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SALVATORE GRASSO: "MI RITENGO UN PRIVILEGIATO PER LE RARITA' CHE POSSEGGO MA LO CHAMPAGNE PER ME È CONOSCENZA ROMANTICA"

Intervista a Salvatore Grasso, imprenditore, chevalier della Champagne, e collezionista di bottiglie rare

SALVATORE GRASSO: "MI RITENGO UN PRIVILEGIATO PER LE RARITA' CHE POSSEGGO MA LO CHAMPAGNE PER ME È CONOSCENZA ROMANTICA"

PIZZERIA GORIZIA 1916

Via Bernini 29/31 Napoli
Tel.: 0815782248
Email: info@gorizia1916.com

Abbiamo incontrato il trentasettenne Salvatore Grasso,

figlio del patron di Pizzeria Gorizia 1916, imprenditore partenopeo, studi ingegneristici, Chevalier de l’ordre de Champagne, imprenditore e patron del ristorante Gorizia, nonché selezionatore e collezionista di bottiglie rare.

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Bastano pochi stralci di conversazione, per comprendere quanto sia profondo il legame tra Salvatore Grasso e la Francia,

un fil rouge risalente ai tempi del bisnonno che unisce la propria famiglia ai territori d’Oltralpe, intessuto di fili di passione eno-gastronomica che possa valorizzare il territorio, ma anche di vocazione alla rete imprenditoriale.

Dei locali gestiti nel capoluogo partenopeo parleremo diffusamente altrove – notabili impasto e lievitazioni da Olio e Pomodoro, Gorizia 1916 in Piazza Vanvitelli rimane un presidio della tradizione gastronomica regionale dalla fondazione, con una carta dei vini puntualmente aggiornata.

SALVATORE GRASSO: "MI RITENGO UN PRIVILEGIATO PER LE RARITA' CHE POSSEGGO MA LO CHAMPAGNE PER ME È CONOSCENZA ROMANTICA"

Abbiamo avuto il privilegio, per l’occasione, di accedere al private cellar personale di Salvatore, che funge anche da cantina di approvvigionamento delle proprie attività ristorative.

SALVATORE GRASSO: "MI RITENGO UN PRIVILEGIATO PER LE RARITA' CHE POSSEGGO MA LO CHAMPAGNE PER ME È CONOSCENZA ROMANTICA"

Un vero e proprio scrigno di rarità e chicche enologiche, assemblate in anni di collezionismo e collocate in una cantina di tufo condominiale, che Salvatore custodisce gelosamente, come mappa ragionata della propria passione, anche cartina di tornasole dei propri incontri, visite aziendali in giro per il mondo, e, perché no, relazioni personali privilegiate con colleghi ed operatore di settore.

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Dunque, circa seimila le bottiglie annoverate in questo “antro iniziatico”,

in cui praticamente tutto è personalizzato – anzi, mutuando un termine dal marketing, “customizzato” – ad uso e consumo del titolare, dagli splendidi sgabelli stilizzati in sughero al tavolo di marmo rosa, dalle pupitre ai bicchieri di cristallo personalizzati, sino alle bottiglie in rare edizioni serigrafate, numerate o dedicate ad artisti di caratura internazionale.

Insomma mi trovo davanti ad un piccolo tesoro che presumo sia stato un investimento considerevole, non solo in termini economici.

Dinanzi a cotanta pregiatezza non potevo che lasciarmi andare a qualche curiosità con Salvatore che diligentemente voglio condividere con tutti i foodclubbers!

Salvatore Grasso ci porta nel suo esclusivo caveau, raccontandoci come il privilegio di uno può diventare bellezza da condividere per tutti e come il lusso non sia necessariamente sfarzo ma eleganza

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Salvatore buongiorno, anzitutto è un piacere (ri)vederti, mi sento davvero privilegiato a poter toccare con mano il frutto della tua passione, presumo sia stato un investimento considerevole, non solo in termini economici. Esiste una guida ragionata, funzionale alla visita di questo incredibile caveau?

