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L'inclemente: i pizzaioli che fanno tutto ci piacciono davvero?

Pizzaioli che fanno tutto, dai panettoni alle colombe passando per le pizze in pala: ci piacciono davvero?

L'inclemente: i pizzaioli che fanno tutto ci piacciono davvero?

Bentornati ne L’inclemente, che si impegnerà a fondo per essere il vostro articolo più detestato. Ho avuto modo di leggere i vostri feedback: mi interessano più di quanto voi possiate immaginare, dopotutto questa rubrica è fatta appunto per “farvi parlare”, oltre che per farvi leggere qualcosa.

Ne approfitto anche per dire due parole sulla selezione di articoli che propongo. Il taglio esce volutamente dal nostro “cortile di casa”, è volutamente internazionale e nazionale. Tutto ci riguarda, in egual misura: da un anno a questa parte abbiamo potuto vedere come un singolo starnuto in Estremo Oriente abbia avuto conseguenze inimmaginabili su miliardi di persone.

Detto ciò, vi do oggi la vostra polemica settimanale.

How boring! - I pizzaioli che fanno tutto ci piacciono davvero?

L'inclemente: i pizzaioli che fanno tutto ci piacciono davvero?
Illustrazioni di TheAnimismus

La categoria dei pizzaioli è quella che amo di più e che detesto di più: vi potrò sembrare schizofrenica ma è proprio così. Li adoro, perché quando ci sanno fare, coi loro prodotti migliorano sensibilmente la qualità dell’esperienza gastronomica da anni a questa parte. Li detesto, perché tante volte si cimentano nel fare cose che non appartengono propriamente al proprio campo di studi/lavoro.

Mi spiego meglio : Pizzaioli che dalla pizza tonda classica passano al “canottino” idratato; pizzaioli che dalla pizza iniziano a fare il dolce; iniziano a fare il pane; iniziano a fare i panettoni e di questo periodo anche le colombe.

Sui grandi lievitati scatta appunto l’ horribili visu, terribile a vedersi. Pane dalla mollica totalmente inesistente, panettoni e colombe che grotte carsiche scansatevi oppure dai colori fluorescenti.

Ho visto impasti con zero elasticità calati nei pirottini natalizi, diventare poi monoliti di Stonehenge.

Sto iniziando a testare tacchini mal lievitati, spacciati per giuste, morbide, profumate colombe. Colori fluorescenti, profumi inesistenti.

Non basta aggiungere zucchero, canditi, pasta d’arancia, per ottenere un grande lievitato delle feste. Tantomeno, potete pensare di proporlo completo di difetti soltanto perché ci si fa forti del proprio, infallibile personal branding, vero o presunto che sia.

Così come non basta mettere l’impasto in una teglia, ottenere una pizza rettangolare, tagliarla in otto tranci e dire “questo è il mio prodotto”, mostrando qualcosa di difficilmente apprezzabile.

(Inciso: se ci fate caso, alla fine il rosario dei like apposti sotto le foto di tali oscenità risalgono almeno al 70% agli scriba degli sponsor, nonché ai parenti fino all’ottavo grado. Dammit, avessi avuto questi coach motivazionali da ragazzina, sarei stata come minimo tipo Lisa Simpson Presidente degli States.)

La curiosità per il sapere è il motore di tutto. Ma la smania di voler fare tutto è veleno. Reputo disturbante, molte volte, vedere osannati prodotti con palesi difetti tecnici (i vostri alveoli, soprattutto nei lievitati delle feste, devono avere armonia e non devono essere MAI troppi), oppure con cotture sballate, o ancora con abbinamenti tra ingredienti di pregio ma totalmente sbilanciati.

Sembrerò cattiva. Invece, vi dirò di più: a proposito di grandi lievitati, alcuni tra i miei panettoni preferiti li fanno i pizzaioli: ho amato quello di Massimiliano Prete (Gusto Divino, Saluzzo), ottimo il prodotto di Renato Bosco (Saporè, San Martino Buon Albergo), ho avuto modo di apprezzare anche il panettone ed i biscotti di Valentino Tafuri (3 Voglie, Battipaglia).

