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Si torna sempre dove si è mangiato bene: il legame intestino - cervello

L'asse intestino-cervello ci permette di memorizzare dove abbiamo mangiato bene e tornarci

Si torna sempre dove si è mangiato bene: il legame intestino - cervello

Quanto ci manca poter andare liberamente in giro, spostandoci per tutta la regione e oltre, al fine di inseguire una buona cucina o un piatto che ci attrae? E soprattutto quanto siamo in astinenza da quelle portate che hanno segnato la nostra memoria e la nostra esperienza gastronomica?

Dopo oltre un anno in cui le possibilità di vivere con tranquillità a tavola sono state annullate (o quasi) siamo ancora capaci di fuggire con la mente in quel ristorantino o a quel tavolo vista mare o su quel sentiero alberato che ci riporta a quel profumo, a quel colore. Insomma, quando ci capita di pensare a qualcosa che davvero ci è piaciuto magicamente non solo ne ricostruiamo il sapore bensì anche l'ambientazione: e non solo: riusciamo letteralmente a tornare lì con la mente.

Non è una esagerazione! Ebbene sì, un gruppo di ricercatori USA ha intercettato e provato che esiste una comunicazione tra cervello e intestino che gioca sulla memoria e che ci permette di ritornare nei posto in cui abbiamo mangiato bene.

LO STUDIO

I ricercatori dei dipartimenti di Neuroscienza e di Biologia dell'evoluzione umana della University of Southern California, Los Angeles in collaborazione con il dipartimento di Psicologia dell'University of Illinois at Chicago ed il dipartimento di Fisiologia Cellulare e Molecolare della Yale Medical School hanno collaborato per portare alla luce che esiste un meccanismo legato all'ippocampo, la parte del cervello deputato alla memoria, che permette di "salvare il percorso" per giungere dove abbiamo trovato buon cibo.

I ricercatori hanno verificato infatti che se i ratti trovano e mangiano qualcosa di buono, il loro nervo vago si attiva automaticamente, favorendo la comunicazione con l'ippocampo in modo da memorizzare le informazioni utili a riportarli sul luogo della conquista. La controprova è stata che i ricercatori hanno notato anche che i ratti con la via intestinale del nervo vago scollegata non riuscivano a ricordare le informazioni ambientali, subendo significative alterazioni nella memoria.

IL LEGAME INTESTINO - CERVELLO

Il nervo vago è il principale mezzo di comunicazione neurale tra il tratto gastrointestinale (GI) e il cervello. I segnali GI mediati dal vago attivano l'ippocampo (HPC), una regione del cervello classicamente collegata alla funzione di memoria. Tuttavia, i precisi meccanismi ed una dettagliata conoscenza del funzionamento interno sul piano della comunicazione tra ippocampo e nervo vago a livello dal tratto gastrointestinale sono sconosciuti.

Lo studio mette in campo una procedura atta a dimostrare che per un meccanismo neurobiologico che potrebbe risalire all'epoca preistorica il nervo vago - oltre a trasmettere segnali al tronco cerebrale come senso di sazietà - invierebbe anche segnali ad un'altra parte del cervello, l'ippocampo, l'area deputata alla formazione della memoria. Insomma sembrerebbe che il sistema si comporti più o meno come le applicazioni di navigazione che oggi quasi tutti usiamo.

Nella preistoria infatti si viveva di caccia, dunque risultava fondamentale che il nostro intestino lavorasse a stretto contatto con il cervello per memorizzare i luoghi in cui si era fatta "caccia grossa". Insomma i nostri avi dovevano riuscire a memorizzare i luoghi ma anche il percorso da effettuare per tornare nei posti che avevano dato frutto alla ricerca del buon cibo. Ciò accadrebbe anche oggi.

I RISULTATI

I risultati rivelano un nuovo ruolo per la comunicazione intestino-cervello nel controllo dell'apprendimento e della funzione della memoria e identificano un presunto percorso neuronale attraverso il quale questa comunicazione può avvenire. Da una prospettiva evolutiva, il ruolo fisiologico della segnalazione sensoriale vagale derivata dal tratto gastrointestinale nella memoria dipendente da ippocampo può normalmente funzionare per migliorare la memoria episodica per le occasioni in cui si mangia, poiché la segnalazione sensoriale vagale del tratto gastrointestinale è più pesantemente impegnata durante l'alimentazione. Inoltre, dato che è vantaggioso ricordare la posizione fisica della fonte di cibo per poter fare "scorta" o quanto meno per poterci tornare, è probabile che la nostra abilità visuo-spaziale sia una componente fondamentale dei ricordi episodici legati al pasto. Da questo punto di vista, la segnalazione sensoriale vagale gastrointestinale durante l'assunzione del pasto rappresenta un meccanismo vantaggioso di sopravvivenza biologica che promuove la memoria episodica correlata al pasto per facilitare l'alimentazione futura.