"Carlo, buongiorno a te e benvenuto. In realtà una guida ragionata non esiste, è stato un progressivo allestimento e messa in opera, che ha spesso coinciso con le tappe formative della mia professione, ma anche della mia voglia di scoprire e conoscere a livello personale. Ci tengo a precisare, anzitutto, che tutte le bottiglie sono state rigorosamente acquistate a prezzo di listino dai produttori, sono l’ultima persona che favorirebbe delle pratiche di secondary selling, che poi sono il preludio a logiche speculative. Altra doverosa premessa è che la conoscenza personale è diversa dalla divulgazione, per quest’ultima ci sono amici che lo fanno egregiamente, penso a Oscar Mazzoleni o Alberto Lupetti, io degusto in maniera diciamo romantica, non in base a dei marcatori ed a logiche formali aritmetiche, come spesso si suole fare al giorno d’oggi."

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Passando alla composizione, come hai deciso di allestirla, tenendo conto del composito panorama enologico attuale?

"Delle circa seimila bottiglie che compongono il cellar se ne ricava una composizione territoriale pressoché circoscritta a Francia ed Italia, ad esempio l’unica bolla della nostra penisola è La Riserva del Fondatore Trento DOC di Giulio Ferrari, di cui posseggo parecchie annate, ivi includendo la rosè di anni recenti, e la cuvèe Franco Ziliani Franciacorta DOCG riserva di Berlucchi, entrambe assolute eccellenze. Potrei dire che è rappresentata tutta l’Italia che mi piace, i produttori che hanno segnato la nostra storia, l’Etna di Federico Graziani, mio grande amico, sino alla Toscana con i classici di Bolgheri ed alla Valpolicella di Dal Forno, transitando per l’Abruzzo di Emidio Pepe, poi la notabile Francia, da Bordeaux alla Borgogna – là segnalo l’astro nascente Jeremy Recchione, al quale sono legato – infine le due maison iconiche, Krug e Dom Perignon, i miei paradigmi di riferimento, con una particolare predilezione per l’annata 1985, il mio anno di nascita, di cui conservo tutte le referenze."

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Potresti chiarirmi in che misura questi brand hanno orientato le tue idee, e se non ritieni che sia un discorso da privilegiato, inaccessibile ai più?

"Indubbiamente mi ritengo un privilegiato, ma ho sempre fatto corrispondere al valore economico delle mie scelte, la consapevolezza delle mie conoscenze sottese. A pensarci bene, è il medesimo discrimine che corre fra valore e prezzo, il primo deve essere riferibile a dei parametri codificati che – generalmente - denotano la qualità sottesa e percepita, il secondo è da intendere alla stregua di un fattore esogeno, dove confluiscono diversi elementi, dice tuttavia molto poco in termini di identificabilità di un bene. Riguardo Dom e Krug, sono due case leggendarie, io mi definisco “figlio putativo” del marketing di Dom Perignon del nuovo millennio, agli inizi del duemila fu fatta una straordinaria operazione di colonizzazione dell’immaginario collettivo, mi riferisco all’iconica bottiglia con lo scudo, presentata in location turistiche d’eccellenza, come la Costa Smeralda in Sardegna, e la Versilia in Toscana, non a caso tutt’ora fra le mie mete di vacanza preferite."

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Quanto pensi che influisca, dunque, il marketing nella percezione di un prodotto di lusso come lo champagne, che già nasce con una specifica collocazione di mercato ed una clientela radicata?

"Grazie per la domanda, qui dovrò essere reciso nelle mie affermazioni, e preciso nella terminologia. Lo champagne nasce – e muore, intendendo con tale locuzione il consumo finale – come prodotto antipopolare, che rifiuta la logica qualità-prezzo, contro la quale mi scaglio da sempre, e che purtroppo viene ulteriormente inflazionata dall’uso comune. Mi spiego meglio, ogni prodotto dovrebbe tendere a due logiche, quella di voler aspirare ad essere paradigma di un territorio, in termini qualitativi assoluti, e di voler riprodurre un proprio stilema di gusto e riconoscibilità, in base alla metodologia produttiva, questa relativa in base al singolo. Da questo punto di vista, il marketing non deve essere percepito come un fattore distorsivo, ma anzi ha una funzione importante di “democratizzazione” di un prodotto, nell’ottica di una reale comprensibilità da parte dei consumatori, ripeto che mi interessa parlare di valore intrinseco, e non di prezzo, oggi la battaglia si svolge sui campi del percepito, i pubblicitari orientano le scelte dei consumatori, mi pare ovvio."

