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Bere a Oriente: un tuffo nella poliedrica cultura del sake

Storia, leggende e usanze legate al sake ed alla cultura giapponese

Bere a Oriente: un tuffo nella poliedrica cultura del sake

È incredibile quanto evocativa possa essere una sorsata di sake e quanto sapere sia contenuto in essa, capace com’è di proiettarci in contesti storici, paesaggi e narrazioni che coesistono nel tessuto sociale collettivo del popolo giapponese, continuamente in bilico tra passato e futuro.

L’aspetto culturale del Giappone, infatti, è inequivocabilmente legato al sake: piuttosto vasto e poliedrico, almeno quanto quello del vino per noi occidentali, questa formidabile bevanda ha attraversato il tempo influenzando modelli agricoli, arte, letteratura e costumi, diventando parte di rituali religiosi che si svolgono ancora oggi, sfiorando in pratica tutte le diverse discipline in cui l’uomo del Sol Levante si è cimentato.

La storia del Giappone è ricchissima di avvenimenti che riguardano il nihonshu e talvolta sembra che l’evoluzione di questo Paese coincida con l’evoluzione stessa del fermentato di riso e koji: tutto questo ha avuto inizio a partire dall’influenza che la Cina ha esercitato sull’arcipelago, introducendo la risicultura, l’architettura armoniosa dei terrazzamenti per praticarla e le tecniche di allagamento delle risaie per gestire meglio le irrigazioni ed avere sempre una buona riserva di acqua. Il l riso riuscì da solo a modificare società e paesaggio, crescendo diede vita ad un modello culturale nuovo e indipendente che ha finito per assumere un profilo ben distinto rispetto alla matrice cinese che lo ha semplicemente avviato.

Lo studio della storia giapponese è innanzitutto indagine e ricerca di tracce letterarie, quelle tracce letterarie che tramandano personaggi ed avvenimenti, collocano geograficamente i luoghi di allora e che ci aiutano ad avere comprensione degli ideogrammi impiegati all’epoca e le antiche usanze, tra cui quella di bere il sake. Grazie al libro cinese Gishi Wajin Den oggi sappiamo che durante feste pubbliche e cerimonie religiose (tra cui i funerali) i giapponesi erano soliti consumare il sake, mentre nel testo Ohsumikoku Fudoki compare per la prima volta il termine kuchikami no sake ed una descrizione su come produrlo. Siamo a questo punto attorno al 300 a.C. e le risaie sono diffusissime in tutto il paese.

Bere a Oriente: un tuffo nella poliedrica cultura del sake

Il sake anticamente era una via per chiedere raccolti abbondanti, un modo per ingraziarsi gli dei e le forze della natura, pertanto non consisteva ancora in quella bevanda tanto diffusa e popolare così come la conosciamo oggi, anzi era proprio il contrario: sacro e riservato soltanto agli dei, all’imperatore e ad una ristretta cerchia di persone.

Tantissimo è stato tramandato sul sake e col passare degli anni verranno apportate molte modifiche alla maniera di fermentarlo: durante il periodo Nara si assiste all’introduzione dell’Aspergillus Oryzae, una spora che si trova anche sullo stelo del riso, meglio nota come koji, ed il cui effetto all’epoca veniva considerato quasi mistico, poiché innescava la saccarificazione degli amidi del riso allora sconosciuta. Con la trascrizione di notizie su cronache quali Harima no kuni Fudoki e Izumo no kuni Fudoki si scopre che la produzione di una nuova forma di sake, detta doburoku, venne prodotta per la prima volta, con buona probabilità, dai monaci scintoisti del tempio di Saka e che dal libro Engishiki, scritto attorno all’anno mille, le tipologie allora note si attestavano sulla decina.

Quel che è certo è che la produzione del fermentato passò dalle case imperiali ai templi, che a poco a poco aumentarono di numero su tutto il territorio e questo anche grazie al profondo legame tra lo Scintoismo e le pratiche agricole; si pensi che degli oltre 90 mila templi scintoisti almeno un terzo è stato dedicato ad Inari, divinità del riso e dei buoni affari. Interessante l’ingegno dei commercianti e dei maestri d’ascia durante il periodo Tokugawa: infatti, con il trasferimento della capitale del Giappone nell’attuale Tokio, il sake diede un fortissimo impulso all’arte navale ed alle tecniche di stivaggio, richiedendo la creazione delle Taru Kaizen, navi costruite appositamente per trasportarlo via mare.

