Sostenibilità: la soluzione non è la carne biologica ma quella senza macellazione. Le prospettive però sono inquietanti
Sostenibilità: La carne continua a costare troppo in termini ambientali. Il biologico non risolve il problema
La produzione e il consumo di carne e derivati rappresentano un enorme problema per il nostro pianeta. Vediamo perché. Uno studio delle Università di Oxford, Stanford, Minnesota e California, pubblicato recentemente sulla prestigiosa rivista Science, ha calcolato che tra il 2012 e il 2017 l’industria alimentare ha prodotto ogni anno 16 miliardi di tonnellate di CO2, tanto da potersi considerare responsabile di oltre il 30% delle emissioni di gas serra. Poiché, stando alle stime del Governo tedesco, una tonnellata di CO2 produce un danno climatico equivalente a 180 €, parliamo di un costo vicino ai 3.000 miliardi di €.
La causa principale è l’allevamento di bovini e altri animali di grossa taglia, che contribuisce per oltre il 14% al totale delle emissioni. Il resto è dovuto alla deforestazione legata alla produzione di mangimi (soia e palma soprattutto), al consumo massivo di fertilizzanti e allo spreco alimentare, stimato addirittura in 1/3 di tutto il cibo che si produce nel mondo. Per dare un’idea delle dimensioni gigantesche del problema, basta pensare che le 5 più grandi aziende mondiali che producono carne e derivati emettono più CO2 di Esso, Shell e BP messe insieme, che il bestiame rappresenta in peso il 60% dei mammiferi viventi (il 36% sono umani e appena il 4% sono animali selvatici) e che ogni santo giorno vengono macellati 130 milioni di polli da carne e 4 milioni di maiali. Tutto questo facendo un uso smodato di acqua (il 23% di tutta l’acqua del pianeta è impiegata per la zootecnia), di terreno (1/3 di tutte le terre coltivate), di antibiotici e di ormoni, e senza considerare le questioni etiche, tutt’altro che secondarie, legate ai trattamenti spesso osceni a cui sono sottoposti gli animali quando sono allevati, fecondati, trasportati e macellati.
Sono numeri enormi, ma destinati a crescere ulteriormente nel breve periodo, considerato che oggi la Terra ospita 7 miliardi di persone, di cui 2 miliardi non soddisfano ancora pienamente il proprio fabbisogno alimentare, e che nel 2050 è previsto che la popolazione aumenti fino a 10 miliardi, con un incremento dei consumi di carne stimato in +76%. Il governo cinese, per esempio, ha autorizzato all’inizio del 2020 la costruzione di altri 20 mila allevamenti suini nel Paese, capaci di produrre 150 milioni di capi in più rispetto ad oggi, i quali faranno crescere a dismisura la domanda cinese di soia e di altre materie prime per uso zootecnico.
Chi pensava che il biologico potesse rappresentare una soluzione si sbagliava, come dimostrano i risultati di un interessante lavoro pubblicato sulla rivista Nature Communication da alcuni ricercatori delle Università tedesche di Monaco e di Greifswald, i quali hanno dimostrato che il danno climatico causato dalla produzione di carne biologica non è inferiore a quello della carne convenzionale, ed è addirittura peggiore nel caso dei polli, come dimostra questa tabella elaborata dal quotidiano inglese The Guardian:
Guardian graphic. Source: Pieper et al, Nature Communications, 2020
La percentuale di vegani e vegetariani è in costante aumento (secondo Eurispes rappresenterebbero oggi in Italia rispettivamente il 6,7 e il 2,3% della popolazione), ma è evidente che non può essere questa la soluzione a un problema di queste dimensioni, in particolare nei Paesi meno sviluppati, dove la disponibilità di proteine animali è ancora spesso insufficiente. Così come non può esserlo il ricorso ad altre fonti proteiche di origine animale, considerato che anche uova e formaggi provengono da allevamenti intensivi, che i mari sono sempre più poveri di pesce e che gli allevamenti ittici presentano altre e non meno gravi criticità, non solo di natura ambientale.
Le soluzioni possono essere solo tre. La prima, francamente un po’ ripugnante, è di rassegnarci per il futuro a mangiare tonnellate di insetti.
La seconda, già ampiamente utilizzata, è quella delle pseudo-carni ottenute da proteine vegetali (piselli, soia e alghe, soprattutto), che però non hanno la stessa composizione in aminoacidi essenziali della carne vera, e quindi non potranno mai avere lo stesso valore nutrizionale (e, in parte, le proprietà organolettiche) di questa.