IL SENSO DELL'ORIENTAMENTO

Dipende da diverse funzioni cognitive come percezione, attenzione e memoria, e di conseguenza coinvolge molte regioni cerebrali. In particolare, l’ippocampo, situato nel lobo temporale, è responsabile della memoria spaziale e consente di crearsi una mappa mentale dell’ambiente.
Infatti è stato possibile verificare che i soggetti più abili nell’orientarsi hanno un ippocampo più strutturato ed efficiente. Ovviamente queste abilità possono essere migliorate con l’esperienza: ad esempio si è osservato che nei tassisti l’ippocampo posteriore è più sviluppato, specie in quelli che lavorano da più tempo.

Nella messa a confronto tra uomini e donne, gli uomini hanno un migliore senso dell’orientamento. In realtà i due sessi usano strategie diverse: gli uomini creano una rappresentazione generale dello spazio, le donne si affidano a specifici punti di riferimento.

IL RICORDO

Due neuroni, per comunicare, si scambiano sostanze chimiche che li inducono a generare particolari impulsi elettrici. Se questo processo viene ripetuto milioni, miliardi di volte si avrà il trasferimento di un’informazione (visiva, acustica...) all’interno di un circuito neuronale del cervello umano.

Mi spiego meglio: supponiamo di trovarci di fronte un nuovo ingrediente mai visto prima e caratterizzato da un profumo piacevolissimo. Questo tipo di informazione viaggerà dalla mucosa olfattiva (la parte interna del naso che “sente” gli odori), lungo il nervo olfattivo, fino alla parte della corteccia cerebrale organizzata per analizzare e comprendere i profumi. In questo tragitto l’informazione attraverserà un numero enorme di sinapsi creando l’equivalente di un “sentiero” neuronale. Al ripetersi dell’esperienza, l’informazione percorrerà nuovamente questo sentiero rinforzandolo ancora di più, proprio come il passaggio di molte persone in un bosco crea un autentico sentiero.

Questo processo è chiamato “facilitazione”, la base fisica dei processi di apprendimento e memorizzazione: quando un’informazione è passata un gran numero di volte attraverso la medesima sequenza di sinapsi, le sinapsi stesse sono così “facilitate” che anche segnali o impulsi diversi, ma attinenti (per esempio il nome dell'ingrediente con quel particolare profumo) generano una trasmissione di impulsi nella stessa sequenza di sinapsi. Tutto ciò determina in noi la percezione dell’esperienza fatta in precedenza tantissime volte, e cioè il sentire quel piacevole profumo anche se il profumo non viene in realtà “sentito”. Ecco generato il ricordo.

Sappiamo che i ricordi non vengono immagazzinati nel cervello come fotografie, ma vengono in realtà scomposti nei loro costituenti (colore, sapore, movimento, profondità, intensità, suono e così via). Il più grande mistero è come facciano i frammenti dispersi nelle varie aree del cervello a ricomporsi, all'occorrenza, in qualche millesimo di secondo, facendo riemergere il ricordo completo. Più facile, invece, è capire perché alcuni ricordi si perdano (o vengano fatti sparire volontariamente): basta che il percorso “facilitato” tra le sinapsi si cancelli o si indebolisca, e il ricordo diventa inaccessibile.

L'INTESTINO: UN SECONDO CERVELLO

Michael D. Gershon, ha parlato del nostro intestino come di un “secondo cervello” che “sente”, metabolizza emozioni, smista informazioni, reagisce alle sollecitazioni dell’ambiente circostante, soffre, gioisce ed è capace di governare in piena autonomia le delicate funzioni della complessa macchina digestiva. Secondo l’esperto, pur avendo solo un decimo dei neuroni del cervello, l’intestino lavora in modo autonomo.

Non a caso le sue cellule producono il 95% della serotonina, il neurotrasmettitore del benessere che regola umore, sonno, dolore e anche le contrazioni addominali. L’intestino rilascia serotonina in seguito a stimoli esterni, come l’immissione di cibo, ma anche a input interni come emozioni e abitudini. Quando soffre, ad esempio per la sindrome del colon irritabile, la formazione di serotonina ne risente e possono manifestarsi disturbi del comportamento, ansia, depressione e paure.

Secondo Gershon esiste un asse pancia-testa, e la quantità di messaggi che il cervello addominale invia a quello centrale è pari al 90% dello scambio totale. Dunque non solo il cervello agisce sull’intestino, ma anche il contrario: stress e ansia alterano il funzionamento del nostro colon, e allo stesso tempo i disordini intestinali possono provocare variazioni dell’umore.

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