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Levare le stelle ai ristoranti tossici? Non si creano chef di successo con molestie e vessazioni ma insegnando a gestire pressione e lavoro sotto stress

Petizione per togliere le stelle Michelin ai ristoratori che abusano del personale.

Levare le stelle ai ristoranti tossici? Non si creano chef di successo con molestie e vessazioni ma insegnando a gestire pressione e lavoro sotto stress

Non siamo soliti commentare le notizie che spesso vengono riportate ma in questi giorni sono accadute molte vicende che hanno attirato la nostra attenzione. Nei nostri articoli cerchiamo di fare comunicazione e informazione in modo che le persone possano farsi un’idea e decidere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.

Andiamo per ordine.

È giunta la notizia che The National Chefs Union ha avviato la raccolta firme per una petizione su Change.org per chiedere alle guide gastronomiche di rimuovere le stelle e i premi ai ristoranti che non rispettano le proprie brigate e i propri dipendenti. Tale atto arriva dopo l’ennesima notizia di soprusi e abusi all’interno di una cucina.

Il caso in questione, alle cronache del giorno, riguarda lo chef del Regno Unito Tom Kitchin proprietario di due locali a Edimburgo. Sembrerebbe che in uno di questi, il The Kitchin (una stella Michelin) due chef senior siano stati sospesi in attesa di indagini interne poiché accusati da alcuni ex dipendenti di aver creato un clima di lavoro “tossico e violento”.

I fatti risalgono tra il 2017 e il 2019 ed i dipendenti non lavorano più già da tempo nel ristorante ma il gruppo che gestisce il locale vuole far luce sui fatti.

Altro caso è quello dello chef Gabe Erales, vincitore di Top Chef USA, accusato di molestie sul posto di lavoro e licenziato nel dicembre del 2020.

Ora non vogliamo entrare nel merito dei soggetti sotto accusa ma vorremo fare una riflessione sulla mentalità che muove la gestione di una cucina. È inutile raccontarsi la favoletta che siano casi isolati, che in cucina non è cosi… etcetera.

La "violenza" in cucina è necessaria alla crescita personale?

In cucina ci si entra se si ha la forza, se si ha la giusta dose di cattiveria, se si è disposti a sopportare vessazioni e soprusi per crescere ed imparare, se si è disposti a fare delle rinunce, questo è quello che spesso viene detto a chi si approccia a questo mondo.

Beh dovremmo cambiare questa mentalità, non si può ancora andare avanti così giustificandoci e nascondendoci dietro il racconto che ciò che viene fatto per allenare i lavoratori della ristorazione a reggere ritmi, stress e carichi di lavoro pesanti sia necessario. Finché non si romperà questo muro di omertà non riusciremo a creare una ristorazione più sana. Finché non si capirà che non si creano chef competenti e capaci con la paura, le molestie e le vessazioni ma insegnando come gestire i momenti di stress, come amplificare la capacità di problem solving, come imparare dagli errori commessi e andare avanti e migliorarsi, innescare un circolo virtuoso nei giovani cuochi e non riversare le vessazioni subite su di loro continueremo ad alimentare questo sistema malsano.

Il post lockdown ha palesato i limiti di un settore che si regge in piedi su un sistema malato, fatto di lavoro sottopagato, in nero, con persone sfruttate con la giustifica della passione…e lo si deve accettare altrimenti si è un debole o non si è all’altezza per fare questo mestiere. Vogliamo parlare poi del fatto che nel momento in cui si faccia notare un comportamento negativo si passi per il rompiscatole o “mammoletta” della situazione? Si perché se non si è duri abbastanza si è più simili ad una donna, che nell’immaginario collettivo non è il genere adatto a fare tale mestiere.

Assenza di lavoratori nella ristorazione: colpa dei sussidi?

La crisi dei lavoratori è stata letta come una scarsa voglia di lavorare, come un essersi liberati di un lavoro e aver trovato sussidi che hanno sostituito lo stipendio, ma crediamo davvero che sia così?

