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Proteste allevatori bufale: i problemi non si risolvono rivendicando l’impossibile, ma lavorando a fianco delle istituzioni

Proteste Allevatori Bufale, brucellosi: abbattere il bestiame o vaccinare di massa?

Proteste allevatori bufale: i problemi non si risolvono rivendicando l’impossibile, ma lavorando a fianco delle istituzioni

Dietro ogni prodotto alimentare, a maggior ragione se di origine animale, c’è sempre una filiera molto più complessa di quanto comunemente si creda.

Non ci sono solo gli allevatori, i trasformatori e la distribuzione, ma ci sono anche tutta una serie di soggetti che interagiscono con questi, per questioni di carattere logistico, commerciale, sindacale, sanitario, ecc. E poi ci sono le istituzioni (europee, nazionali e regionali), a cui spetta il compito di legiferare e di far rispettare le leggi su materie che, anche per effetto della globalizzazione dei mercati, diventano anno dopo anno sempre più intricate.

Ognuna di queste categorie ha interessi specifici, che molto più spesso di quanto si pensi entrano in conflitto l’una con le altre. Ma è solo quando queste contrapposizioni diventano insanabili che le problematiche della filiera finiscono per interessare il grande pubblico: come accadde nel 2019, quando i pastori sardi entrarono in rivolta sversando sulle strade migliaia di litri del latte delle loro pecore per rivendicare un prezzo più remunerativo per il loro prodotto, condizionato invece da un andamento molto negativo del Pecorino sui mercati internazionali.

La scorsa settimana è stato il turno degli allevatori bufalini casertani, scesi in piazza per protestare per il problema della brucellosi, una malattia infettiva molto diffusa a livello mondiale, che può colpire quasi tutte le specie animali allevate.

I pericoli che questo batterio può provocare alla salute umana sono in realtà molto remoti, perché, essendo la brucella un microrganismo che si inattiva già a 35°C, essa può trasmettersi all’uomo solo per contatto prolungato con animali infetti o, in alternativa, nel caso in cui si beva latte crudo o si consumino formaggi freschi che non abbiano subito alcun processo di termizzazione (che non è certo il caso della mozzarella di bufala, che per essere “filata” ha bisogno di una temperatura vicina ai 100°C).

È per queste ragioni che in molti Paesi, compresi gran parte degli stati USA, questa malattia non viene considerata meritevole di particolari attenzioni. L’Europa, che, dalla vicenda della “mucca pazza” in avanti, agisce ormai sempre con la massima prudenza nei confronti dei problemi sanitari negli allevamenti, ha invece deciso (Reg. 429 del 2016) che tutte le principali malattie infettive, compresa questa, debbano essere debellate sull’intero territorio europeo al più presto e a qualsiasi costo, anche ristorando economicamente gli allevatori che, per adeguarsi alla nuova normativa, siano costretti ad abbattere i loro capi o, in alternativa, a vaccinarli.

Quali sono allora i motivi della protesta degli allevatori casertani? E perché questa vicenda può scatenare una serie di reazioni a catena in un ambito geografico molto più vasto di quello da cui si origina?

La prima, importante considerazione è che, all’interno dell’aerale definito dal disciplinare della Mozzarella di Bufala Campana DOP, vi è in realtà solo una piccola frazione di territorio interessata dal fenomeno della brucellosi: appena 58 stalle dislocate nei pressi del tratto finale del fiume Volturno.

Il problema si risolverebbe in modo radicale se tutti gli allevatori interessati fossero disponibili ad abbattere i loro animali. Ma poiché non è così, l’unica alternativa sarebbe quella di procedere ad una vaccinazione di massa, che a quel punto coinvolgerebbe però non più soltanto gli allevamenti di cui sopra ma anche altre 360 stalle localizzate nei dintorni delle prime, e comporterebbe l’obbligo di rendere di pubblico dominio il programma di profilassi avviato in Campania.

La conseguenza sarebbe che tutta l’area entrerebbe in una lunga fase di monitoraggio, durante la quale non si farebbero di certo attendere le reazioni del mercato, che penalizzerebbe inevitabilmente il prezzo del latte proveniente da tutta quell’area, a vantaggio di altre. E non solo, perché tutto il latte (anche bovino o ovi-caprino) prodotto nell’intera Regione Campania potrebbe subire contraccolpi di mercato negativi, che nel caso della mozzarella di bufala avvantaggerebbero i produttori del Basso Lazio o della Puglia.

Se quindi non si possono sottovalutare le preoccupazioni degli allevatori, è anche vero che il grande problema consiste ancora una volta nel clima di sfiducia (non certo immotivato) che al Sud caratterizza in questo campo i rapporti fra istituzioni e produttori.

Potrebbe essere, da un lato, l’occasione ideale per la Regione Campania di dimostrare concretamente la propria capacità di elaborare e gestire un piano efficace di eradicazione della malattia, tanto in termini politici che tecnici, e potrebbe essere finalmente il momento, dall’altro, che i produttori si rendano conto che i loro problemi non si risolvono rivendicando l’impossibile, ma lavorando a fianco delle istituzioni, che possiedono tutte le competenze ed i mezzi finanziari per supportarli.

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