da pranzo dopo un breve salto temporale ancora più accorciato dal cambio dell’ora legale, con addosso giusto qualche oretta di sonno visto che abbiamo fatto le ore piccole in cucina ad assaggiare assatanati tranci di carnazza e salumi di piccione al coltello sorseggiando un goccetto salmastro di Islay Single Malt Scotch Whisky (Port Askaig). Insomma a ora di pranzo ci ritroviamo gambe sotto al tavolo alle stesse postazioni della sera precedente per pranzare con una selezione monumentale - “vi porto giusto dú cosine” - di formaggi e salumi edoardiani, cioè edoardotillici:

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  • Bardiccio di daino
  • Barroccio di cervo
  • Finocchiona di cervo
  • ‘Nduia di cervo in vescica 
  • Salame di agnello con aneto
  • Salame di asino
  • Cecina di bue
  • Cuore e Pancetta di wagyu Italia full blood
  • Piccione
  • Pancetta di Mangalica
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Tagliatella con ragù e garum di un cervo di sei anni. Il garum è fatto come un shoyu ma al posto dei fagioli di soia viene utilizzata carne di cervo magrissima. Gli enzimi dell’aspergillo scompongono le proteine della carne a quel punto in 12 mesi si crea un insaporitore fantastico, che aiuta anche la digestione nonché la digeribilità.

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