Vogliamo dare il beneficio del dubbio su alcuni fannulloni cronici ma su altri possiamo anche pensare, ed affermare, che si siano fatti due conti ed abbiano capito che preferissero vivere una vita e veder crescere i propri figli, o stare con i propri affetti anziché rinchiusi tra quattro mura a far star bene gli altri? Può essere un’ipotesi?

Possiamo pensare che alcuni non essendo assunti -perché lavoratori in nero- non avessero diritto alla cassaintegrazione ed abbiano trovato un altro lavoro che li soddisfacesse di più e li rendesse più liberi e “sani”?

Possiamo dirvi che molti cuochi sono andati a lavorare in macelleria o pescheria perché i ritmi sono più tranquilli e la sera possono stare a casa…non è facile come valutazione, sono scelte che si fanno sull’analisi di costi, sacrifici aggiungeremmo, e benefici. Lasciare un lavoro che ami perché ti obbliga a fare una scelta tra lavoro e famiglia, alcuni hanno fatto questa riflessione.

Capite come sia da cambiare la cultura che muove tale reparto? Ma cosa si fa in merito? Durante il lockdown si sarebbero potuti sviluppare tavoli di discussione, incontri con le istituzioni e molto altro per creare qualcosa di buono e spendibile per questo settore. Questo era il momento per cambiare le regole del gioco, e invece? Nulla.

Adesso tutto è ripartito seguendo il solito andazzo con l'aggravante di una crisi economica evidente che peggiora le condizioni nel settore: fa più notizia il nuovo menù dello chef di turno piuttosto che la crisi del lavoro, il fatto che gli istituti non formino ragazzi preparati perché non ci sono fondi, che molto spesso gli aspiranti cuochi sono "costretti a cucinare" ingredienti teorici e in assenza di strumenti diventa veramente difficile formare elementi preparati che sappiano esattamente cosa fare quando entreranno a far parte di una brigata. Questo è il cane che si morde la coda, una formazione scarsa di base crea i presupposti per atteggiamenti aggressivi e malsani amplificati quando le cose non funzionano come dovrebbero e si diventa vittime di pressione e stress.

Tutti i problemi che si riscontravano precedentemente sono rimasti li ad attendere la ripresa.

Può una petizione abbattere il muro dell'omertà e far emergere i problemi del settore? O pur di lavorare e di non essere marchiati come degli ingrati si continuerà a tacere per garantirsi una carriera?

La richiesta dell’Unichef, associazione di categoria nata nel 2015, pubblicata su change.org (per chi volesse firmare la petizione) è la seguente “Ora è il momento per i marchi globali come Michelin di chiamare in causa questi chef che ritraggono un'immagine sana al pubblico ma sono abusatori sistemici e gestiscono le loro cucine "tribali" con tutta la tecnica di gestione di una banda di teppisti di strada. Le persone all'interno dell'ospitalità sono ben consapevoli di tutti i problemi, ma sono riluttanti a criticare, ma ora crediamo che tutte le sponsorizzazioni e i riconoscimenti assegnati a un marchio dovrebbero essere annullati su prove comprovate di abuso e che aziende come Michelin dovrebbero "richiamare" abusi in loro nome.”

