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Dall'Ampi alle altre associazioni: si fa il bene della categoria o no?

Dal caso Ampi alle altre associazioni: servono davvero?

Dall'Ampi alle altre associazioni: si fa il bene della categoria o no?

La scorsa settimana abbiamo avuto modo di seguire da vicino, su queste pagine – e poche altre in giro per il web – un cambiamento epocale nel mondo della pasticceria italiana, solitamente parca di avvenimenti burrascosi.

Senza addentrarci troppo, riporto il fatto nudo e crudo (cliccate sui link per leggere tutta la vexata quaestio): Iginio Massari lascia la presidenza onoraria di Ampi, Accademia che egli stesso ha fondato nel 1993 sul modello di associazioni di pasticceria internazionali. Su Cook Corriere, si lascia andare ad una dichiarazione dove dice che fonderà un’altra associazione di soli amici e “senza trucchi” (okay, come la interpretate voi questa?)

Insieme a lui, vanno via una trentina di altri membri, tra i quali Gino Fabbri – che a sua volta si lascia andare a dichiarazioni molto pesanti; non capita tutti i giorni di sentire un signore distinto come lui (che abbiamo avuto modo di intervistare, tra le altre cose), lasciarsi andare a dichiarazioni non proprio semplici da digerire.

In pochissimo tempo, l’Ampi ha già deciso chi traghetterà l’Accademia fuori dal terremoto: si tratta di Salvatore De Riso, pasticciere pluripremiato, volto notissimo della televisione italiana.

In effetti, probabilmente, Salvatore De Riso è l’erede naturale: non mi addentro qui in capacità di pasticceria oppure no, ci saranno altre pagine per farlo. Ma guidare quella che è l’Accademia di pasticceria più importante d’Italia non è cosa semplice: si è per forza dovuti ricorrere ad un volto noto, rassicurante, molto amato.

Colgo l’occasione per augurare a Sal De Riso un ottimo lavoro, cosa che sono sicura farà insieme ai suoi vice e al nuovo consiglio.

Il “terremoto” Ampi mi ha dato però modo di riflettere su alcune dinamiche che spesso non escono fuori; vuoi perché si preferisce non parlarne, vuoi perché considerate “di poco conto”.

Ma Iginio Massari non è propriamente un Signor Nessuno: è il pasticciere più famoso d’Italia; di rincalzo, Salvatore De Riso non è da meno. Almeno una volta, seppur per purissimo caso, li abbiamo visti passare per i programmi televisivi.

Andiamo alle considerazioni.

La considerazione numero UNO riguarda strettamente l’assetto che avrà la pasticceria italiana. Senza se e senza ma, la generazione Massari ha dettato legge (fin troppo? Secondo molti, sì) sul campo della pasticceria per anni. Questo ben poco gentile cambio della guardia, cosa riserverà?

Di sicuro non è un grande segnale di stabilità per la pasticceria italiana; già la formazione dell’Accademia del Lievito Madre e del Panettone, lo scorso anno, è stata un bel colpo per l’Ampi che si è ritrovata a contendere il ruolo di associazione più pretesa.

L’uscita di scena ben poco tranquilla del suo fondatore, beh, parla chiaro. Qualcosa all’interno si è rotto ed è stato impossibile nasconderlo al grande pubblico. Non proprio un grande risultato, dobbiamo essere onesti.

Oltre alla fragilità della rappresentazione del comparto (e quello della pasticceria non è nemmeno il più frammentato), sarà molto interessante capire come si posizioneranno le varie scuole di pensiero di pasticceria: chi seguirà chi, insomma. Molti pasticcieri hanno già comunicato la loro uscita dall’Accademia – presumibilmente, li ritroveremo nel nuovo nucleo creato da Massari.

Sempre all’interno del Risiko della pasticceria italiana, avremo modo di osservare come si divideranno le aziende sponsor: insomma, dove andranno a gravitare gli equilibri economici. Perché tolte le questioni ideologiche, le “scaramucce” e quant’altro, resta da capire chi deciderà di sovvenzionare cosa.

E quindi, in buona sostanza, cosa vedremo passare di più sulla Rete, per televisione, cosa brameremo di più.

Passiamo ora alla questione numero DUE. Qui il discorso si allarga e non parliamo più soltanto dell’Ampi: riguarda le associazioni di categoria, più in generale.

Durante quest’anno pandemico, abbiamo avuto modo (e mi riferisco qui a pensieri condivisi con i colleghi di Foodclub, ma anche con il nostro pubblico di lettori) di osservare quanto sia particolarmente frammentato tutto il mondo della ristorazione italiana. E una frattura così traumatica nell’Ampi ne è soltanto la controprova.

Molto difficile è stato, per i ristoratori, intavolare discorsi che portassero ad un pressing comune nei confronti delle decisioni governative, spesso incomplete o di difficile interpretazione.

Abbiamo avuto modo di assistere a processi pubblici a carico di quei pochi personaggi che, in qualche modo, si sono esposti. Che sono stati additati come showman e quant’altro, quando in qualche modo – seppur maldestro – cercavano di portare le ragioni di tutti laddove anche chi non aveva voce o autorevolezza per arrivare a certe personalità.

Perché è accaduto tutto questo e si è “permesso” che personaggi singoli avanzassero richieste quasi ad personam? Perché le associazioni di categoria, in campo ristorativo e che siano vere e funzionali, pare scarseggino: la stessa FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) ci ha messo un bel po’ per trovare la quadra della situazione e proporre al governo deroghe e trattative valide più o meno per tutte.

Nel momento in cui scrivo, gran parte del discorso pare ruotare intorno a personaggi singoli che – nel bene o nel male – rappresentano le associazioni che si costruiscono su misura per sé, senza badare particolarmente al benessere e all’interesse dei soci.

Senza voler fare di tutta l’erba un fascio, le associazioni di categoria dei vari rami della ristorazione italiana – così come sono strutturate ad oggi – hanno senso di esistere? Sono utili a qualcosa, a portare avanti lotte comuni e condivisibili, oppure sono create ad hoc per contentare gli interessi dei singoli?

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