Donne in Cucina, Bianca Celano: "Ho faticato a farmi rispettare perché non sempre veniva riconosciuta la mia autorità, considerata secondaria rispetto la figura maschile.."
La parte oscura della ristorazione: Le donne e la cucina, a casa si nei ristoranti no!
LE DONNE IN CUCINA
Eccoci, continuiamo con il racconto e la riflessione della donna nella nostra società, la narrazione che ne viene fatta e tutti gli stereotipi che le girano attorno. Il punto che vogliamo mettere in luce in questa serie di articoli e interviste è il lato oscuro della cucina, tutti quegli argomenti di cui si parla poco o solo in determinati giorni dell’anno per ricorrenze etc. senza creare una vera sensibilizzazione sul tema.
In questi articoli parleremo delle donne in cucina, del loro vissuto e intervisteremo delle donne che ci hanno concesso il piacere di conoscere una parte di loro.
In questa intervista abbiamo raccolto la testimonianza della Chef Bianca Celano. Un percorso da autodidatta che l’ha vista passare da manager a ristoratrice. La sua visione di cucina è basata sulla stagionalità e la sostenibilità. La scelta degli ingredienti per Bianca è molto importante ed è fortemente radicata alla sua terra d’origine, ovvero la Sicilia. Nel 2013 Bianca apre il suo ristorante QQucina Qui, insieme al marito Fabio Gulino, un loft con un grande tavolo conviviale nel centro storico di Catania. Ai dolci ci pensa il Maestro Pasticciere Corrado Assenza con il quale Bianca collabora spesso.
Nel gennaio 2018 decide di interrompere questa esperienza, sentendo il bisogno di una pausa dai ritmi di lavoro di ristoratrice. Ad oggi si occupa di consulenza nel mondo della ristorazione.
Ciao Bianca, innanzitutto come va in questo periodo così complesso? Una domanda che di solito apre molti scenari ma ci sembra giusto porla dopo tanto tempo di chiusura o comunque di alti e bassi.
Nei periodi di chiusura, facendo un lavoro così intrinsecamente stressante, oltre ai vari problemi, ci sono state scoperte piacevoli o che ti hanno fatto particolarmente riflettere su alcuni aspetti della “vita pre-covid”?
All’inizio della pandemia lo stop obbligato mi ha destabilizzato. Ero in piena attività e sempre con la valigia pronta per portare la mia Sicilia in giro per l’Italia.
E per me fermarsi ha significato riflessione, ho iniziato a mettermi in discussione, ho ripreso a vivere intensamente Catania, la città dalla quale mi ero molto allontanata, e ho iniziato ad ascoltare di più le esigenze dei miei stessi clienti. Questo mi ha ridato forza e mi ha stimolata, sono tornata ad investire di più nella mia Terra. Così, ad aprile 2020, ho dato vita al format ‘La Cucina di Bianca’, iniziando diverse collaborazioni con Agenzie pubblicitarie nel ruolo di Food Stylist per importanti Brand e ho avviato consulenze per Start-up di Ristoranti.
Ad oggi, la mia più importante collaborazione è quella nel ruolo di Consulente Food & Beverage all’interno di Habitat, un hub di servizi incentrati sul tema dell’accoglienza, all’interno di un antico palazzo situato nel centro storico della mia città.
Siamo molto contenti, complimenti per tutti i tuoi nuovi progetti. Ora buttiamoci nell’argomento principe dell’intervista, credi che essere una chef donna sia diverso dall’essere uno chef uomo? In termini di credibilità e di percepito della società?
Purtroppo sì, ancora oggi la figura della donna all’interno di una cucina trova molte reticenze. Se poi la donna è anche colei che sta a capo di una cucina, queste problematiche si amplificano, ovviamente non si deve assolutamente generalizzare ma durante il mio percorso ho faticato a farmi rispettare perché non sempre veniva riconosciuta la mia autorità, o più che altro veniva considerata secondaria rispetto la figura maschile. Anche dagli stessi miei fornitori!
Invece per ciò che concerne la tua formazione come chef il tuo essere donna ha influito? Se sì, se no, in che modo?