È interessante notare come si chieda a coloro che elogiano gli chef, che gli permettono di essere conosciuti di prendersi la responsabilità di valorizzare coloro che hanno un atteggiamento proattivo e di allontanare coloro che creano un danno alla società e alla visione della ristorazione. Perché quello che si crea è un danno enorme al settore nel momento in cui si crea un ambiente di lavoro ostile. Ma perché si riferiscono ai marchi globali e alla Michelin? Perché parliamoci chiaro sono loro che detengono il “potere” di puntare un riflettore sugli chef, e che dovrebbero decide su chi puntare per far di loro dei punti di riferimento positivi. Perché, soprattutto in questi tempi, molto gira intorno anche al racconto che ne viene fatto e bisogna iniziare a riflettere che chi racconta, chi riesce a raggiungere molte persone ha un’enorme responsabilità, perché aiuta le persone a formarsi delle idee, a riflettere, a ragionare su determinate dinamiche. Forse la vera "stella verde", riconoscimento per la sostenibilità, dovrebbe essere attribuita a chi riesce a garantire un ambiente di lavoro sano e non a chi ha una pianta di basilico biologica. Se non ci prendiamo cura dei nostri uomini, se non rispettiamo il prossimo, un essere umano esattamente come noi, come possiamo pretendere che a qualcuno interessi di salvare il pianeta? Smontiamo il teatrino, siamo tutti stanchi.

Champions of Change 2021 di World's 50 Best Restaurant

La scorsa settimana è stato assegnato il premio Champions of Change 2021 di 50 Best (organizzazione internazionale che premia i 50 migliori ristoranti del mondo), a Viviana Varese, Kurt Evans e Deepanker Khosla , dedicato a chi in cucina ha sfruttato il fermo della pandemia per impegnarsi oltre la gastronomia.

La chef Varese viene premiata, per il suo impegno nei riguardi della comunità LGBTQ+ e l’attenzione all’inclusione sociale, di seguito la motivazione riportata sul sito dell’organizzazione: “Nei suoi ristoranti, Varese pone una forte attenzione all'inclusione del personale indipendentemente da sesso, razza, età o sessualità, favorendo un ambiente in cui tutti sono incoraggiati a essere se stessi. Collaborando con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha aiutato a formare e integrare diversi sfollati. Varese cerca anche di lavorare con fornitori che condividono gli stessi valori: i suoi piatti e le sue ceramiche sono realizzati da un'azienda che impiega e supporta le persone con disabilità.”.

Questi premi vengono assegnati a coloro che vengono definiti “eroi non celebrati” del mondo dell’ospitalità, coloro che guidano un cambiamento positivo nel settore.

Ma eroi non celebrati da chi? Chi decide che non vengano celebrati? Ascoltati e visti come essere umani che fanno ristorazione ma come “mosche bianche”?

La stessa società a cui non interessano le condizioni di lavoro in cui sono milioni di persone, piena di stereotipi che continuano a perpetuare e per cui appunto pochi cuochi conosciuti si battono. La stessa società che esalta il piatto di uno chef senza criticare le sue frasi sessiste o atteggiamenti violenti verso lo staff, che non permette a ragazzi di un’altra nazionalità, molto spesso neri, di non fare altro che i lavapiatti in cucina, quanta responsabilità abbiamo in tutto questo?

Abbiamo bisogno di eroi?

L’idea di eroe non aiuta, poiché questa figura quasi mitologica rimanda ad un essere umano molto lontano dalla realtà, un personaggio non comune, distante da un normale essere umano. Invece queste battaglie dovrebbero essere di tutti, l’inclusione, l’accettazione dell’altro, delle diversità, perché sì, siamo diversi, bisogna dire che ci sono diversità perché solo così riconoscendo che non tutti abbiamo le stesse possibilità possiamo aiutarci l’un l’altro riconoscendosi e supportandoci.

Ci sono punti di vista differenti, percorsi personali unici, orientamenti sessuali, generi e etnie ma sono queste diversità che ci permettono di accettare e comprendere la complessità della vita e la bellezza dell’altro. Allontanando da noi la possibilità di essere questo cambiamento, ci neghiamo l'opportunità di farne parte come protagonisti attivi.

ps. Rinnoviamo i nostri complimenti agli Chef premiati e in particolare alla Chef Varese per il suo impegno quotidiano nell’inclusione sociale, nell’accoglienza dell’altro e della sua complessità e le facciamo i nostri più sentiti auguri per i bellissimi progetti che metterà in campo.

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