Ma parliamo di persone che provengono da anni di formazione gastronomica a 360° sul lievitato, di una forma mentis elastica, professionisti che hanno speso – e spendono ancora - soldi, tempo e studio per formarsi.

Non ci si inventa un nuovo format di sera e proporre nuovi prodotti (pizza in teglia, pizza in pala, pane, grandi lievitati ed altro) praticamente due giorni dopo. Nemmeno vi basterà una manciata di ore di consulenza, pagata ai professionisti: loro impegnano il loro sapere con voi, ma resta pur sempre a voi il seguito da scrivere, il resto da imparare.

L'inclemente: i pizzaioli che fanno tutto ci piacciono davvero?
Illustrazioni di TheAnimismus

Mi permetto di fare giusto un paio di nomi che conosciamo di sicuro tutti: il format Foorn può permettersi di spaziare nel mondo lievitato tra biscotti, panettoni, pizze (pala e tonda) e dolci, avendo diversi professionisti – ognuno specializzato in un dato campo – cui far seguire il lavoro. Non ho ancora provato le evoluzioni del format di Diego Vitagliano (che ha allargato il brand 10 con diverse proposte, dai bun al padellino ad una Bakery a parte), ma la recensione di Antonio Lucifero su queste stesse pagine lascia presagire bene, molto bene.

Vi svelerò un segreto: non dovete saper fare per forza tutto. Individuato il vostro core business – e nessuno, NESSUNO meglio di voi potrà saperlo – è meglio impegnarsi su quello, migliorarsi costantemente giorno dopo giorno (oltre la ricerca del prodotto, esiste anche la loro messa in pratica), anziché tentare strade che forse sarebbe meglio lasciare a determinati professionisti del settore.

Ci volete provare? Nulla lo vieta, ma avete anche un bel coraggio poi a sbandierare foto su foto di prodotti che chiamare imperfetti è dir poco. E non si pensi che io ne faccia una questione commerciale, di “rubare il lavoro” alle altre categorie. Nient’affatto. Ne faccio una questione di educazione alimentare per il cliente. Ingiusto è offrire prodotti, magari anche ad un prezzo decisamente elevato (ci aggiriamo intorno ai 2/3 per trancio di teglia ed anche 30 euro per i grandi lievitati) ad un cliente che magari si fida della vostra immagine

Voi, piuttosto, cosa ne pensate? Vi piacciono i pizzaioli che si cimentano a fare tutto, mostrandovi spesso prodotti non proprio eccellenti?

O dovrebbero fare soltanto ciò che viene loro meglio e, al contempo, studiare?

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L'inclemente: i pizzaioli che fanno tutto ci piacciono davvero?
Illustrazioni di TheAnimismus

A volte, gli operatori del settore food e dintorni (comunicatori, giornalisti, narratori, penne al servizio dello sponsor, eccetera) dimenticano che innanzitutto il nostro è un lavoro di sensi: olfatto, gusto, tatto, vista, udito. La pandemia da Covid-19 ci ha fatto capire quanto siano importanti i sensi, soprattutto gusto ed olfatto, che spesso vengono danneggiati a lungo termine dalla malattia. Ho trovato imperdibile – e ve ne consiglio caldamente la lettura - il report di Andrea Federica De Cesco su Sette! Il settimanale del Corriere della Sera, dove affronta la sua scalata contro i sintomi dell'influenza da coronavirus. Avere dei guai con l'olfatto, in particolare, non è una cosa semplice; tanto più che la “scienza dell’olfatto” è relativamente giovane, rendicontata solo a partire dal 2009.