Nella mia personale formazione credo che all’inizio mi abbia aiutato essere una donna. Mi spiego meglio, è stato raccontato più volte la storia della mia carriera, e del passaggio da imprenditrice nel settore medico fino ad arrivare a capo di una brigata e chef del mio ristorante. Da autodidatta all’inizio ho scelto di cucinare come una mamma, immaginando i miei clienti come degli ospiti nella mia sala da pranzo, con la sensibilità e le attenzioni che solitamente riservavo a chi per anni ha frequentato la cucina di casa mia. Oggi da professionista ritengo che quel passaggio sia stato fondamentale per comprendere meglio il cliente, adeguandomi ai suoi gusti, mantenendo però la mia identità.
Per ciò che spesso osserviamo crediamo che in cucina ci sia ancora molta discriminazione verso le donne, anche di rinunce in termini umani e pregiudizi legati alla visione della donna, secondo te è così? Quali sono gli ostacoli maggiori?
Purtroppo in alcune (poche per fortuna) cucine è ancora così, e a confermare queste mie parole sono i messaggi che ho ricevuto nel tempo da parte di ragazze che lavorando in brigate prevalentemente maschili, si sono ritrovate a stringere i denti per avere rispetto. I pregiudizi sono difficili da scardinare!
Soprattutto, non avendo la stessa forza e resistenza fisica degli uomini si ritrovavano quasi a dover competere, a volte finendo con l’essere emarginate. Ma per fortuna sono situazioni sempre meno presenti.
Vorremmo approfondire con te il racconto che viene fatto nel mondo della ristorazione della “cucina al femminile” che ne pensi? Spesso viene messo automaticamente in risalto che sia quasi un altro tipo di cucina. C’è gente che parla ancora di piatti femminili, ingredienti al femminile, vini femminili, ci piacerebbe sapere una tua riflessione.
Non ti nascondo che agli inizi della mia carriera anche io pensavo (erroneamente) che esistesse una “cucina al femminile”. E che la cucina più sana e delicata fosse una prerogativa tutta femminile.
Nel tempo mi sono ricreduta. Oggi conosco professionisti di entrambi sessi che hanno come comune denominatore la professionalità, la correttezza, la sostenibilità, la leggiadria, una cucina etica e tanta passione nei loro piatti, senza svilire tutto sotto la voce “cucina di genere”
Proprio sul concetto di genere, spesso, quando si parla di parità di genere, si fa giustamente notare come l’aspetto estetico influenzi molto la percezione degli altri quando la professionista in questione è una donna. Come se l’essere più o meno conformi ai canoni estetici imposti dalla società (qui potremmo aprire un capitolo a parte) renda più o meno capaci le persone nella loro professione.
Che ne pensi? Ti è mai successo di essere stata giudicata dal tuo mero aspetto esteriore in campo professionale?
Purtroppo questa domanda tocca un nervo scoperto, e devo togliermi un sassolino dalla scarpa.
Agli inizi venivo spesso giudicata per il mio aspetto estetico, e questa considerazione mi feriva. L’idea di alcuni (soprattutto colleghi) che il successo del mio ristorante fosse dato dalla mia bella presenza, oppure ancora peggio dalla gestione della mia immagine sui social, mi ha portato a lavorare ancora più a testa bassa per dimostrare il mio valore. Quindi ero finita nella trappola del dovermi quasi giustificare!
Oggi per fortuna non subisco più questo preconcetto, i fatti mi hanno dato ragione. Aver cucinato in giro per l’Italia ottenendo riconoscimenti e conferme, aver gestito intere brigate non mie, aver portato la mia cucina a tavola così come volevo, con tutta la fatica ed il sacrificio richiesto, mi ha restituito quell’autostima che agli inizi della mia carriera era stata minata da stupide illazioni.
In un tempo dove ancora molte donne non sono economicamente autonome e gli imprenditori preferiscono investire principalmente sugli uomini, è semplice trovare investitori che investano in una donna come risorsa e come chef?
In realtà a me è successo l’esatto contrario!
Quando ho chiuso il mio ristorante ben pochi sapevano che la mia scelta era guidata da problemi di salute. Ma la mia forza, la mia tenacia e determinazione nel lavoro era stata riconosciuta, e questo mi ha portato diverse proposte di lavoro da parte di importanti investitori, che vedevano in me la persona giusta per gestire o dare consulenza alla cucina. Tutto ciò mi ha lusingato, ma sapevo che avrei sempre dovuto fare i conti con la salute, e correttamente ho sempre rifiutato.
