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Non puoi fare recensione negativa se non paghi il conto: il paradosso della critica gastronomica senza critica.

La critica gastronomica non esiste, non si fanno recensioni negative

Non puoi fare recensione negativa se non paghi il conto: il paradosso della critica gastronomica senza critica.
Critica.
Nel linguaggio corrente, giudizio sfavorevole, di natura soprattutto morale, censura, biasimo dei difetti, veri o presunti, delle azioni, delle parole, dei comportamenti altrui, oppure di fatti e situazioni (in questo sign. è frequente anche il plur.): fare, muovere delle c. a qualcuno; esporsi alla c., offrire il fianco alle c.; tirarsi addosso molte c.; essere oggetto di critica o di critiche; ricevere delle c.; non curarsi delle c.; c. severa, maligna, dispettosa, pettegola.

Ecco! Nel linguaggio comune "critica" va ad identificarsi con qualcosa di negativo, ma oggi nella critica gastronomica quanto è verificabile tutto ciò?

Ve lo dico io: zero!

Il paradosso della critica gastronomica è che non fa più critica.

Non esistono più le recensioni negative, non sono ammissibili le belle vecchie stroncature, non è possibile ritrovarsi a leggere un parere che completamente discordante dalla massa e ciò statisticamente è assurdo.

Basti pensare a tutto il polverone che è stato sollevato per la recensione di una blogger americana solo perché sparava a zero su uno stellato italiano che l’Italia manco cerca di filarsi; perché siamo bravissimi a fare la morale, a fare sabotaggio con scarico di responsabilità e dunque facciamo girare a patto che siano altri a prendersi le bizze.

Ma perché tutto ciò accade?

1- Le cene stampa

Questo è un mondo fantastico, fatto di piatti bellissimi e buonissimi e tanti altri aggettivi qualificativi di grado superlativo assoluto. Ovviamente sulla scia del totale distacco dalla realtà, in questo mondo positivo è bello!

Non esiste il negativo, in tutti i sensi. Non c'è un opposto che serva banalmente anche a mettere in risalto dettagli caratteristici. Questo perché la maggior parte delle penne vengono sfoggiate per raccontare esperienze che non sono arrivate per scelta bensì per invito. E allora succede che in primis non si può essere così cretini da sbagliare una cena studiata e in secondo luogo non si può essere così crudeli da stroncare chi ti ha gentilmente offerto la serata. Inevitabilmente ci si sente invasi dalla inspiegabile bontà d'animo che spinge a raccontare solo bene. "In fondo non è una marketta", ci si ripete.

Intanto però si sorvola su quella cottura, si evita la foto di quell'impiattamento spiacevole, si elimina il ricordo di quel piatto da incubo. Certo, certo non tutti. Ma stranamente chi "critica" non sentirà più il beep delle mail di invito.

2- "Non è un lavoro"

Di sicuro non svelo il segreto di pulcinella se dico che non si guadagna un cazzo a parlare di cibo. La passione non paga ma manco l'editore.

In questo ambiente recensire equivale a spendere il triplo di quanto si può recuperare. Sì, avete capito bene: no guadagnare ma recuperare!

Parliamo di cifre tipo 10 euro per articolo, 15 per una pizzeria (deve essere tra le grandi) o una trattoria; raddoppia la cifra per i ristoranti (e dobbiamo stare a parlare di testate grosse). In ogni caso non c'è manco recupero della spesa per il pasto insomma.

E allora come si fa a prendere sul serio una cosa del genere? Come si può non piegarsi a quell'invito, a quella cena gentilmente offerta che ti fa almeno prendere fiato?

Ci sono quei pochi poi che lo fanno per passione, per puro e semplice sfogo alle loro curiosità ed esperienze e lì parte il meccanismo opposto: "ma che davvero? e lo fai solo perché ti piace? dai ma chi ti crede? qualcosa dovrai pur guadagnarci!"

Ed in effetti chi crederebbe a qualcuno che "lavora tanto per.."? I ristoratori in primis non "accettano" di essere pubblicizzati aggratis: la reazione madre è bypassare completamente, ma a volte succede anche che si freghino solo le foto perché fatte anche bene dal povero sconosciuto.