Per il tema sostenibilità, i problemi provocati dagli allevamenti di salmone sono enormi, per natura economica ed impatto ambientale. Secondo gli ultimi studi riportati da Il fatto alimentare, si crea una situazione ai limiti del paradossale. I pesci selvatici pescati servono da nutrimento per quelli di allevamento, in quanto il rapporto di resa è nettamente maggiore rispetto alla pesca tradizionale; i pescatori dei Paesi in via di sviluppo sono fortemente sotto pressione, visto che circa il 70% del loro pescato viene trasformato in farina ed olio di pesce per nutrire appunto gli allevamenti.

La faccenda del burro che non si scioglie, in Canada,ha catturato il mio lato dedito al giornalismo investigativo. Secondo quello che riporta Il Post, sono tantissimi gli utenti che nel Paese lamentano che il burro si scioglie difficilmente da mesi ormai. Non si è ancora arrivati ad una conclusione univoca, però ci sono delle ipotesi: ad esempio, gli allevatori probabilmente hanno intensificato l’utilizzo dei mangimi contenenti olio di palma o derivati; nel latte per il burro, quindi, ci finirebbe acido palmitico (normalmente già presente, ma in quantità più contenute), che aumenterebbe il punto di fusione e quindi renderebbe più difficile scioglierlo. Ma la faccenda è ancora aperta. La seguiremo, come abbiamo seguito il caso dei bucatini De Cecco.

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Illustrazioni di TheAnimismus

Bill Gates incentiva l’utilizzo della carne vegetale: qui mi è piaciuto molto il pezzo controcorrente di Dario De Marco, su Dissapore: mai fidarsi di un latifondista, dice De Marco, ovvio che voglia portarti a consumare qualcosa che lui può produrre in enorme quantità. Dal canto mio, penso che presto dovremo occuparci seriamente della faccenda. Che sia carne sintetica oppure un burger di locuste.

In ultimo, vi consiglio di buttare un occhio sul nuovo lavoro di Stanley Tucci, Searching for Italy su CNN. C’è molta Napoli e penso che questo documentario vada visto in senso strettamente antropologico e sociale più che “alimentare”, ma va da sé che le cose si vadano a completare, diventando la nostra identità. Tra le altre cose, CNN Travel ha tirato giù una lista non banale di

30 imperdibili piatti italiani. Secondo voi, ne manca qualcuno?

Ps molto ps: ho avuto il piacere di partecipare ad alcune riprese, quelle sui Quartieri Spagnoli, per spiegare un po’ l’humus socioculturale, avendoci vissuto per circa quattro anni. Stanley Tucci è una persona davvero alla mano. Un divo nel vero senso della parola. Tranquilli, non mi vedrete in video.

L’assaggio

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Illustrazioni di TheAnimismus

Il mondo del cioccolato italiano è giovane, spesso anche sottovalutato o addirittura ignorato. A me il cioccolato piace parecchio, senza distinzioni: dai surrogati del cacao alle creme che hanno come primo ingrediente lo zucchero, poi le nocciole, poi il cacao (!), fino agli artigiani del bean to bar.

Sono diventata dipendente dal cioccolato di Paolo Brunelli, gelatiere di Senigallia. Il suo gelato in tavoletta è già un grande classico degli snack al cioccolato; consiglio la tavoletta Senigallia (cioccolato bianco, graniglia di caffè e sale di Cervia). Se poi volete osare, state a sentire a me, le praline Hermeto: cioccolatini ripieni di crema al frutto della passione, latte e burro, ispirate al jazzista brasiliano Hermeto Pascoal. Fatevi un regalo di Pasqua anticipato ed alternativo: andate sullo shop online di Paolo Brunelli.

Fonti:

The Game Changer, Diego Vitagliano apre un nuovo campionato - Foodclub

Perdere i nostri sensi. Senza olfatto non so più chi sono - Sette! Corriere della Sera

L allevamento dei salmoni nuoce gravemente all ecosistema - Il Fatto Alimentare

In Canada il burro non si scioglie come dovrebbe - Il Post

Bill Gates ci convincerà a mangiare carne vegana? Dissapore

30 Italian classical dishes that everyone should try - CNN Travel

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