Esattamente come per il vino anche il sake, come narrato nella mitologia shintoista, vive di sacro e profano ed entra in numerosi racconti e leggende. In una di esse si narra che a seguito della morte della madre Izanami, bruciata dopo aver dato alla luce il dio del fuoco, Susanoo, dio dei mari, degli uragani e delle tempeste, era diventato così inconsolabile ed irascibile che suo padre, il dio Izanagi, dovette cacciarlo via dal paradiso. Susanoo spinse sua sorella Amaterasu a rifugiarsi in una grotta e per questo venne esiliato sulla prima terra emersa, ossia Izumo, situata nel bel mezzo del Mare del Giappone e ad ovest dell’attuale Kyoto. Qui un drago enorme con otto teste ed otto code, chiamato Yamata no Orochi, dominava per la sua mole su ben otto valli ed otto colline, terrorizzando tutti gli abitanti del luogo. Il turbolento Susanoo incontrò una giovane vergine di nome Kushinadahime, l’ottava delle figlie di una coppia regale, pronta ad essere immolata al mostro. Il dio, subito innamorato per la grazia e la bellezza della fanciulla, promise agli anziani genitori che l’avrebbe salvata dalle fauci del drago, se loro avessero acconsentito alle loro nozze e, ottenuto l’assenso, si mise subito all’opera: fece costruire una lunghissima siepe interrotta da otto porte dietro ciascuna della quali dispose otto barili di sake e si mise in agguato in una foresta, attendendo che Yamata no Orochi ne fosse attratto. Per nascondere alla sua vista la promessa sposa la trasformò in un pettine col quale si acconciò la chioma. Tutte ed otto le teste del drago si fiondarono sul nettare e lo bevvero, ubriacandosi… fu così che Susanoo uscì allo scoperto e lo decapitò, recidendo anche le code di cui l’ultima, la più dura, nascondeva la leggendaria spada Ama no Murakumo. La preziosa spada del paradiso, in seguito chiamata Kusanagi no Tsurugi, venne data in dono da Susanoo ad Amaterasu in segno di riconciliazione.

Il portentoso sake citato nel mito era stato fermentato ben otto volte, esattamente come riportato nel Kojiki, un libro storico in cui vengono riportati antichi eventi che, tra verità e fantasia, ripercorrono le origini ancestrali del Giappone.

L’alcolico più tradizionale del Giappone in pratica ha attraversato tutte le epoche ed ebbe una grande popolarità anche grazie ai samurai, i quali avevano fama di concedersi molto volentieri una buona bevuta di sake mentre narravano fieramente le loro gesta o si concedevano un bagno rilassante alle terme: lo chiamavano “nikhonsyu” per distinguerlo dallo "yosyu", termine che designava il vino e tutti gli alcolici in generale che provenivano dall’Europa.

Bere a Oriente: un tuffo nella poliedrica cultura del sake

A proposito di samurai…

ricordate Goemon Ishikawa XIII in Rupan Sansei, il cartone animato creato dal mangaka Kazuhiko Katō nel 1967? Bene, Goemon era un tradizionalista, non amava le mode europee e beveva il sake direttamente dal sakazuki, una coppa dall’apertura molto ampia che si porta alle labbra con entrambe le mani.

La cultura giapponese è intrisa di sake ed i manga non fanno eccezione: infatti riportano frequentemente scorci paesaggistici e tradizioni ma anche consuetudini sull’enogastronomia giapponese. Un altro fan del fermentato di riso è Roronoa Zoro in One Piece: il samurai dalle tre lame beve direttamente dalla bottiglia, non una bottiglia qualsiasi ma la Isshobin da 1,8 litri, il formato magnum per intenderci. Neanche Tsunade Senju in Naruto se la cava affatto male, né a braccio di ferro né ad alzata di gomito quando si tratta di bere il sake.