Finché, un anno fa, ho incontrato due architetti, proprietari di Habitat a Catania. Il loro core business era il settore hospitality. Loro mi hanno presentato un progetto e mi hanno prospettato la possibilità di entrare nel loro entourage con un ruolo che prevedeva la cura e la direzione di tutta la parte food dell’azienda, partendo dalla riformulazione delle colazioni. Chiedendomi di realizzare un’offerta che avrebbe dato al cliente una visione della Sicilia dinamica, legata alle variazioni stagionali e radicata nelle tradizioni locali, grazie anche all’uso delle materie prime del territorio semplici e genuine.
In tutto questo loro hanno rispettato i miei tempi, il mio essere donna e mamma, lasciandomi i miei spazi. Ciò mi ha permesso di impegnarmi con tutta me stessa, senza risparmiarmi, per portare avanti il loro sogno!
Davvero molto bello. E proprio pensando alle donne e pensando a cosa raccontano spesso gli chef, sulle nonne, sulle madri che insegnano a cucinare non è perlomeno strano che ci siano così poche chef conosciute al grande pubblico?
Ecco, spiegatelo voi a me! Spesso gli chef per raccontare un piatto ti portano per mano nei loro ricordi, ti fanno vivere gli odori ed i sapori che le loro nonne e mamme hanno saputo imprimere così bene nella loro memoria. E tu vivi davvero quell’esperienza, perché anche tu nella tua infanzia hai ricordi simili.
Però poi nella vita reale, per gli uomini chef, la donna che fa il loro stesso lavoro viene sottovalutata e rimane in un angolo. Quasi invisibile. Ancora oggi è un mistero per me.
Grazie per questa riflessione proveremo a rispondere e a rifletterci insieme nell’articolo di chiusura di queste track.
Un’ultima domanda, le guide, in generale, che responsabilità hanno nell’alimentare la visione di una cucina prettamente maschile? Inoltre credi che sia giusto avere premi per gli chef uomini e premi per le chef donne? Così facendo non si alimenta questa distinzione? Oppure almeno così si ha la giusta attenzione, seppur separati?
Non mi piacciono i premi per ‘genere’.
I premi dovrebbero essere dedicati esclusivamente alla professione, a chi si è distinto, a chi realizza una cucina etica, a chi pone attenzione alla sostenibilità, a chi riesce a fare squadra in cucina rispettando ogni singola figura presente e a chi riesce a far emozionare con i propri piatti.
Sono dell’opinione che la giusta attenzione alle donne chef arriverebbe ugualmente, senza bisogno di fare classifiche di genere.
Grazie mille Bianca per averci raccontato parte di te ed averci offerto spunti di riflessione sui quali ragionare e discutere con gli addetti al settore. Alcuni punti sono ancora lontani dall’essere risolti e soprattutto verbalizzati. Noi continueremo, con l’aiuto di chi vorrà supportarci, a raccontare cosa non funziona e non viene detto della ristorazione perché siamo convinti che solo affrontando i problemi e parlandone si possa fare qualcosa.
Fateci sapere cosa ne pensate, a presto con una nuova Track che vedrà protagonista un altro chef…siete curiosi? Allora seguiteci e lo scoprirete.
Next Track – LIKE A GIRL Nel frattempo se volete passare un po' di tempo accompagnati da un po' di musica vi lasciamo il link della Compilation creata per questa rubrica. Siete curiosi di sapere quali saranno i prossimi temi…cercate di scoprirlo attraverso i brani.
La Playlist - The Dark Side of Restaurants
THE DARK SIDE OF RESTAURANTS
Le criticità legate al lavoro e nello specifico al modo della ristorazione.
In una serie di interventi, che abbiamo deciso di chiamare “tracce” come in un disco, cercheremo di analizzare temi che spesso vengono messi in secondo piano. Queste dinamiche meriterebbero la giusta attenzione per provare a migliorare un lavoro che di per sé ha, intrinseche, delle criticità che difficilmente potranno essere eliminate se non attraverso dei tavoli di discussione e una maggiore attenzione al fattore umano che manda avanti questo settore.
Dalla cucina alla sala, dalla proprietà ai clienti ecc, cercheremo di analizzare le criticità, in che modo influenzino il lavoro e quali strategie utilizzare perché si possa migliorare la vita di chi opera nel settore ristorativo.
Nello specifico, con questa rubrica andremo ad analizzare come il mondo della ristorazione sia un mondo molto stressante e cercheremo di analizzare e descrivere le strategie da mettere in atto per migliorare lo stile di vita degli addetti al settore, nonostante le criticità intrinseche in questo lavoro (orari, rinunce, rapporti interpersonali, spazi di lavoro ecc).
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