3- Bisognerebbe essere indipendenti

La chiave di tutto starebbe nell'essere critici gastronomici indipendenti, ovvero conquistandosi una posizione di tutto rispetto - che si può avere davvero solo andando, viaggiando, girando, prenotandosi e pagando senza terzi per farsi introdurre, assaggiando tutto e tutti, fidandosi degli accostamenti scelti anche se non dovessi poi piacervi e dirlo, ma allo chef e motivando - ma soprattutto autofinanziandosi.

Ciò può avvenire solo e unicamente facendo altro nella vita, non sperando nel gettone di presenza che sia della grandezza di una pizza, e prendendosi il lusso di parlare di cibo solo perché si ha voglia di farlo e dunque raccontandone solo e soltanto per come ci pare.

Certo, sarebbe anche coerente e intellettualmente onesto parlarne con cognizione di causa e con delle basi visto che già fin troppi si improvvisano a inforchettare parole ed a balbettare piatti.

4- Cariiiissim* , come stai?

Altra cosa da mettere in conto è che questo giro è assurdamente corto: voglio dire che ci si mette davvero poco a completare il cerchio e conoscersi tutti, così si finisce per essere (e sentirsi soprattutto, e sfortunatamente) anche "noti".

Questo dettaglio contribuisce incredibilmente all'autostima dei più che diventano subbbito grandi amici di tutti i locali, o almeno quell’io di zona. Questo porta ad un altro passaggio fondamentale per le magiche recensioni che non conoscono l’utilizzo di una parola che ci si avvicini neanche ad una sfera negativa: essendo anche minimamente noti ci arriveranno piatti con una attenzione dedicata e quindi difficilmente sbagliati.

Sí, perché è letteralmente INNEGABILE: chi scrive, a qualsiasi livello (più o meno) non può davvero credere di non aver ricevuto una “attenzione extra”, che sia per il giudizio, che sia per amicizia, che sia anche solo perché credono che capiamo qualcosa su cibo.

5- Colpa di Alfredo

Come con le fettuccine alla Alfredo, siamo cosi preoccupati di doverci inventare storie, tradizioni, successi e miracoli che perdiamo totalmente di vista che determinati investimenti danneggiano a prescindere perché tagliano sulla credibilità.

Dall’incredibile del “tutto buoooonissimo” al ridicolo del “chi parla male ce l’ha con voi” non è più accettabile che ad un parere negativo sia gridi allo scandalo.

Insomma, mi permetto qualche consiglio ai lettori su come orientarsi:

  • In primis, sempre: godetevi il momento.
  • L’autorevolezza non si compra: essere autorevoli è un valore, qualcosa che hai dentro, qualcosa che non cambia né con una cena offerta né con un invito extra perché sarai comunque portato a dire ciò che pensi. Essere autorevole non è da tutti, ovvio, ma non significa non accettare a prescindere perché a certi livelli non cambia veramente nulla a nessuno che la cena sia offerta o che si scriva dell’esperienza (in bene o in male). E allora o hai quell’impronta caratteriale che fa sì che a prescindere tu non sia in vendita oppure, al contrario, sarai sempre venduto come per una cena anche per un panino perché non conterà il poterselo mettere ma il non volerselo concedere.
  • Non esiste il critico giusto ma con un po' di fortuna leggendo tra le righe potrete trovare quello che incontra il vostro gusto e di conseguenza risparmiare costose perdite di tempo; leggendo con attenzione si possono intuire i difetti, i malcontenti, le superficialità ma anche le esagerazioni: dovete solo fare attenzione ai dettagli e… alle virgole.
  • Non esiste il posto né il piatto perfetto, esiste ciò che ci piace e non deve essere per forza ciò che è buono: il gusto, la percezione degli odori e l’innesco del ricordo sono una combinazione unica per ognuno di noi e per ogni singola esperienza.
  • Fate pure classifiche personali sulla base di ciò che avete provato, ma non cadete nel tranello delle posizioni assegnate per politica, tattica, strani legami lavorativi sottintesi e sponsor nascosti lì dove meno si vedono ovvero sotto gli occhi di tutti.
  • Paradossalmente il metodo con maggior possibilità di riuscita, quello con il successo quasi garantito è sempre lo stesso: il passaparola.

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