Bere a Oriente: un tuffo nella poliedrica cultura del sake

Tra i film di animazione che più si ispirano al sake e che meglio descrivono l’immanenza della cultura giapponese nel passato merita la menzione Kimi no Nawa del regista Makoto Shinkai.

Che si tratti di un elegantissimo ristorante di cucina giapponese o una izakaya, un tipo di osteria anche detta akachōchin, dal nome delle lanterne rosse che ne segnalano la presenza, il nihonshu è sempre presente, sia per accompagnare un raffinatissimo menu che per rallegrare gli animi dopo una lunga giornata di lavoro, un po’ come per l’happy hour ma con gustosissime preparazioni, tipo ochazuke, yakitoki, karaage e, naturalmente, sashimi e sushi.

Nella cultura giapponese il sake è celebrazione: famosa è la cerimonia del Kagami Biraki che si tiene ogni anno l’11 gennaio e consiste nella rottura di un taru colmo di sake oppure di un kagami mochi.

Il barile di sake viene rotto anche dagli sposi durante il matrimonio, per l’acquisto di una casa, l’inaugurazione di un’attività, anniversari aziendali, vari tipi di ricorrenze e traguardi importanti.

Insomma il sake convive nella quotidianità del popolo giapponese e durante le feste. Ad esempio, il primo giorno dell'anno le famiglie si ritrovano e bevono un sake speciale, il toso, per buon auspicio; al raggiungimento della maggiore età, ossia a venti anni, è concesso bere sake e questa consuetudine ha origine dal Genpuku, l'antica cerimonia che si celebrava il giorno in cui i giovani della nobiltà ed i figli dei samurai, tra gli undici e i diciassette anni, indossavano il loro primo abbigliamento da adulti, pettinandosi con acconciature da uomini maturi e ricevendo un nome specifico per indicare il loro ingresso all'età adulta.

Il 3 marzo ricorre la festa della fioritura dei peschi, il Momo no Sekku: le case vengono decorate con bambole e pupazzi speciali per la gioia delle bimbe e per l’occasione si bevono i momozake, ossia sake a base di pesca, oppure l’amazake o lo shirozake, perché esse possano crescere sane. Nel giorno del 5 maggio, detto Tango no Sekku, enormi carpe variopinte, fatte di stoffa o di carta, fendono l’aria a mo’ di aquiloni, le case vengono ornate da pupazzi che indossano armature come quelle di un tempo e si fa il bagno in acqua profumata con gli steli del giglio, bevendo lo shobusake, un nihonshu contenente i petali di questo fiore.

Il natsugoshi no sake si beve il 30 giugno: la tradizione vuole che questo giorno coincida col periodo di riposo dei contadini, dopo la piantatura del riso, e questo sake speciale viene bevuto sia per propiziare un ottimo raccolto in autunno che eliminare le impurità accumulate durante la prima parte dell’anno.

Choyo no Sekku, ossia festa dei crisantemi, si festeggia il 9 settembre ed è una ricorrenza di retaggio cinese: anticamente si saliva su di una montagna per bere un fermentato col crisantemo per scongiurare calamità e mala sorte, oggi invece montagna o non montagna il sake coi fiori di crisantemo, cascasse il mondo, lo si beve uguale.

Ottobre, periodo in cui avviene la raccolta del riso e l’inizio della produzione del sake, viene rappresentato da un kanji dalla forma di una giara () da cui ha avuto origine l’ideogramma sake () che può essere pronunciato anche “shu” a seconda del contesto, ecco perché il primo giorno di questo mese si festeggia la giornata nazionale del nihonshu (日本酒) come decretato dal governo giapponese nel 1978.

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La natura culturale del sake riesce pertanto ad essere dotta e disinvolta, raffinata e folkloristica, tradizionale ed innovativa al tempo stesso, offrendo una miriade di interpretazioni e riflessioni al bevitore attento e desideroso di approfondire la propria conoscenza a riguardo, aprendosi ad un’esperienza di studio, di gusto e di piacere, fissando magari in maniera estatica un paesaggio innevato, pratica risalente al X secolo, nota col nome di Yukimizake… una delle vie del popolo giapponese per fondersi con la Natura.

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