Mentre il mondo è diretto verso scelte sostenibili guidato da colossi multinazionali come Starbucks, l'Italia è ferma al palo
Sostenibilità, le nuove Linee Guida del Ministero della Salute.
di Domenico Catapano
L'ultima volta che sono entrato in uno Starbucks risale ad aprile 2019, a Barcellona; un piccolo locale pieno di gente e soprattutto pieno di scelte alternative: in quanto vegano ho mangiato e bevuto senza pormi alcun problema e soprattutto senza dovermi giustificare per la moda o altri luoghi comuni che (soprattutto in Italia) ruotano attorno alla mia scelta alimentare (datata dicembre 1990). Detto questo, mi preme sottolineare come la multinazionale del caffè stia spingendo ulteriormente sull'acceleratore della sostenibilità e dunque delle scelte alimentari alternative.
Kevin Johnson, CEO di Starbucks, afferma infatti che spingeranno i consumatori verso la scelta del latte vegetale e faranno in modo di eliminare gli sprechi e di riversare nell’ambiente più acqua pulita di quella che utilizzano: infatti i prodotti lattiero-caseari sono responsabili di oltre un quinto delle emissioni di Starbucks e di oltre un settimo del suo consumo di acqua e il latte vegetale, in particolare quello di mandorle, soia, noci di cocco e avena, ha dei processi di produzione molto più rispettosi dell'ambiente rispetto ai latticini: "I latti alternativi costituiranno una parte importante della soluzione. Inoltre - ha affermato Johnson - Starbucks investirà in pratiche agricole innovative e rigenerative, rimboschimento, conservazione delle foreste e rifornimento idrico nella nostra catena di approvvigionamento".
Cosa accade invece in Italia?
Gli italiani tendono ad orientarsi verso abitudini alimentari sane, caratterizzate da cibi leggeri e poco calorici. Lo rivela infatti un’indagine condotta da Nomisma per l’Osservatorio Buona Pausa Pranzo di CIRFOOD. Quello che emerge dall’analisi di mercato effettuata è la tendenza a una pausa pranzo breve che fa riferimento per lo più ad una scelta di cibi cucinati e portati da casa (per il 65% dei lavoratori e il 78% degli studenti) oppure acquistati già pronti, come ad esempio insalatone, zuppe e panini (per il 52% dei lavoratori e il 53% degli studenti) dove l’elemento di origine animale viene sempre meno coinvolto. Cibi light e composti da ingredienti biologici, ipocalorici e iperproteici. La maggior parte dei consumatori, quando può, sceglie materie prime da filiere controllate, a Km0 e biologiche. Forte interesse anche per l’impatto ambientale legato alla produzione dei cibi, che porta i consumatori a optare per il consumo quotidiano di alimenti naturali e poco (o per nulla) trasformati quali pasta, riso, cereali, frutta, verdura e legumi.
Una tendenza generale non solo italiana, infatti la Commissione europea - in virtù di questi profondi cambiamenti nelle abitudini alimentari - ha stanziato 200,9 milioni di euro destinati alla promozione dei prodotti agroalimentari, tra i quali anche per i prodotti biologici – se ne parlerà ampiamente dal 1 al 3 aprile a B/Open (la fiera più importante del settore dedicata al biologico).
Da pochi giorni si è conclusa la quarantunesima edizione del Sigep, a Rimini, ed è emerso che i prodotti che sottolineano l’origine vegetale in etichetta sono aumentati a livello globale del 64%. Insomma, da una tendenza definita modaiola siamo passati ad una consolidata abitudine delle aziende a proporre alternative plant-based, perché non si riferirebbero solo ad una clientela specificamente vegana, ma ad un pubblico più ampio costituito dai cosiddetti flexitarian (consapevoli o meno) che adottano un regime alimentare flessibile (più plant-based e meno di origine animale), dedito al benessere e all’attenzione verso la sostenibilità ambientale; senza parlare poi delle numerose referenze free from o less in adatte alle persone intolleranti.
Una lunga premessa per dire che se il mondo va in una direzione, le nuove Linee Guida del Ministero della Salute vanno nella direzione opposta. Infatti rappresentano un enorme passo indietro rispetto alle direttive precedenti sul tema dell’alimentazione plant-based, che viene definita come una moda o una deriva ortoressica.
Il documento è stato adottato per promuovere “l’adozione di abitudini alimentari corrette per la promozione della salute e la prevenzione delle patologie cronico-degenerative, di cui l’alimentazione scorretta è uno dei principali fattori di rischio” e porterà a modificare il tipo di alimentazione offerta oggi dalla ristorazione pubblica, a discapito delle diete a base vegetale.
Come sottolinea il professor Leonardo Pinelli – Professore associato di pediatria dell’Università di Verona – quella proposta dalle nuove Linee Guida “è una moderna Dieta Mediterranea che al contrario dell’originale suggerisce consumi di carni rosse e bianche, latte e latticini più volte alla settimana“. A proposito, la stragrande maggioranza (a mio avviso) di coloro che parlano di Dieta Mediterranea non sa nemmeno dell’esistenza del libro di Ancel Keys, ma questo è un altro discorso.
Il punto è che la posizione ministeriale in tema di dieta risulta essere - con queste nuove linee guida - arretrata e anacronistica, in quanto risulta in controtendenza rispetto alle numerose evidenze scientifiche che negli ultimi anni stanno proponendo un regime alimentare fatto di più frutta e verdura, più cerali integrali e legumi e dunque più sostenibilità. Infatti, nel documento, ad un certo punto si legge “Da notare che le motivazioni salutistiche e ambientali che portano ad adottare modelli diversi da quello mediterraneo, spesso non sussistono.”
Insomma, siamo ripiombati indietro di diversi anni e dunque sì, continuate a definirmi modaiolo, anche se questa moda ormai mi accompagna da 30 anni.
Fonti: Starbucks, Cirfood, Sigep, Beer&Food Attraction, Ministero della Salute, Osservatorio Vegan
Domenico Catapano docente universitario di Design della Comunicazione, food-photography-addicted, ha scelto di vivere cruelty-free: vegano, attento alla sostenibilità dello stile di vita.
Domenico Catapano