La terza, di gran lunga più promettente nel medio-lungo termine, è quella che si sta ora affacciando sui mercati e che è però da tempo oggetto di studi e ricerche biotecnologiche molto avanzati, soprattutto negli USA. Le previsioni di Kearney, una delle più importanti società di consulenza strategica del mondo, sono che già fra 20 anni oltre il 50% della carne che consumeremo non deriverà più da animali macellati, ma dalla cosiddetta no-kill meat, ovvero da carne ottenuta da colture cellulari, allevate in laboratorio.
No-Kill Meat
La tecnica, che gli Americani hanno battezzato Cell Ag (agricoltura cellulare), è analoga a quella che nel 2017 ha consentito alla Bolt Threads, una innovativa start up dell’abbigliamento, di produrre per prima cravatte in seta di ragno “senza ragni”, ovvero inserendo artificialmente i geni che nel ragno sono responsabili della produzione di ragnatela in lieviti allevati in laboratorio. Per carne e derivati si parte da cellule staminali prelevate attraverso biopsie da animali vivi. Queste cellule vengono nutrite e fatte riprodurre per mezzo di ingredienti animali (siero bovino fetale) o anche semplicemente vegetali all’interno di grandi bioreattori, in condizioni ideali di temperatura, pressione e salinità. Si possono ottenere in questo modo tessuti cellulari di elevatissima qualità igienica, senza ricorso ad OGM, ad alto tenore di Omega-3 e Omega-6 e con contenuti controllati di colesterolo, in grado di riprodurre perfettamente - senza uccidere animali, senza abbattere alberi e senza usare né ormoni né antibiotici - tutte le varie tipologie di derivati animali: proteine e grassi della carne, uova, latte, ossa, pelli, lana, ecc.
Da quanto si sa, una tonnellata di questa carne consuma 376 volte meno terreno e 10 volte meno acqua di quanto richiesto dagli allevamenti tradizionali. Con la stessa tecnica si può coltivare carne di pesce ed è molto avanti, in particolare, lo sviluppo dei processi per la produzione in modalità no-kill della carne di tonno rosso. Non è fantascienza, tanto che alcuni di questi prodotti hanno già ricevuto l’autorizzazione alla vendita dalle autorità sanitarie di Singapore (bocconcini di pollo, prodotti dall’americana Eat Just; v. foto) e sembra ormai imminente l’approvazione anche in Israele e negli USA.
C’è ancora molto da fare, in realtà, per ridurre i costi del prodotto, specie per quanto riguarda l’eccessiva quantità di energia richiesta dal processo, e per migliorare nel prodotto finito quelle caratteristiche di texture che sono proprie dei diversi tipi di carne. Ma non c’è dubbio che anche questi problemi saranno presto risolti. Ci sono però almeno 3 questioni di carattere più generale, che non possono essere ignorate, e di cui poco si parla.
- Il primo è legato alla biodiversità: che ne sarebbe delle tante razze animali che per millenni sono state allevate dall’uomo e che in futuro nessuno avrebbe più interesse a mantenere e curare? Buoi, maiali, polli e tacchini diventeranno per i nostri pronipoti quello che i dinosauri o i mammut sono stati per noi?
- Il secondo è di ordine economico e culturale: che fine farebbe il patrimonio millenario di tradizioni legate ai prodotti della zootecnia, che proprio in Italia rappresenta un valore straordinario?
- Il terzo problema, il più inquietante fra tutti, è di natura etica, come sempre accade quando il progresso delle biotecnologie “sfida” le leggi della vita.
L’Uroboro, come forse ricorderà chi ha fatto studi classici, è il nome del serpente che si morde la coda, un antichissimo simbolo mistico circolare che qualcuno associa impropriamente a riti satanici e che rappresenta invece l’infinito, l’eternità, la natura ciclica delle cose, la rigenerazione continua. A seguito dell’attenzione suscitata dalle tecniche per la produzione della no-kill meat, alcuni ricercatori e designer americani hanno costituito negli USA un’azienda che hanno chiamato provocatoriamente Ouroboros Steak, la quale ha ideato, marchiandolo proprio con il simbolo del serpente, un kit contenente gli ingredienti, gli strumenti e le istruzioni per l’uso necessarie per consentire a chiunque di prodursi in casa dei bocconcini di carne derivati dalle proprie cellule staminali, opportunamente allevate in un siero proveniente da donazioni di sangue umano scadute. L’iniziativa è stata considerata talmente rivoluzionaria che il kit è stato esposto al Philadelphia Museum of Art e al Design Museum di Londra come rappresentazione di un futuro possibile. E questa è la foto del prodotto ottenuto, pronto per essere consumato. Sempre ammesso che ci sia qualcuno che abbia il coraggio di mangiare sé stesso…
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