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Cosa ne pensi dei recultant manipulant, produttori della Champagne relativamente piccoli che elaborano e commercializzano in proprio, utilizzando solo uve da vigneti di proprietà?

"Non entro nel merito del loro lavoro, meritevole ovviamente, ma personalmente mi interessano molto poco, nell’accezione precisata poc’anzi, dico solamente che loro possono permettersi di sbagliare un anno in termini di rendimento, mentre le grandi maison sicuramente non possono concedersi errori, proprio perché ci sono caratteristiche che aspirano ad essere di riconoscibilità, inveterate e richieste. Diciamo che l’unico che bevo con sommo piacere – rientrante in tale categoria con difficoltà – si chiama Eagly Ouriet, produce circa duecentomila bottiglie annuali, e non sbaglia un colpo. Insomma, non necessità di fare parlare di sé per estremizzazioni o eterodossie produttive, diversamente porsi l’obiettivo del consolidamento di uno standard qualitativo, in una piena filiera commerciale."

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Ci sono dei prodotti che hanno sancito un picco produttivo, un punto di non ritorno sino al punto di renderli un nuovo livello di riferimento per delle maison?

"Certamente, non temo di annoiare, ma ancora una volta dovrò citare Dom Perignon e Krug, ti ricordo che il ristorante di famiglia Gorizia è Krug Ambassade, ma davvero non lo dico per campanilismo. Dunque, ritengo che l’annata 2006 del Vintage Brut di Dom Perignon è stata memorabile, un dialogo fra l’eleganza dello Chardonnay e la struttura del Pinot Noir, rimasta ineguagliata negli anni successivi come acme produttivo, mentre per il Krug la 170me edition è la massima espressione, una Grand Cuvèè che viene ricreata ogni anno, spingendosi oltre il concetto di annata, partendo sempre da un blend di oltre 120 vini di oltre dieci annate diverse, un mio must. "

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Concludendo, quali sono le esperienze più memorabili alle quali ti sia capitato di partecipare in questi anni?

"Diciamo che, da osservatore occidentale privilegiato quale sono, ho avuto la fortuna di viaggiare tanto, e l’idea sottesa è quella di calarsi in una realtà altra, una quotidianità che non ti appartiene, non meramente con gli occhi del turista, tuttavia percepita come propria. Quindi, sicuramente, ancora una volta la Francia territorio d’elezione, menzionerò un luogo, una persona, ed un’attività, che mi hanno segnato profondamente nello svolgimento del mio ruolo. Il luogo è lo Chateau de Saran, ubicato fra Reims ed Epernay, un elegante castello ottocentesco di proprietà della Moet et Chandon, di recente restaurato dal tycoon Bernard Arnault, nel quale ho soggiornato più volte, insieme ad altri colleghi, nel quale ho bevuto bottiglie memorabili. La persona invece è Vincent Chaperon, lo chef de cave di Dom Perignon succeduto al predecessore Richard Geoffroy, che porta avanti la ricerca della maison, un professionista dal talento unico, che mi fregio di avere incontrato più volte, dall’insediamento. In merito all’attività, infine, è stato emozionante partecipare – da osservatore esterno – alla creazione dei vin clair, cioè i vini – fermi, ad acidità elevata – che finiranno per comporre la non-vintage special cuvee, presso la Maison Bollinger avviene la selezione, sino a seicentocinquanta bevuti in pochi giorni insieme alla crew di enologi, evento gratificante e formativo, tanto per avere l’ennesima riprova dello straordinario know-how profuso nel settore, che è il mio ambito elettivo."

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